Marco 12,41-44 tratta di una vedova che mette in una shupharot del gazophulakion due spiccioli /leptà, equivalenti ad quadrante cioè 1/4 di asse (una moneta del valore di 50 centesimi di euro, cioè di circa mille vecchie lire)
Gesù questa è la mia ricostruzione del fatto si trovava nel cortile delle donne, una zona che era separata dal cortile degli israeliti da un muretto ed aveva all intorno delle colonne, che sorreggevano il matroneo, da cui si poteva assistere ai sacrifici e alle funzioni del tempio. In questi portici c erano 13 bossoli /buche, a forma di corno, disposti in modo che chi passava poteva deporre monete, che calavano giù ed arrivavano nella stanza del tesoro.
Un fedele, circonciso era vietata severamente ai non circoncisi entrare sia nel cortile degli ebrei che in quello della donne, pena la morte: un iscrizione sulle monumentali porte di ingresso del tempio vietava l accesso ai pagani- poteva andare al cortile degli israeliti dal cortile delle donne, mediante 15 gradini.
Dai bossoli il denaro, dunque, confluiva, da varie parti, a seconda della disposizione dei corni, nella vasta sala del gazophulakion come elemosina o come tributo per il tempio (la doppia dracma): questocostituiva il tesoro del tempio dove c erano addetti al raggruppamento delle singole entrate, in relazione alle porte di ingresso del tempio e dove c erano depositi pubblici statali con proprio sigillo, ma anche di comunità distinte per segni, e perfino di conti privati, custoditi in sacchetti, dopo che le monete erano state accertate nella loro autenticità di conio- date le tante contraffazioni- e contrassegnate con il timbro templare con certificato di probatio, che attestava che i saggiatori l avevano provato e comprovato (solo allora il deposito era definito pecunia clusa et obsignata).
Insomma, il gazophulakion era una banca/trapeza (cfr. A. Petrucci, Mensam exercere, Studi sull impresa finanziaria romana , Iovine , Napoli 1991), la banca più grande degli ebrei perfino di quella di Alessandria- ed aveva molti gestori, con un tamias, responsabile, di stirpe sacerdotale, che -di solito- era collegato con lo strategos, di nomina del sinedrio, ambedue.
Gesù, dunque, era davanti al gazophulakion.
Perché un profeta, un maestro, un uomo spirituale sta davanti al gazaphulakion? Strano!
Ancora di più mi sorprende che stia seduto proprio davanti alle bocche del Gazophulakion.
Se fosse un re ed avesse potere censorio, invece, avrebbe anche un significato lo stare presso una delle 13 supharot?!
Comunque, qualsiasi cosa stesse facendo nel tempio, Gesù che stava seduto (kathisas katenanti tou gazophulakiou proprio di fronte al tesoro- katenanti fa supporre una volontà di inquisire ,come anche etheoorei) esaminava, non stava a guardare, da curioso, il modo come l ochlos popolo gettasse denaro nel tesoro!.
Marco parla dell obolo ( è moneta greca del valore simile al quadrante latino) della vedova, dopo il tributo a Cesare, a seguito della confutazione dell errore dei sadducei sulla resurrezione (ouk estin theos nekroon alla zoontoon : polu planaste/ è dio non dei morti ma dei viventi: errate molto), della proclamazione dell amore del prossimo come primo comandamento, della propria proclamazione come Messia, Signore più che Figlio di Davide in una correzione della lettura degli scribi, apostrofati come uomini che amano passeggiare in lunghe vesti, rivere saluti nelle piazze avere i primi seggi nelle sinagoghe , i primi posti nei conviti, divorare le case delle vedove, fare ostentazione delle lunghe preghiere.
Il racconto di Marco, quindi, è nodale in quanto subito dopo l evangelista fa un discorso escatologico, mostrando l inizio dei dolori e il vertice della tribolazione (tutti termini spie dell avvenuta distruzione del tempio e della città) per giungere a focalizzare la venuta del Figlio dell uomo sconosciuta a tutti (perfino agli angeli e allo stesso Figlio) e nota solo al Padre, per cui c è l esortazione a vegliare con l uso di tre termini blepete, agrupneite grhgoreite (anafora di quest ultimo con poliptoto /ina grhgorhi).
Noi abbiamo parlato a lungo di discorsi apocalittici ed escatologici e rinviamo ad altri studi ( Apokalupsis curiosità ed altrove ), qui mi preme rilevare che lo studio sulla vedova da parte di un maran/ re, che esamina i suoi sudditi (specie sadducei e scribi, filoromani) versare nel tesoro del tempio, ha un altro valore rispetto a quello dato dalla tradizione
Dopo la purificazione del tempio, il maran può aver chiesto un contributo ai suoi sudditi ? come Oro alla patria di Mussolini, fissato per la Giornata della fede il 18 Dicembre 1935?!
Chi attende ancora la venuta del Signore, come parousia/ritorno, presenza divina, invece, intorno alla fine del primo secolo d.C. , mira a risolvere tutto in un ammaestramento morale secondo quanto detto da Christos che rileva come la vedova (definita non khhra ma auth h ptookhh), anche se poveretta, ha gettato più di tutti (pleion pantoon ebalen toon ballontoon ), dando una spiegazione divina solo un dio può vedere quanto versato e sapere la verità!- di quanto dato da tutti gli altri (to perisseuon il superfluo) , rispetto al versato dalla vedova che ha dato tutto ciò che ha, cioè tutta quanta la sua vita/ panta osa eiken, olon ton bion auths.
La conclusione di Marco è, dunque, che la poveretta dà tutto ciò che ha, mentre tutti gli altri solo il superfluo, in una esaltazione dei poveri rispetto ai ricchi (condannati!), degli ultimi rispetto ai primi, in un rovesciamento delle situazioni, secondo la retorica delle antitesi.
Una facile lezione morale, amici cristiani, puzza -tanto- di inganno, da parte del nuovo sacerdozio christianos!
Gesù fu un messia aramaico, methorios e politikos.
Ho già trattato il problema della regalità di Gesù aramaica, e quindi del Makuth ha shemaim, ed ho puntualizzato la funzione methoria dei giudei ellenisti, oniadi, in relazione al sistema trapezitario ed emporico (Cfr. Jehoshua o Iesous? Maroni,2003).
O methorios, da una parte, ed o politikos, da un altra, sono due tipici aggettivi sostantivati che sono stati da me per anni connessi alla figura dell ellenista giudaico- alessandrino, di cultura greca, in particolar modo all alabarca di Egitto, espressione di un attività commerciale e politica dell ebreo nell impero romano. In quest ultimo decennio, ristudiando e rivedendo la situazione del Malkuth alla luce delle indicazioni di Marco ( e di Matteo), mi sembra di poter/dovere correggere la radicale impostazione precedente in senso aramaico del Messia nel corso del suo Regno, imprecisato nella sostanza, anche se determinato nella cronologia.
Se si legge Marco (11,12,13) è possibile rilevare da una parte l aspetto della novitas di Gesù aramaico, che ha preso il tempio, che ha una sua neoteropoiia/politica nuova, dopo una stasis/rivolta vittoriosa, ma non precisa la provenienza della sua exousia/potere/ potestas, mentre ambiguamente specifica, secondo i criteri zelotici, il suo pensiero antiromano, senza provocare dilacerazioni tra i suoi seguaci e senza tagliarsi i ponti per una ricucitura politica con la romanitas dominante, di cui c è traccia in ta Kaisaros apodote Caisari kai ta tou Theu Theooi, in un servizio apparente a due padroni.
Gesù, methorios e politikos è compatibile nel periodo 32-36, in un momento in cui l impero romano non si interessa alla situazione dell area siriaca e siro-palestinese, mentre l impero parthico sostiene il messianesimo, utile ora alla sua espansione fino al Mediterraneo in una ripresa della politica di Pacoro del 40-38 av. C., in un recupero dell eredità achemenide e seleucide,
Il messianesimo giudaico autorizzava Artabano III, collegato con Areta IV, re dei nabatei e con Monobazo ed Izate, re dell Adiabene ad un intervento militare antiromano per la riconquista dell Armenia e della Siria e della Celesiria e alla definitiva rottura della siepe antoniana dei regni vassalli e delle tetrarchie, imposti dai romani alle popolazioni aramaiche (specie quelle di Erode Antipa, di Filippo) e all abolizione della provincia di Siria e della sotto provincia di Iudaea
A vittoria conseguita, instaurato il malkuth, purificato il tempio il regnare era oltremodo difficile per il Messia: c erano problemi logistici di collegamento tra gli aramaici di due imperi diversi e c erano controversie decennali tra aramaici e pagani greci e gli stessi giudeo- ellenisti, c erano perfino incompatibilità religiose e commerciali tra i giudei ellenisti e i greci pagani.
Il regno del Messia, ricavato entro i limiti del confine romano, era di popolazione mista, con una popolazione non inferiore ai 1.800.000, di cui gli aramaici formavano un nucleo compatto di 600.000 persone, ma la maggioranza era quella costituita da giudeo ellenisti e da pagani (specie nelle due tetrarchie erodiane e in Decapoli ,e lungo il litorale mediterraneo), mentre ancora le forze parthiche occupavano la Siria e l Armenia ed arrivavano fino al Mediterraneo
Inoltre gli aramaici non predominavano nemmeno in Gerusalemme e nella Giudea, data l alta presenza di giudei ellenisti che formavano la classe dominante sacerdotale sadducea, gli erodiani e gli scribi, che avevano il supporto dei sebasteni, truppe erodiane consociate come auxilia ai milites romani, che, inoperosi, erano nei castra dislocati in molte postazioni non distanti dall Eufrate. Inoltre tutta la regione della Giudea era collegata con quella di Samaria, di religione scismatica, che aveva una propria Bibbia (Pentateuco e libro di Giosuè) e con l Idumea , che, pur divisa tra aramaici e greci, aveva un consistente gruppo di elementi di sicuro affidamento messianico, come anche la Perea e la stessa Galilea, da cui era partito il movimento, vincente, di insurrezione messianica
Le forze, dunque, del Messia, seppure insediato in Gerusalemme e nel Tempio, non permettevano un governo della città e delle zone occupate, circonvicine, secondo la rigida applicazione legalistica della Musar, cultura aramaica: il sinedrio messianico doveva essere di varia composizione e comprendeva sadducei, farisei ed esseni, erodiani e naziroi galilaici di varia estrazione sociale, ed era subentrato a quello sciolto, dominato dai sadducei e dagli erodiani e controllato dalle potenti famiglie di Anano I e del genero Kaifas (collegato con i cinque cognati, Eleazar, Teofilo, Gionata, Mattia, Anano II Per Flavio- che si meraviglia del fortuna del vecchio, Ant. Giud. XX, 9.1 Anano fu molto fortunato . Infatti cinque suoi figli , dopo che lui aveva goduto dell ufficio per un periodo piuttosto lungo, sono stati sommi sacerdoti-) e di Anania Boeto Canthera.
Infine il Regno secondo i confini erodiani (cioè fascia costiera, l ex tetrarchia di Filippo, la zona transgiordana) era da conquistare, come anche il titolo di maran senza il riconoscimento di Tiberio (come anche quello di Basileus con il consenso di Roma)
Essere Messia comportava un tenere a freno i vincitori aramaici sia gerosolomitani, che galilaici che parthici, e quindi venire a patti con gli stessi sostenitori, limitati nella loro esuberanza vittoriosa, e nelle pretese di ricompensa legittima con le funzioni governative e le cariche (cfr. Marco,10, 35-45), delusi nella spartizione del potere: Il pensiero riportato dall evangelista non corrisponde alla situazione di accadimento ma è collegato con quella di scrittura domizianea ed ha valore anagogico e morale, in una contrapposizione tra potere pagano dispotico, per honores e quello messianico per servitium /diakonia (cfr. l uso di diakonos in relazione a doulos e il poliptoto diakonethhnai diakonhsai al fine di mostrare l exemplum di chi dà la vita per il riscatto di molti).
E contemporaneamente sottendeva curare i vinti sadducei e erodiani e scribi, filoromani e i romani stessi in quanto bisognava rispettare i greci e specie i giudeo-greci che si erano arresi senza spargimento di sangue e che si erano consegnati alla clemenza del vincitore ed aumentare i rapporti con i giudei ellenisti specie di Egitto e di Cirenaica che avevano finanziato l impresa, considerato l immobilismo di Tiberio
Il messia sapeva bene che le truppe romane erano e nelle regioni a lui nominalmente sottoposte e in Siria, dove il contingente era maggiore, anche se le truppe ora erano disorganizzate e senza capi , specie, dopo la morte di Pomponio Flacco e la mancata rapida sostituzione da parte di Tiberio, più interessato all eliminazione fisica dei seguaci di Elio Seiano, -che aveva gestito la questione mediorientale, ed aveva posto in Iudaea un suo uomo di fiducia, Ponzio Pilato-
Ben si conosceva l attendismo fatalistico del vecchio imperatore, la politica, lenta nella rimozione dei governatori. Tiberio raccontava l apologo del ferito e delle mosche, sentenziando che per un ferito era meglio sopportare le mosche vecchie che ucciderle, perché, morte quelle che avevano a sazietà succhiato sangue, sarebbero venute altre fameliche, avide: l imperatore considerava i suoi governatori specie di nomina senatoria, agli inizi del mandato, avidissimi, che però, si spegnevano col tempo, perché avevano raggiunto la sazietà e potevano tornare dall incarico provinciale con molte ricchezze tanto che, partiti poveri, tornavano ricchi... (Cfr. Flavio ,Ant. Giud., XVIII,174-176). Celebre la sua massima: è proprio di un buon pastore tosare il gregge, non scorticarlo/ Boni pastoris tondère pecus, non deglùbere (Svetonio,Tiberio XXXII).
La politica aramaica, immitis, senza praoths, barbaricamente violenta, di aggressione, non era possibile come non era possibile seguire l exemplum di Giovanni il battista, la cui rigida vita di recabita, imponeva una dura osservanza della legge, una palingenesis una nuova vita col battesimo di purificazione ad Al Karrar (Betania oltre il Giordano), dopo un attesa penitenziale ed addestramento militare: il messia, invece, doveva coniugare le tante anime dell ebraismo e quelle ellenistiche della società pagana, per cui blanda era la sua interpretazione legalistica
Infatti Matteo (oltre che in 26,6 e sgg circa il puro ed impuro ed unzione) in 15,1 mostra, prima, che i discepoli di Gesù non seguono la tradizione degli antichi e nel mangiare e nel lavarsi e nell onorare il padre e la madre e poi mette in evidenza Gesù che definisce i farisei ciechi e guide di ciechi... Marco aggiunge in 18, 1 sgg un attacco dei seguaci di Giovanni, oltre che dei farisei, sul digiuno non osservato dai discepoli del Signore e in genere sul mangiare e bere con i peccatori, specie con i pubblicani e specificamente viene condannato lo sperpero, in casa di Simone il lebbroso, di unguento di nardo e della rottura del vaso di alabastro del costo complessivo di 300 denarii (6000 euro circa; si pensi che a Giuda vengono dati 30 denarii circa 600 euro- il valore di un denario è di quattro sesterzi cioè di 16 assi; si noti che con due assi si può comprare un kg. di pane)
Insomma sembra che Gesù abbia un altra gestione politica rispetto alla tradizione farisaica e alla impostazione aramaica, giovannea, e che la sua deviazione sia scandalosa e perciò marcata da oppositori seppure della sua stessa fazione .
Voleva forse indicare altre possibilità, oltre a quella aramaica, ai suoi discepoli, pur rimanendo saldo il principio di fede giudaico e mosaico di Dio solo padrone e padre di Israel ?.
Fu quella stessa pretoria e censoria di Erode Agrippa, convinto assertore di una politica filoromana, entro cui, però, doveva trovare spazio il giudaismo ellenizzato con le connessioni all istanza messianica aramaica !
Fu quella stessa politica di Giacomo, che nella sua figura di recabita e di giusto tzadik, di baluardo del popolo aramaico si faceva garante con i governatori filogiudaici (Fado, Tiberio Alessandro, Felice ) del comune affare delle festività ebraiche, assicurate nella loro regolarità, lasciando aperto e il canale ellenistico e quello aramaico, finché, cessata la collaborazione censoria e finanziaria coi romani -ormai decisi ad estirpare il cancro aramaico ed ebraico ellenistico- riprendeva decisamente la politica militaristica, esclusivamente aramaica, facendo sequestri ed attentati contro sadducei ed erodiani e contro i nemici romani.
La sua morte risultava per Giuseppe Flavio l inizio della fine del Tempio di Gerusalemme e di Gerusalemme stessa: il giudaismo aramaico, fusosi con quello adiabene e mesopotamico, collegato con quello idumeo, galilaico, peraita e con gli ebrei scismatici alessandrini più intransigenti,-che erano stati rovinati della politica finanziaria dell ultimo Nerone,- andavano alla guerra contro i romani convinti che Davide avrebbe vinto Golia e che i più deboli avrebbero superato i più forti, sicuri che a Dio niente era impossibile e che perciò si sarebbe verificato miracolosamente l evento salvifico
Si potrebbe, dunque, inferire che da Gesù derivi una doppia via operativa, mediante due metodi diversi in relazione alle 613 prescrizioni della legge utili (sebbene in modi differenti) a conseguire il benessere dell anima e quello del corpo?.
Ora, siccome il popolo non ha la capacità di percepire la natura delle cose spirituali, espresse in forma esplicita o forma metaforica, allora per ogni massa occorre fare le correzioni delle condizioni di esistenza, cosa che si consegue solo con l eliminazione dei torti reciproci, da una parte, impedendo all individuo di compiere la propria volontà e allontanando le mete alla portata delle specifiche capacità, costringendo a fare quanto è utile alla collettività e, da un altra , formando costumi utili alla comunità tali da rendere la città ordinata.
Il benessere dell anima non si consegue se non si raggiunge quello del corpo: si vuol dire cioè che bisogna assicurare lo stare bene nella migliore salute, avendo tutte le cose necessarie a vivere (casa famiglia, cibo, denaro, ogni cosa buona ed utile al soddisfacimento degli appetiti umani) non solo per un individuo o gruppo familiare ma per una comunità politica, perché l uomo è un animale per natura razionale e politico, un vivente consociato che pensa prima alla propria sussistenza personale poi a quella dei famigliari ed infine agli altri, come prossimo, facente parte dell comunità, con cui condividerà le cose, anche se teso ad un vantaggio, comunque, sempre proprio.
Il benessere dell anima è di ben altra forma, in quanto si cerca iniziando il proprio percorso purificandosi col rifiuto della pars corporale (tengo presente il sistema sia degli Esseni che dei Terapeuti che si disfano di ogni patrimonio e lo cedono a parenti) allontanandosi dagli altri e vivendo in comunità o in solitudine, tendendo a sviluppare la razionalità in atto, con un intelletto in atto, in un ansia e volontà di conoscere tutto ciò che è possibile e tutti gli enti, in ragione della perfezione ultima/teleioosis , che non consta di azioni o di costumi, ma solo di opinioni, come risultanze di una speculazione razionale e come conferma di uno studio fatto.
Maimonide, a proposito della legge e della perfezione ultima, dice: la legge di Mosè nostro maestro ci dà il vantaggio di entrambe le perfezioni insieme: ossia crea le condizioni migliori in cui gli uomini possano vivere gli uni con gli altri, eliminando l ingiustizia, e concedendo un carattere nobile e virtuoso, così che gli abitanti del paese possano sopravvivere e perpetuarsi secondo un unico ordine, affinché ciascuno di essi raggiunga la sua perfezione prima, e le credenze e le opinioni corrette con le quali si raggiunge la perfezione ultima (Cfr.la Guida dei perplessi, a cura di M. Zonta, Utet,,2013).
Quindi per Gesù maran assicurare la giustizia con tutte le condizioni politiche è il primo compito, anche se impossibile da realizzare in una comunità composita, per dare un benessere corporale
La musar contempla di fondere le due perfezioni dando rilievo prioritario a quella corporale senza la quale non è pensabile nemmeno l intelligibile benessere spirituale,,.
La paideia insegna philanthropia, ad essere uomo, ad amare l uomo come altro se stesso (Homo sum: humani nihil a me alienum puto Terenzio, Eautontimoroumenos ,77) in un adattamento in situazione e a superare la prova/ ostacolo in relazione al proprio ingegno, ad essere faber del proprio destino, vivendo moderatamente, secondo natura e ragione, conseguendo uno stato di eudaimonia in quanto anhr theios, capace di discernere tra le cose che esistono, e quelle che dipendono da noi, quelle che non dipendono da noi, servendosi della proairesis.
Questa distingue, secondo la cultura stoica, i fatti nostri e li sottopone ad un razionale controllo (giudizio di valore, impulso ad agire , desiderio, avversione, amore e ed ogni altro sentimento) da quelli non nostri ( i nostri averi, le opinioni che gli altri hanno di noi, la cariche pubbliche , qualsiasi cosa che non dipenda da noi esseri umani, ma da cause esterne).
Ora, Gesù regnando su ebrei e pagani, con un Tempio da gestire, un tesoro senza pari, con alleati armati entro i propri confini e con nemici invasori, vinti, ma ancora sul proprio territorio, doveva per forza praticare una politica di moderazione, quindi impostata sulla metrioths e non sulla ferocia barbarica.
Noi abbiamo cercato con pazienza, in tanti anni di studio, i segni di una politica nei vangeli sinottici di un Gesù Methorios, uomo al confine tra due regni, un aramaico moderato, che ha insegnato una doppia via, una seguita dal fratello Jakobos, quella naziroa del Malkuth ha shemaim, ed una da Shaul Paulus ed evangelisti, che hanno, poi, a seconda delle situazioni, sviluppato in modo personale, l eredità politica e spirituale del Maran, Re/Maestro, martire aramaico.
Da lui dunque derivano e la via seguita da Giacomo e dagli aramaici, che vanno ciecamente, fiduciosi solo in Dio, alla guerra, alla distruzione del Tempio , ed arrivano, dopo la rivolta del 115-116, allo sterminio con Shimon bar Kokba e quella dei Christianoi antiocheni e di Paolo che, seguendo la metriotes, fondendo musar e paideia, tradizione ebraica e pagana, rompendo con la sinagoga- inquisita e condannata dalle autorità- hanno una loro possibilità di sopravvivenza nel territorio romano, nonostante le differenze di lettura, a seguito di skimmata ed erides ecclesiali, della medesima lezione del Signore e sopravvivono secondo una propria gerarchia, greca, in relazione alle zone di diffusione della Basileia tou Theou.
Giacomo, dopo un lungo periodo di connessione con i prefetti romani, irrigidisce la sua politica, specie negli ultimi anni di governatorato di Felice nell interpretazione integralista mesopotamica del pensiero del fratello a seguito della scoperta dei piani di distruzione romana dell etnos giudaico, mentre Paolo e gli evangelisti seguono l indirizzo moderato di comunione tra giudei e pagani e costituiscono su una struttura retorica una nuova base teologale e celebrano il mito di Gesù (figlio di Dio e di una Vergine, che, venuto in terra per redimere il mondo dal peccato originale, ucciso dal suo stesso popolo, risuscita) e lo rievocano con riti come modello di vita e lo considerano nomos empsuchos.
Vediamo, dunque, come Gesù sia stato per ambedue le vie una guida ..
Non è facile seguire la doppia indicazione di Gesù (cosa che richiede esami tecnici linguistici e storici): in questa sede portiamo solo alcuni esempi di moderazione politica che ci autorizzano a definire il Messia o politikos Cfr A Filipponi, Giuseppe o il Politico , eBook Narcissus 2011) e trascuriamo tanti altri.
Scegliamo, tra i tanti, due episodi, quelli più famosi, tratti da Marco.
ll primo (11,27) racconta di Gesù che, tornato a Gerusalemme per la terza volta, passeggia nel Tempio (viene usato il termine peripateo , aristotelico che indica un camminare e discutere con altri forse nel cortile dei gentili ), come uomo, che vincitore, domina la scena col suo seguito di naziroi
Il passeggiare sottende che già ha fatto l ingresso trionfale, davidico, in città, seduto su un puledro, tra gli osanna popolari, ma a sera del giorno del 7 nisan, periblepsamenos tauta avendo attentamente guardato intorno le cose, ecselthen eis Bhthanian metà toon doodeka uscì in direzione di Betania con i dodici.
Peripatein sottende anche il possesso del tempio da cui ha scacciato quelli che comprano e vendono, avendo rovesciato i tavoli dei trapeziti, cambiavalute, e banchi dei venditori di colombe facendo da despoths queste azioni e rimproverando, secondo i logia di Isaia (56,7) e di Geremia (7,11) che il tempio è diventato una spelonca di ladri quando è un luogo di preghiera ed impedendo di portare oggetti attraverso l area templare.
L evangelista, quindi, implicitamente dichiara che Gesù ha svolto la sua funzione militare avendo non solo exousia strategikh/potestas praetoria ma anche h toon dhmàrchoon exousia / potestas tribunicia.
Queste cose erano state fatte (si rilevi che poieoo è verbo molto difficile da intendere e che ha molti valori dal generico fare a creare di Dio kosmopoihths) il giorno 8 di Nisan e i sommi sacerdoti e gli scribi volevano ucciderlo, quando Gesù era nel cortile degli ebrei, ma temevano la folla: Gesù era andato via ed era tornato otan opse egeneto, quando giunse la sera, in una zona tra Betfage e Betania, il suo centro militare operativo.
Il giorno dopo , 9 Nisan, stando Gesù nel cortile dei gentili (non era entrato ancora in quello degli ebrei), mentre passeggia (con la Thiara parthica?!), si presentano i sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani, insomma il sinedrio al completo, filoromano e chiedono: en poia ecsousia (dativo singolare, con alfa ed iota sottoscritto) tauta poieis; con quale potere fai questo? ed aggiungono per meglio precisare la domanda h tis soi edooken thn ecsousian tauthn ina tauta poihis /o chi ti ha dato il potere di fare questo?,
La domanda, pur duplice, è una in quanto la seconda è pura richiesta del nome del datore di ecsousia, che tutti conoscono, ma non dicono e vogliono invece che Gesù lo dica espressamente.
Insomma si fa una richiesta ufficiale: chi rompe l ordine stabilito nel tempio stesso? con quale autorità lo faccia? Qui non si parla di autorità religiosa, di parola, di disputa
Le due precise domande sono fatte a chi ha turbato la normalità commerciale del tempio e quindi sottendono la presenza armata di chi ha preso militarmente il tempio, annientando anche la guarnigione romana sulla Torre Antonia e le truppe templari col loro strategos.
La prima domanda sottende che Gesù ha potestas sul popolo (ochlos) i leviti, il piccolo e medio sacerdozio, gli artigiani e i militari zelotai che l acclamano meshiah e che riconoscono in lui i segni della elezione divina dell unto del signore; la seconda è in relazione all ecsousia politico-militare, tipica del popolo romano cioè dell imperatore e del senato -dai quali dipende la provincia di Iudaea col Tempio di Gerusalemme- e fa intendere che si conosce il sostegno straniero (quello di Artabano III e di Areta IV) e si vuole una dichiarazione pubblica della reale autorità messianica.
Dunque il sinedrio esige una risposta politica, pubblica, da chi ha interrotto la normalità del Tempio gestito dai sadducei, protetto dai milites e dal diritto/ Ius romano.
Gesù si mostra o politikos , un politico abile nella comunicazione, diplomatico: non risponde alle domande, ma ne fa un altra marcando sempre il termine ecsousia e pone una condizione, (con un periodo ipotetico di II tipo) in tono imperativo: se mi risponderete, vi dirò con quale potere faccio queste cose: to baptisma to Jooannou ecs ouranou hn h ecs anthroopoon; apokrithte moi/ il battesimo diGiovanni era dal Dio o dagli uomini? rispondetemi.
E una sfida al sinedrio! c è coscienza da parte del Messia di avere in pugno la situazione politica e di essere il vincitore, a cui i settanta devono piegarsi, allinearsi, inchinarsi anche perché rischiano la vita e dichiarare ouk oidamen/non sappiamo, costretti a professarsi ignoranti davanti al popolo e quindi a rassegnare le dimissioni
E la massima umiliazione per un sophisths: un maestro di vita che non sa, perde il diritto di guidare ed ogni dignità, che deriva dalla saggezza profetica!
E ammissione pubblica di non aver riconosciuto i segni della missione divina di Giovanni, della sua ecsousia celeste, di averlo lasciato solo davanti al potere romano ed erodiano, di averlo così condannato a morte
Il ragionamento del sinedrio, anche se individuale, presuppone già nel verbo dialogizoo una febbrile attività interiore razionale, al fine di una soluzione possibile all aut aut del Christos, con la pressione imperativa dell immediatezza della risposta.
La coscienza che qualsiasi delle due risposte sarebbe stata non giusta ed avrebbe avuto ripercussioni sulla stessa incolumità sinedriale, aumenta l incertezza dei singoli e determina la confessione di ignoranza, unica possibilità di reale salvezza.
Infatti per l evangelista ognuno degli oppositori, che pur desiderano la risposta ufficiale, da inviare al senato e all imperatore romano, ha la coscienza di correre un pericolo mortale o da parte del Messia o da parte del popolo: dire che il battesimo di Giovanni era dal cielo significava ammettere davanti al Signore, annunciato dal precursore, la propria colpa e confessare di non essere uomini di Dio, ma suoi nemici e quindi giustificare la condanna a morte in quanto menzogneri; dire che derivava dagli uomini, equivaleva ad una condanna alla lapidazione popolare perché Giovanni era considerato propheths.
Un vero politico è Gesù che realizza i sogni dei suoi seguaci aramaici, vedere umiliati e rei confessi i nemici, ma moderato nella vendetta, come un ellenista che si rifugia nel rifiuto di comunicazione con uomini non degni, menzogneri! Infatti dice: neanche io dico con quale autorità faccio queste cose.
Matteo (21,23-27)e Marco dicono sostanzialmente lo stesso pensiero e scrivono la stesse parole oude egoo legoo umin en poia ecsousia tauta poioo, mentre Luca (2.1-8) fa una premessa su Gesù che in quei giorni istruisce il popolo nel tempio ed annuncia la buona novella, per cui il resto del racconto, seppure simile a quello degli altri evangelisti, assume un valore solo morale.
Il secondo episodio (Mc12,13-17), è quello che più di ogni altro mi ha fatto perdere sonno (cfr. Il tributo a Cesare in Jehoshua o Iesous ? cit. pp. 173-179)
Il vecchio sinedrio non ha più potere in Gerusalemme e Gesù ne sta formando uno nuovo.
Da oppositori nascosti, dopo la paura del precedente incontro, vengono inviati al Signore/Despoths farisei (di cui non si conosce il preciso indirizzo- di norma i farisei sono molto fedeli al Messia-) ed erodiani, intenzionati a comprometterlo ulteriormente coi romani.
Questo è l effettivo valore della proposizione finale ina auton agreusoosin logooi in quel cotesto e in quel contesto: il verbo agreuoo è dell area semantica della pesca ( o caccia) ed indica un pescatore/cacciatore agreus che con rete (o amo o laccio) fa preda (agreuma): quindi qui si vuole prendere al laccio il Messia con qualche parola (logos) da riferire ai mandanti romani.
I richiedenti sono politici, uomini che sanno conquistare il proprio interlocutore con la retorica ed usare la captatio benevolentiae e che lo chiamano maestro (didaskalos /rabbi non è dell epoca tiberiana!) Despoths /maran, affermando di sapere (oidamen) che lui è alethhs (non menzognero), che non guarda in faccia gli uomini e che segue la via di Dio secondo verità: essi, seppure retoricamente, prima professano di riconoscerlo come Messia e poi chiedono: ecsestin dounai khnson kaisari h ou; doomen h mh doomen;
La domanda è come quella di Gesù precedente: si può rispondere solo si o no e la risposta ha valore di una dichiarazione di guerra se negativa, se è positiva ha valore di negazione dell impresa messianica, di fine del Malkuth ha shemaim e ritorno alla normalità di soggezione alla romanità con la conseguenza della lapidazione del menzognero che ha tradito le attese popolari.
Diamo o non diamo ? come congiuntivo esortativo, in forma interrogativa ha significato pratico finanziario che necessita di un azione concreta di sborsare telein (non dounai azione sponta nea!)quanto dovuto al senato e all imperatore: o si dà il dovuto a Cesare e si torna sotto il controllo della censura romana e dei pubblicani; o non si dà il denario perché già moneta impura in quanto ha l effigie di Cesare, non toccabile per il giudeo puro , che non si serve del denario o, caso mai , usa siclo e suz (con l implicito ritorno dei banchi dei cambiavalute) e si riprende lo stato di belligeranza, dopo la pausa della purificazione del tempio
Dato l uso della prima persona plurale doomen h doomen? sottende un ravvicinato colloquio tra chi chiede e chi deve rispondere, un guardarsi negli occhi di emittente e ricevente e tutti quelli che seguono le due parti coinvolte emotivamente nella stessa drammatica azione, e risulta un confronto, quasi un diretto incontro-scontro, tra avversari (non nemici)
Sono, dunque, concrete domande in relazione al modo di comportamento quotidiano coi pubblicani, che implicano la volontà di conoscere il reale pensiero del Meshiah, che ha ecsousia tamieutikh potere censorio
Bisogna vedere che Gesù sta col nuovo strategos del tempio e con il tamias amministratore e quindi anche col suo clero fedele di esseni che, hanno sostituito i sadducei. Non deve sorprendere in tale situazione la richiesta di portare un denario al suo interlocutore, che è in febbrile attesa con gli altri farisei, intenzionati, anche secondo Matteo, a prenderlo in trappola mediante la parola (Pagideusoosin en logooi)!
Il problema sulla liceità del tributo romano e sul dovere giudaico del pagamento comporta da una parte l esclusione dal cleronomos dei figli con scelta di un altro popolo eletto e da un altra la fine del pensiero theocratico di Dio Padrone unico di Israel, proprio ora che c è il Meshiah, che è stato instaurato il Malkuth ha shemaim...
Ogni uomo presente nel cortile degli gentili si attende, invece, un solenne pronunciamento e quindi che il meshiah sancisca definitivamente il diritto ebraico del cleronomos ed abolisca il dovere pagare il tributo ai romani, come aveva fatto Giuda il gaulanita .
Gesù, incurante dell ipocrisia farisaica e della malizia, comanda che gli sia portato il denario per vederlo (pherete moi dhnarion ina idoo).
Gesù osserva, (senza toccarlo) il denario con la testa di Tiberio laureata e volta a destra, e legge l iscrizione TICAESAR DIVI C AUG. F AUGUSTUS e forse (per prendere tempo) vede (dopo averlo fatto girare) anche il retro con la figura di Tiberio che guida una quadriga e che ha nella mano destra un ramo d alloro e nella sinistra uno scettro con aquila, con sotto scritto gli anni del pontificato massimo e quelli del suo regno.
La domanda tinos h eikoon kai h epigraphh; di chi è questa immagine e l iscrizione ?, scontata, è stata per secoli letta dai Christianoi come fatta non secondo l epoca tiberiana, ma secondo quella flavia quando il tempio non esisteva più e già Vespasiano aveva stabilito un nuovo tributo fiscus iudaicus da versare conglobato, nel fisco imperiale
La valenza significativa è diversa a seconda dei tempi, specie se c è stata la stasis vittoriosa messianica: non si può leggere la risposta di Gesù come accettazione del potere romano e come suddivisione di campi come frase che sancisce un doppio servitium ad una doppia autorità, distinta in una umana e in una divina, paritariamente, da parte di un Messia, spirituale, figlio di Dio; si deve leggere invece come una risposta di un politikos che nel contesto templare, da Meshiah, che è entrato trionfalmente in città ed ha preso il tempio, ed ora, dopo la purificazione, in un clima festoso, mostra clemenza e moderazione, a vittoria conseguita.
La richiesta del denario è in relazione alla già studiata risposta, spettacolare, tanto da destare meraviglia in tutti (ecsethaumazon), come segno di una diplomazia politica, tesa a non tagliare ogni ponte col potente nemico, momentaneamente sconfitto, date le infinite risorse finanziarie economiche e militari dell imperium romano
C è coscienza della propria precaria situazione regale, methoria rispetto ai Parthi e ai romani
C è una logica di rispetto per i romani, con una coscienza della propria propria missione ancora da ultimare; rinviare, quindi, è atto astuto che permette d i soprassedere e procrasticare circa la liceità e il gioco -antitetico del pagare (telein ) o non pagare.
Da politikos, Gesù sa bene che il suo Malkuth è uno stato vassallo, associato all impero parthico, non riconosciuto da Roma e quindi è abile a lasciarsi uno spazio diplomatico per eventuale tregua in attesa di avvenimenti, da opportunista eukairos, capace di tranquillizzare i suoi irriducibili galilei integralisti con un sguardo di intesa e di complicità, negante perfino quanto si dice espressamente per convenienza politica: la parola contraddice l azione e l azione la parola.
D altra arte non si espone coi suoi detrattori politici che cercano materiale orale da inviare al senato romano e all imperatore, come atto di accusa connesso con gli accadimenti dei giorni pasquali: la sua doppiezza nasconde sotto l ufficialità del detto ambiguo tutta la tradizione di odio aramaico secolare contro Roma, sottesa nello Shema basata sul timore di un solo signore, immortale .
Il breve scambio domanda-risposta tra il Messia e l interlocutore sintetizza la conclusione rapida della discussione e la tronca (Tinos h eikoon auth kai epigraphh?.. Kaisaros) bruscamente con tono autoritario una doppia frase iussiva, strutturata secondo una perfetta simmetria con ellissi di apodote nel secondo membro della proposizione coordinata che è giustamente diventata apoftegma di rara efficacia morale, mirabile per la società cristiana- abile opportunisticamente a servire ora l uno ora l altro- .Ta kaisaros apodote Kaisari, kai ta tou theou tooi theooi è ancora oggi di attualità
Dunque, si può dire che Gesù dimostra ha una sua abilità politica, congiunta ad una retorica basata sul gioco dell equivoco e dell ambiguo,
Gesù segue il modello di Areta IV, che agli inizi del regno, domina sui nabatei senza il riconoscimento romano, poi si avvicina a loro tanto da essere riconosciuto come socius ed infine accoglie come ospite e Petra sia Germanico, che ha imperium proconsulare maius per l Oriente, che Pisone, governatore di Siria, anche se rimane sempre ambiguo nella sua politica?
L a politica di Gesù e quella di Areta IV possono essere in relazione specie dopo la fine del matrimonio venticinquennale di sua figlia Dasha, ripudiata da Erode Antipa, per sposare sua nipote Erodiade sorella di Erode Agrippa, a seguito della decapitazione di Giovanni?..
Il vecchio monarca seguace del Giovanni il battista fu guida politica anche per Gesù?: Tiberio inviando nel 35 in Siria Lucio Vitellio gli dà mandato di punire Artabano III e di portargli vivo o morto la testa di Areta .
Gesù, o politikos, inoltre non si vede nel colloquio con Pilato? cfrMatteo 27,11; Marco 5, 2-15 , LUCA 23, 2-5. Alla domanda del procuratore Su ei o basileus toon iudaioon; tu sei il re dei giudei? Gesù risponde su legeis tu dici (cf. Pilato in Jehoshua o Iesous?pp.231-235, cit) da aramaico atta amarta/tu dicis (latino) ribadendo quanto detto dall inquisitore senza intenzione personale di positiva dichiarazione: il giudeo sa quanto è inviso il termine basileus in Roma e quanto complesso sia invece il termine meshiah per un goy/pagano, che non può comprendere la struttura intima della connessione di ieroosunh sacerdozio con l unzione regale giudaica
Per un pescatore aramaico era più conveniente vivere a Betsaida o a Cafarnao, in epoca Tiberiana?
Betsaida, era, sotto il regno di Erode il Grande 38 a. C. -4 a.C, un paese, i cui abitanti erano quasi tutti agricoltori e i pochi, che facevano i pescatori, stentavano a campare.
I pescatori erano ebrei di lingua aramaica, che avevano una barchetta, lasciata sulla spiaggia, fissata alla meglio, ed avevano legami stretti con le popolazioni della Traconitide e della Gaulanitide e tramite queste, con i correligionari Parthi, stanziati oltre Il confine dell Eufrate.
Probabilmente a Betsaida i giudei erano analfabeti ed avevano solo una tradizione orale biblica (Torah she be alpé): avevano avuto un istruzione sommaria ad opera di maestri di sinagoga, dal periodo di Giovanni Hircano, (re asmoneo dal 134-al 104 a.C) che avevano fissato le prescrizioni più importanti, che venivano ricordate nel corso delle preghiere giornaliere dal Kohen ( per pregare bisogna essere in almeno dieci persone-minian-, oltre a colui che intona Shema , Israel, Adonai elohenu, Adonai echad )
I giudei, pescatori, stazionavano sempre sulla rive del lago di Gennezaret, che era abbastanza lontano dalle case (circa 2 km) e normalmente depositavano il pescato nell altra sponda, oltre il Giordano, dove correligionari compravano il loro pesce perché formavano una comunità ebraica, che aveva depositi per l affumicatura, per la essiccatura e per l imbarilamento.
Alla morte di Erode il Grande, Betsaida era toccata in eredità a Filippo, il figlio di Cleopatra gerosolomitana, che aveva avuto Traconitide, Iturea, Paneas, Auranitide e Gaulanitide; ad Erode Antipa figlio di Maltace samaritana, erano capitate Galilea e Perea, col titolo di Tetrarca per entrambi , mentre Archelao altro figlio di Maltace, oltre il titolo di Etnarca, aveva il potere su ogni altra parte della provincia di Iudaea, tranne la costa mediterranea, concessa a Salome, sorella del grande Re.
Questa divisione divenne un male per i pescatori di Betsaida specie dopo che Archelao nel 6 d. C. fu esautorato da Augusto, che creò la sotto provincia di Iudaea, (Idumea, Samaria e Samaria ) alle dipendenze di un procuratore imperiale, sottoposto al Prefetto di Siria.
Ora i pescatori dovevano pagare se volevano passare il confine del Giordano, perché entravano sotto la tetrarchia di Erode Antipa, che imponeva una tassa, concordata col procuratore romano,il quale aveva stanziato una guarnigione militare all uscita da Cafarnao, per proteggersi da pericolose congiunzioni ed alleanze tra aramaici , vista la rivolta di Giuda il Gaulanita, di recente repressa.
I pescatori dovevano pagare una tassa quando si attraversava il confine tra la tetrarchia di Erode Antipa e quella di Filippo al centurione, comandante della postazione.
Andrea e Simone, figli di Giona (Johanan), oltre a Filippo, aramaici, emigrarono da Betsaida, quando il paese s ingrandì e divenne Iulia, una città costruita per ordine del tetrarca, divisa in cardo e decumanus , come i castra romani, chiamata così in onore di Giulia Livia moglie di Augusto, morta nel 29 d.C, dove confluirono molti ellenizzati, chiamati dal Tetrarca a colonizzare la sua città, come stava facendo il suo fratellastro con Tiberiade, chiamata così in onore di Tiberio, quasi nello stesso periodo.
Mentre nelle due sponde del Lago ferveva il lavoro di costruzione delle due capitali, -ordinate dai figli di Erode come esaltazione del nomen di Roma e come gratitudine per la domus imperiale e le città prendevano forma ad opera dei qainiti,- mastri muratori che operavano con le loro squadre, pagate in sesterzi, a dimostrazione dell avvenuta ellenizzazione della zona-, i figli di Johna con Filippo passarono dall altra parte del lago.
I tre emigrarono anche per convenienza, oltre che per la necessità di separazione dai goyim,- considerata l integrità morale dell aramaico galilaico- e si stanziarono a Cafarnao, divenendo sudditi di Erode Antipa e non pagavano più il pedaggio sul pescato.
Erode Antipa intorno al 26 d.C. tendeva anche lui ad ellenizzare il suo popolo di Galilei e di Peraiti (abitanti di Perea) e perciò, dopo la costruzione della sua capitale e del trasferimento degli archivi da Sepphoris, aveva costituito nuovi grandi depositi sia a Cafarnao che a Tarichea/Magdala per la conservazione del pesce, messo in barili, affumicato o in salamoia.
Il Giordano alla confluenza col lago ora era il confine settentrionale tra le due Tetrarchie erodiane, e a Cafarnao c era la sede degli uffici doganali (Mt 9,9) con una piccola guarnigione militare alle dipendenze di un centurione (Mt 8,5), che controllava le carovane che venivano dal Monte Hermon. e da Cesarea di Filippo (Banias), dove c era il santuario di Pan, in marmo bianco, dedicato da Erode il Grande ad Augusto.
La facciata del tempio, che era su una sporgenza rocciosa su cui erano scavate una grotta e tre nicchie (in quella centrale c erano iscrizioni), potrebbe essere quella rappresentata nelle monete, coniate da Filippo col frontone, sostenuto da quattro colonne Ora, nella nuova sede, i figli di Giona e l amico, nonostante l aramaicità, conclamata, risiedevano con le rispettive famiglie vicino al lago ed erano in rapporti con ellenizzati (anche loro già dovevano essere uomini ellenizzati, considerati i nomi specie di Andrea e di Filippo, -ma anche quello di Petros Cepha -).
Il trasferimento, anche se non si sa l esatta epoca, sembra, dunque, essere più motivato da interesse che da fattori religiosi, più da una esigenza sociale che di una ricerca spirituale in uomini che cercavano di sopravvivere in uno stato di chiara povertà ed anelavano ad un miglioramento del tenore di vita, considerate le famiglie dei tre, che formavano un nucleo di almeno quindici persone ( se è vero che Pietro aveva- secondo la tradizione cristiana- con sé moglie e cinque figli !), visto il transito di persone e di carri, scortati da milizie parthiche secondo trattati tra Il re dei re e l imperatore romano per il trasporto della doppia dracma al Tempio e il libero passaggio di pellegrini, considerata l attività commerciale di Cafarnao e la presenza di una sinagoga, rispetto al sistema agricolo della vecchia Betsaida.
La posizione geografica , a nord ovest del lago, ai confini tra la tribù di Zabulon e Neftali, faceva di Cafarnao uno snodo stradale di grande rilievo nella Via del Mare che congiungeva Damasco col Mediterraneo.
Già Isaia (9,1, ) (Il popolo che camminava nelle tenebre / vide un grande splendore /su chi abitava in una regione caliginosa rifulse la luce ) per la tradizione cristiana prevedeva l irradiazione dell idea messianica da Cafarnao, da cui sarebbe sorta la luce proprio dalle tenebre del paganesimo galilaico.
Così J.Murphy- O Connor, La terra santa , CED 1996, p..2O5 descrive Betsaida.
Il sito si trova a 750 metri a nord dell incrocio per Betsaida sul lato ovest della strada 888 (area destinata da un parco nazionale).. si tratta di una casa di 430 metri risalente al II secolo av.C.-I sec. d.C.,costruita intorno ai tre lati di un cortile lastricato metri 13,5 X7 : vi sono quattro piccole stanze dalla parte nord, una cucina con due forni dalla parte est ed una sola grande stanza dalla parte sud . Sparsi in queste stanze sono stati ritrovati un amo da pesca pesi di piombo per le reti, ed un ago di bronzo curvo che potrebbe essere stato usato per fare o riparare una vela. E difficile non concludere che quella fosse una casa di una famiglia di pescatori.
Anche Marco (1.16) tratta di famiglie di pescatori sia a Betsaida che a Cafarnao (Kaphernaum). Non c è da stupirsi, dunque,se più nuclei familiari vivano in una stessa casa di simili dimensioni e con un cortile lastricato di metri 94,5.
Marco 2.1 e Matteo 9.1 sembrano considerare Cafarnao come la città di Gesù, destinata , comunque, a precipitare all inferno per la sua incredulità ai miracoli (Matteo 11,23, Luca 10,15)...
Il paese si estendeva lungo il fronte del lago per circa 500 metri e doveva essere, comunque, povero perché popolato da agricoltori e in maggioranza da pescatori che, nonostante la cooperativa, erano schiacciati dalla concorrenza con Magdala/Tarichea a sud del Lago.
Forse per questo motivo la sinagoga fu fatta da un pagano, quel Cornelio centurione, di cui parla Matteo 9,9., un militare di stanza nella zona da anni (la ferma all epoca era di 26 anni), un convertito un circonciso, uno strano miles, che serviva due padroni (Jhwh e l imperatore) che amava la Torah, senza disdegnare il suo dovere nei confronti dell impero, in un zona dove lo spirito guerriero antiromano era alimentato dai Farisei che predicavano il Timore di Dio, ricordando che l ebreo aveva un solo Signore, immortale!
La zona era sicuramente dominata da ebrei aramaici prima della fine del Tempio, ma anche dopo il 70 d.C, nel periodo che precede l impresa di Shimon bar Kokba (132-135) e pur dopo, fino all epoca di Teodosio, considerati i rapporti con l area mesopotamica
Non è da accettare, comunque, la notizia del 374 di Epifanio di Salamina (315-403) che in De Ponderibus et mensuris ed. Migne II ,259-60 (dove tratta nella terza parte delle località cristiane, -cosa che ribadisce in Panarion cassetta di medicazione, in cui mostra 60 eresie cristiane e 20 precristiane-) scrive: a Cafarnao si proibiva di vivere e si vietava perfino l accesso ai gentili, ai samaritani e ai cristiani. Forse il cristiano- la cui prima opera è tramandata totalmente solo in siriaco, mentre in greco esistono la I parte e frammenti della II -, si riferisce solo al periodo traianeo ed adrianeo perché i testi rabbinici poi parlano di normali relazioni fra ebrei e le altre popolazioni
Infatti si sa che la città si estese, dopo la galuth adrianea, molti giudei di Iudaea si stabilirono a Cafarnao verso la collina e ciascuno aveva i suoi luoghi sacri come testimonia Egeria (una ricca ispanica o gallica) nel resoconto della sua visita al paese fra il 381 e 384 in Itinerarium Aegeriae (o Peregrinatio Aeteriae): a Cafarnao la casa del principe degli apostoli è stata trasformata in una chiesa che possiede ancora i propri muri originali Lì c è anche la sinagoga dove il signore guarì un uomo posseduto dal demonio. L ingresso è in cima di molti gradini ed è fatto di pietra lavorata
La condizione di vita galilaica era mutata, comunque, dopo la morte di Filippo, con Erode Agrippa, nominato prima tetrarca da Caligola al posto dello zio, e poi dopo la nomina a tetrarca di Galilea e Perea, Rex Iudaeae ad opera di Claudio, che così riuniva tutti i territori dell ex regno di Erode il grande e quindi esentava da tasse tutti i suoi concittadini. (Cfr. Giudaismo romano,II ).
Per oltre tre anni (41-44) la comunità di Cafarnao, sotto l amministrazione di Erode Agrippa, dovette fiorire, dato il libero commercio tra le parti riunite del mondo giudaico e i rapporti sia con la Nabatea e le altre province vicine, interessate e al pescato e al sale e al commercio di balsami di Gerico, trasportati da barche galilaiche.
Il commercio fu meno fiorente solo rispetto al periodo 32- 36 d.C. all epoca del Meshiah: dopo l evento del Malkuth ha shemaim, con Jehoshua maran/re per quasi 5 anni a Gerusalemme, dopo la resa di ogni città lungo il percorso, dopo la pacifica entrata e la conquista del tempio, nonostante la difesa dei milites della fortezza Antonia ( Cfr. Jehoshua o Jesous? ) Cafarnao e la sua Comunità erano celebrate come la luce nelle tenebre, come un apokàlupsis / rivelazione per l oikoumenh romano-ellenistica ed i pescatori del lago divennero i protagonisti del messianesimo e tutti volevano avere relazioni con loro, da ogni parte e dai confratelli di Parthia e da quelli ellenistici sparsi nell impero romano
Il regno di Jehoshua fu un affare per i galilei e per ogni abitante di Cafarnao, anche se il messia si lamentò molto di loro increduli e disse secondo Matteo 11,21 : Guai a te, Corazain; Guai a te, Betsaida e 11,23 Guai a te Cafarnao, forse che fino al cielo sarai innalzata? fino all inferno sarai precipitata!- ripreso poi da Luca 10, 13-15: Gesù bolla le città mettendole in confronto con Tiro e Sidone, località pagane fenicie, note per il commercio e soprattutto con Sodoma già punita da Dio ..
Anche quello di Agrippa prometteva bene perché assicurava un nuovo sistema di rapporti con i vicini ed eliminava la concorrenza
Il re, ebreo di Gerusalemme, erede degli asmonei e degli erodiani, nonostante la filoromanità, (era civis/Poliths, praetor/strategos Basileus/ rex, summachos/ socius, dell impero romano, fratello di latte dell imperatore Claudio) era uomo di mediazione- sebbene accusato anche lui di menzogna-: cercava un sistema nuovo di regno cercando di essere equidistante tra gli aramaici e i romani facendo leva sulla pars moderata ellenistica sadducea, senza però condannare gli aramaici, seguaci del Christos, come Iakobos il Giusto, riconosciuto nella sua funzione e nel suo ufficio di controllore del gazophulakion, nella sua pratica templare col titolo sacerdotale, seppure condiviso con quello proprio dei sadducei, accettando il doppio sistema del calendario solare e lunare
Probabilmente Agrippa inaugurò con Giacomo un costume di collaborazione al fine di favorire lo svolgimento delle feste a Gerusalemme, così da spartire, in proporzione, i guadagni che provenivano dal flusso di pellegrini che affluivano da ogni parte del mondo romano e da quello parthico e perfino dall Arabia meridionale e dall India.
Era un profitto di grande portata, un utile grande per il re e per il sacerdozio templare: era come un giubileo (specie per la Pasqua e per la festa dei Tabernacoli) che richiamava folle sterminate di fedeli che riempivano gli csenodochia / gli alberghi, le case private, i paesi intorno a Gerusalemme, che entravano nel Tempio, per fare offerte doni., per portare greggi, buoi insomma era un enorme affare per il sacerdozio e per il re, per tutti
Il piano, che fu concordato da Agrippa con Jakobos, fu la base di una trattazione tra il fratello di Gesù e i nuovi governatori romani, di origine ebraica ( Cuspio Fado, Tiberio Alessandro, Felice,) ed anche con gli altri ( Porcio Festo e Lucceio Albino) inviati da Claudio prima e poi da Nerone, dopo l immatura morte del sovrano ebraico
Agrippa, comunque, non poteva non punire quelli che si erano troppo esposti e compromessi come kanahim Zelotai, e perciò li condannò a morte, salvando qualcuno, che si pentì, come Shimon Pietro, che fu liberato dal carcere, mentre fece decapitare perché civis, Jaqob fratello di Johanan, figlio di Zebedeo, un ricco armatore nauarchos ed emporos, noto per la azioni militari antiromane, nel corso delle operazioni rivoluzionarie messianiche. e fece morire con una morte gloriosa, dignitosa, gli altri oppositori.
Nell anfiteatro di Cesarea Marittima, infatti, indisse combattimenti fra confratelli, zeloti, divisi in gruppi, come gladiatori, come in un suicidio di massa, come esaltazione del valore di gruppo e riconoscimento militare da parte del sovrano, che ambiguamente e politicamente salvava la faccia con l imperatore: sapeva che per i romani quel che contava era l applicazione della lex,- la condanna a morte dei nemici- con la confisca dei beni giudaici e vi aggiungeva il divertimento allestito per i goyim pagani, greci.
Erode Agrippa ben Aristobulo, -che era stato, a corte, a Tiberiade, presso la sorella Erodiade, moglie e nipote del tetrarca philadelphos, con la sua famiglia, come addetto ai mercati e che aveva conosciuto anche il Meshiah, non poteva dimenticarsi del suo popolo e non sentirsi vincolato dal patto eterno con Jhwh.
Agrippa conosceva bene la comunità di pescatori di Cafarnao e perfino Matthaios il pubblicano che era al suo servizio diretto ..
Dell amore per la torah del sovrano nessuno dubitava in Iudaea: lo provava la sua preghiera al Tempio quotidiana, lo dimostrava la sua offerta mensile ai sacerdoti, lo comprovavano le donazioni al gazophulahkion, l assistenza ai poveri della città e la sua dikaiousune, ma soprattutto la sua politica a favore dell elemento ebraico con le consociazioni coi re filogiudaici o giudaici, come difesa contro il prepotere del Governatore di Siria Vibio Marso
Erode Agrippa era sempre apparentemente ligio alla romanitas anche se la sua politica era equivoca ed ambigua: era un ebreo opportunista; anche se filoromano impegnato politicamente restava sempre ebreo, come ogni erodiano, dilacerato nel suo dolore nel mettere a morte tanti compatrioti valorosi, eroi degni di memoria, giusti da onorare pubblicamente anche nella morte: era un ostentazione amara della tragedia di un popolo
Infine tutti avevano conosciuto la sua devozione verso Caligola, la sua perorazione per il suo popolo perché non fosse costretto a dover scegliere tra l imperatore e Dio, la sua preghiera di non fare l affronto ad un popolo amico di porre nel Tempio di Gerusalemme, antico e sacro, una statua- seppure statua dell imperatore-: sarebbe stato sacrilegio per lui, figlio di sommi sacerdoti e di re, come per il suo genos intero.
Era risaputo che Agrippa era malato di cuore e che l emozione mista a phobos/paura gli aveva fatto perdere i sensi e che l imperapore stesso, commosso, comandò di riportarlo in lettiga a casa sua e di curare la salute dell amico didaskalos maestro, che pur aveva osato sfidarlo coram populo e coram principis consilio.Cfr Legatio ad Gaium
Ancora di più era nota agli aramaici la sua azione di sostegno a corte per Petronio Turpiliano, governatore di Siria che doveva eseguire l ordine di installare il colosso di Caligola nel tempio di Gerusalemme e di fare stragi e di deportare l intera popolazione aramaica in caso di ribellione
A Petronio incerto sul da farsi si presentarono i giudei ( un popolo intero in processione con le mogli e i figli nella pianura di Tolemaide) supplicando in favore delle leggi patrie e di se stessi -Guerra Giudaica II,10,3-e mostrando i colli preferendo morire piuttosto che tradire la legge mosaica, offrendosi come agnelli per ilsacrificio, tanto che il governatore, turbato, dopo aver convocato il suo consilium, visto che gli ebrei si erano accampati e non tornavano a casa per seminare disse: preferisco correre il rischio e con l aiuto di Dio convincerò Cesare avrò la gioia di essere salvo insieme con voi, o se egli si adirerà, sarò pronto a dare la vita per un così grande numero di persone ibidem II,10,20
Non certamente, però, conoscevano che Agrippa aveva congiurato contro Caligola ed era stato un promotore della sua morte
Comunque, ora con Claudio, anche se gli ebrei non dovevano più fare proselitismo, erano liberi e non pagavano più tasse ai romani ma solo davano la doppia dracma al tempio
Anche se Erode Agrippa era per gli aramaici, il loro re che avevano avuto accanto quando svolgeva la sua funzione di agoranomos a Tiberiade per ordine del cognato Erode Antipa restava per loro sempre un re dipendente da Roma, ma giudeo, comunque, che poteva favorire in qualche modo i confratelli e ricordare il Meshiah , suo predecessore nel Malkuth
E Cafarnao restava la sede di un movimento messianico, da cui sarebbe venuta una luce perenne altri uomini, come Teuda, avrebbero promesso di redimere il popolo
Dunque, amici, era meglio vivere a Cafarnao o a Betsaida per un un aramaico come Cefa/Simon Pietro?
Per la genesi dei Vangeli, a nostro parere, non bisogna più stare a ragionare secondo la logica ottocentesca sinottica, né secondo quella della theoria di Quelle /sorgente, elaborata agli inizi del Novecento, né secondo quella più recente delle due fonti, ma bisogna tenere presente un lungo periodo di oralità dalla morte di Gesù Mashiah/Christos, un eroe nazionale aramaico, celebrato in due diversi modi (e da una tradizione aramaico-ebraica gerosolomitana e da una ebraico-ellenistica antiochena ed alessandrina.
J.J. Griesbach (1745-1812) per primo considera i Vangeli leggibili unitariamente e li definisce sinottici (sunoptikos da sunopteon -oraoo chi ha una visione d insieme o chi è perspicace, in quanto è capace di vedere l insieme), presupponendo che il messaggio evangelico sia unitario e di univoca lettura.
Chiaramente gli scrittori ottocenteschi e novecenteschi non hanno la corretta visione del fenomeno del cristianesimo primitivo e non fanno la distinzione in Malkuth ha shamaim- un regno secondo lingua e cultura aramaica- e in Basileia tou Teou un regno secondo lingua e cultura greca e perciò non considerano affatto la lezione ebraico-aramaica, la sua storia di duecento anni di lotte staseis antiromane, che comprende tutto il periodo che va da Pompeo Magno a Shimon bar Kokba (63 a.C. -135 d. C. ), ma leggono allegoricamente parole e fatti di un Gesù, figlio di Dio, di una figura astorica, secondo la tradizione cristiana.
Si parte, dunque, solo da una lettura del fenomeno greco e si trascura quello ebraico-siriaco-aramaico, non avendo i precisi contorni della figura ebraico -aramaica di Jehoshua, di Iaqob, di Shimon e della comunità aramaica di Gerusalemme, cancellata come nome, essendo scomparsa la regione stessa della Giudea anche come entità geografica con la repressione di Adriano, a seguito della galuth/dispersione ebraica,- da non confondere con la diaspora ellenistica-.
Personalmente, invece, distinguo i due mondi, quello ebraico-aramaico, basato su una diversa concezione del vedere, puntata su un diverso sistema di staticità (i cui termini sono amidah/stare saldo generico, precisato da nasav stare eretto e da yasav essere eretto che si rappresenta come sur roccia intesa come coltelli di roccia di granito ) e su una concezione sensibile di bene e di male (tov wa ra ) e di una, ontologica, intellegibile, di vero e falso ( emet wa sheqer), e specie di una diversa idea di visione.
Su un altra visione,- propriamente ebraica, basata su vedere ra ah su guardare hibbit e su avere una visione hazah in modo differenziato- si possono indicare vari gradi di osservazione fisica ma anche designare una percezione intellettuale tanto da avere la forma/temunah (come vera natura di Dio- Num.12,8) in seguito ad un aprirsi degli organi a cui è tolto il velo così da leggere oltre la vista sensibile (paqah), in un cosciente andare verso Dio, in un approssimarsi ed avvicinarsi nuovo, rispetto a quello materiale, in un sollevamento verso l alto ram, in un alzarsi qimah grazie al cuore lev, centro sensibile affettivo infi al- su cui poggia la spiritualità aramaica, tipica della tradizione culturale mesopotamica.
Il Davar sottende al significato primario di parola, anche quello di azione e prudenza in quanto il dire amirah (o parlare dibbur ) accompagnato da spirito (ruach) è base della ricerca intensa dell uomo ( cfr. Levitico 10, 16 dorosh darash fece pure continue ricerche) ( cfr. Proverbi16,10-11, oracolo sulle labbra del re, nel giudizio non prevalicherà la sua bocca/ peso e bilance giuste sono di Jhwh, opere sue sono tutti i pesi della borsa) che diventa saggio (proprio perché umile), in una progressiva formazione: musar è la formazione culturale di un sofer, che si esprime nell azione giusta, saggia.
Ora il progressivo salire alah, introdotto da Paolo e da Luca indica eccellenza e grandezza, che sono attributi di Dio, per cui Gesù Christos diventa con un graduale processo, figlio di Dio, in senso mosaico, nel corso di tre secoli, passando da eroe ad aner theios, a semieroe divino , a dio minore fino all assimilazione con il Theos Upsistos, fino ad essere considerato una sostanza ousia divina, un nome esplicito (Shem meforash) di cui si celebrano tre upostaseis persone, consustanziali.
La lettura paolina ebraico-ellenistica, christiana, portata avanti dalla tradizione antiochena, letterale, mista con quella allegorico-morale alessandrina, contrasta con quella ebraico- aramaica.
I termini, infatti, (sottesi ) qarav avvicinarsi, nagah toccare e nagash venire vicino indicano anche dopo, oltre un millennio, per Maimonide, non solo una prossimità spaziale, ma anche una congiunzione della scienza con il suo oggetto, in quanto si assimila la scienza ad un corpo che si avvicina ad un altro corpo. cfr. Guida dei perplessi, a cura di Mauro Zonta, Utet, 2013, p.114, per cui sembra che si possa dire che essere saldi, vedere e avvicinarsi diventano espressione di un altra cultura, di un mondo di puri e perfetti sacerdoti, timorosi e zelanti di fede, coscienti di essere figli di Dio, eredi del Regno, (come furono i naziroi) irriducibili guerrieri, che preferiscono morire piuttosto che infrangere la Torah, imitando gli Esseni, sterminati dalla decima legione di Vespasiano.
Quindi nella narrazione del Malkuth ha shemaim è scritta la storia di uomini che lottano insieme col Mashiah contro l imperium romano, convinti di fare la storia voluta da Dio, ispirata e condotta da lui per la realizzazione del piano divino, conformati alla sua sua parola e quindi educati secondo musar.
La storia di Gesù greco, invece, è Basileia tou Thèou, la cui vita e le cui parole sono state scritte, dopo un lungo periodo di oralità, da uomini che vogliono consolidare il pensiero ebraico ellenistico di Paolo, che risulta elemento cardine della formulazione di questo secondo regno, filoromano, basato su una paideia greca, una graduale formazione ed educazione del fanciullo, secondo anche la precettistica della metrioths di Platone e di Isocrate, centrata sul polìths e sulla politeia, secondo il valore di autonomia e di democrazia confusa con la sapienza biblica nella lecsis filoniana.
Interprete di questa altra storia è Eusebio di Cesarea (265-340 d.C.) che confonde e poi fonde i due regni mostrando la storia delle ecclesiai al fine di segnare i fondatori di Antiochia (Pietro Shimon) e di Alessandria (Marco ), le due sedi dominanti anche per la diversa tradizione di lecsis secondo lettera e secondo allegoria, tramandando il percorso di una chiesa di Gerusalemme rimasta pura fino alla Galuth adrianea, cancellata nella sua aramaicità e sostituita con un altra, greca, senza alcuna continuità linguistica ecclesiale e culturale.
Eusebio raccoglie l eredità ecclesiale del maestro Panfilo di Cesarea Marittima, i tanti frammenti ebraici, ebraico- cristiani, e pagano-cristiani del II e III secolo con le infinite sfaccettature ereticali, dovute alla diversa collocazione geografica orientale, oltre a quelli di qualche nucleo occidentale di scarsa consistenza numerica, come Roma, Pozzuoli, Vienne, Lione ecc., dove ci sono sedi coloniali episcopali come succursali di metropoli orientali (Antiochia e d Efeso). Nel III secolo e specie nel IV secolo, dopo la fondazione di Costantinopoli, Eusebio ha un seguito anche nei patriarchi costantinopolitani e in altri orientali (specie i cappadoci Basilio, Gregorio di Nazianzo e Gregorio di Nissa) ed occidentali come Ambrogio, Girolamo ed Agostino, che si impegnano quasi in gara, in epoca teodosiana, per segnare secondo la logica christiana di Teodosio, la funzione della chiesa costantinopolitana, in onore della nuova Roma imperiale, voluta da Costantino.
In questa impostazione cristiana vengono fatto confluire i due regni in una cristianizzazione di tutto il sistema ebraico, fonte della matrice culturale cristiana antiochena, che ingloba il Malkuth aramaico ormai scomparso e con esso Gesù e Giacomo, suo fratello, la lettera di Aristea, le opere di Filone alessandrino, Seneca, Giuseppe Flavio, i modelli di vita pratica ed ascetica, gli esseni e i terapeuti, metabolizzando anche pitagorismo, stoicismo, platonismo e neoplatonismo.
Col concilio di Costantinopoli, nell ottobre dl 381, concluso il processo di deificazione ektheosis di Gesù, chiuso il discorso trinitario, pur mantenendo l unità di Dio, con upostaseis/persone ed ousia/sostanza, costituita la teologia cristologica, il cristianesimo divenuto religio triumphans, regola i conti col paganesimo e con l ebraismo, specie in Alessandria con Teofilo e Cirillo, sulla scia dell insegnamento di Atanasio Cfr. www.angelofilipponi.com I due canoni.
In un lasso di tempo relativamente breve, quello compreso tra il Concilio di Nicea del 325 e quello di Costantinopoli, in nemmeno 56 anni, il cristianesimo, riunificate le diversissime anime ereticali provinciali, nate dall assenza di una centralità dottrinale, a causa delle molteplici tradizioni evangeliche orali e scritte esistenti, scoordinate anche per la distanze geografiche delle aree cristiane nell immenso impero romano, chiuse ed isolate dalla maggioranza pagana, grazie al patrocinio del tredicesimo apostolo, l imperatore Costantino, fedele del Christos, deus sebhaot, unifica il suo credo, già inficiato dalla eresia di Ario, che, comunque, ha la meglio negli ultimi anni costantiniani e sotto il regno dei suoi figli, specie di Costanzo II.
Insomma si vuole dire che nei tre Vangeli detti sinottici c è una doppia storia e che una cosa è la concezione di vita ebraico- aramaica ed una quella di stampo giudaico- romano-ellenistico.
Esemplare è il termine genealogia genehlogiai /toledot di Matteo differente da Biblos geneseoos Ihsou Khristou: ambedue indicano diverse letture di un fenomeno non univoco, uno di matrice ebraico -aramaico ed uno di matrice greca, andati avanti secondo processi retorici in relazione alla diversità di un ideologia teologale giudaica e di una cultura platonico-stoica ellenistica.
Dunque, una è la genesi delle parole e dei fatti di Gesù, cioè la genesi dei Vangeli, propagandati da quelli che andarono secondo Marco a predicare a tutta la creazione pashi thi ktizei il Vangelo la buona novella di uno, morto, risorto, salito al Cielo e seduto alla destra di Dio Padre (I-e II conclusione del vangelo di Marco): questa potrebbe essere quella del proto Marco, aramaica, basata sulle parole, con qualche episodio della vita-scritta poco prima o poco dopo la morte di Giacomo, connessa con Paolo e per lui basilare, visto il rapporto di Marco con Pietro- ; un altra è la genesi di un Vangelo, quello di Matteo, la cui stesura iniziale, aramaica, sui Detti del Signore potrebbe avere una sua collocazione perfino prima della distruzione di Gerusalemme, subito dopo il quinquennio di potere del re unto /maran Mashiah, il cui ampliamento con la Vita di Gesù, successiva, potrebbe essere stato scritto tra il massacro degli esseni e la distruzione del Tempio in quanto il modello di martirio, per la presenza di dolore/ esev, è utile ai combattenti aramaici proprio per la stessa concezione di vittima del Christos.
Comunque, la forma della sezione Jhwh dice che equivale a logia del signore della koiné cioè quella di un nabi -corrispondente a propheths-, forse scritta in poesia (o in prosa ? anche questo non si sa) , è davar, parola oracolare, poetica, come i salmi Tehillim o tefillot e i proverbi che sono una forma di similitudine gnomica multiforme, detta mashal mentre la narrazione della vita doveva essere in prosa.
Quindi, dopo un momento di oralità comune (non si sa per quanto tempo) per i due Regni, anche se hanno due diverse odoi e due diverse concezioni, si costituisce un corpus scritto aramaico, in qualche modo connesso con la scuola di Jammia di Johanan Ben Zaccai, mentre l altro mantiene un più lungo periodo di oralità e poi inizia una fase di scrittura con Marco, quel Proto Marco, considerato nella teoria delle due fonti quasi un altra Q, databile tra le due opere di Giuseppe Flavio- Guerra giudaica del 74 ed Antichità Giudaica del 94- di cui il vangelo del Marco, che noi conosciamo, è un successivo rifacimento di epoca traianea: il primo sottende un corpo letterario ebraico- aramaico delle parole di Gesù a cui si aggiunge la vita storica di Gesù come paradigma di uomo di lavoro, di combattente e di martire come Messia/Christos vinto ma destinato al ritorno, secondo la volontà di Dio, il cui piano eterno deve essere compiuto.
E questo un materiale oralmente trasmesso da padre in figlio per quasi un sessantennio sulla base della scrittura aramaica matthaica di parole divine tradotte come logia dai christianoi, presenti come termine già in Filone e in Flavio specie in la Vita di Mosé, tipico dell area semantica oracolare, connessa con la profezia.
E un processo che segue la vita della sinagoga e del didaskaleion fino al momento del distacco dall ebraismo, alla fine del I secolo; da allora inizia una trascrizione evangelica, di cui Luca è espressione concreta, propria di un ellenista acculturato, che redige per scritto la tradizione evangelica, secondo la sua propria cultura e professione, senza neanche entrare in merito a quanto scrive, senza capire il valore sotteso delle parole stesse di un altra cultura, in quanto ha un proprio telos/fine, come, d altra parte, Marco.
Infatti per Luca la fede è salvezza 8,48 , 17,19 ecc, ma la salvezza ha valore di vita Hayyim rispetto alla morte mawet: l evangelista segue solo la lezione di Paolo che con la fede e con la preghiera pensa di rendere operosa la salvezza del Christos morto e risorto, lui stesso paradigma di vita eterna.
Luca non intende, in quanto greco, il significato del plurale di vivo hay che comprende nella pluralità l essenza della vita che sottende e chi cresce e ha sensazione, ma anche chi è mobile vivente ed anche chi si riprende da una malattia: insomma all evangelista sfugge il valore del termine che indica un essere che ha carne viva, respira e compie azioni da vivente, le cui conoscenze corrette sono espresse come vita, al contrario di quelle scorrette, indicate come morte Cfr. Proverbi 8,35 giacché chi trova me trova la vita e riceverà favore da Jhwh; Proverbi 4,20-22 figlio mio, presta attenzione ai miei discorsi, alle mie parole inclina le r tue orecchie, non si dipartano dai tuoi occhi, custodiscili in mezzo al tuo cuore, perché la vita sono essi per chi li trova
Per l evangelista, paolino, il sistema cristiano trasforma con l agape amore il mondo perché Gesù è odos, aletheia e bios (via, verità e vita) secondo la retorica romano-ellenistica e secondo la logica dell oikonomia divina che travolge e sconvolge il mondo della creatura in un totale rovesciamento, per cui all uomo resta solo la speranza in Dio che concede in un altro regno la soluzione di ogni umano problema con il premio eterno ad un mortale.
L evangelista, dunque, segue, comunque, da una parte la sapienza secondo Proverbi 2, 3,4 , che invita a non uscire dalla retta via, che esorta alla carità verso il prossimo, alla vita tranquilla e alla giustizia e da un altra si regola con abilità secondo la paideia greca , avendo i piedi su due staffe, servendosi di due padroni usando scaltramente, a sua discrezione, ora una cultura ora un altra, risultando efficace, funzionale e dilettevole.
Dunque, bene vita e male morte sono nel discorso evangelico espressioni metaforiche tanto da poter dire che i giusti anche da morti sono vivi, mentre i malvagi sono morti anche da vivi, in una sottensione di due diverse culture, che hanno differenti parametri valutativi.
Eusebio, che riprende la tradizione evangelica, e che ha forti perplessità, dopo circa due secoli, ad accettare la testimonianza di Papia di Ierapolis un cristiano nato nella seconda metà del I secolo e morto nella prima metà del II secolo, scrittore di un’opera esegetica sui detti del signore Logioon kuriakoon- ecshghsis, connessa con la tradizione orale dei presbiteri e con quella di Filippo e delle sue figlie, attivi nell area geropolitana, di cui sono citati frammenti evangelici di Marco e di Matteo, nonostante che sia considerato discepolo di Giovanni, millenarista e maestro di Ireneo- accoglie, invece, la fonte di Egesippo (Hist. Eccl.. 3,11,1), di cui sono note le molte incongruenze ed alcune notizie su Giacomo (2.23,6) rivelanti un differente Regno rispetto alla Basileia tou Theou, propugnata da un Giovanni, il cui messaggio è di molto diverso da quello degli altri tre evangelisti.(Marco Luca e Matteo), la cui lezione giustamente è detta, comunque, secondo Matteo (Kata Matthaion ).
Non si tratta di Matteo, però, del codice Muratoniano (documento che contiene la lista dei libri del nuovo testamento- datata forse 150 d.C scoperta da Ludovico Antonio Muratori nel 1740 nella Biblioteca Ambrosiana di Milano).
Inoltre il logion Freer Cfr. B. Mariani, Enciclopedia cattolica -sembra alludere a un Marco successivo, non databile esattamente. Infine il vangelo di Giovanni, -che non è certamente Giovanni il discepolo prediletto, ma è uomo di età adrianea (un discepolo omonimo o un altro Giovanni) che scrive intorno al 130 epoca in cui oggi si colloca il papiro 457 del Fayum (Ossirinco) della biblioteca di Roland Ryland pubblicato da C.H. Roberts , contenente un brano giovanneo, in cui si parla del dialogo di Gesù con Pietro, presenta connotazioni chiaramente gnostiche che lo fanno datare nel periodo di Basilide e Valentino.
Infatti si può arguire che quanto scritto ad Efeso fosse in circolazione da poco anche in Egitto e in Africa: studi paleografici hanno fissato la datazione non oltre il 150 d.C e non prima del 130 d.C. con l oscillazione di un ventennio, considerati il papiro, la grafia e il sistema a colonne.Perciò i redattori della Nuovissima versione della Bibbia dai testi originali ritengono che si sono succeduti più stadi ma non ne precisano i termini storici.Di conseguenza noi cerchiamo, data la frammentarietà di notizie, di rilevare i periodi su un piano storico per quanto ci è possibile, e di mostrare secondo un certo ordine e di precisare in relazione ai testi in nostro possesso.
Precisiamo per quelli che non conoscono il mio pensiero su Gesù, qenita, kanah e meshiah /Maran.
La vita storica di Gesù che va dal 7 a.C fino alla Pasqua del 36 (cfr. A FILIPPONI, Nascita di Gesù in Jehoshua o Iesous? Maroni, 2003) è tutta da documentare secondo fatti accaduti realmente come le parole veramente dette alla presenza dei cosiddetti discepoli (apostoli) dopo un lavoro sulla tradizione evangelica, nel quadro di una belligeranza ininterrotta tra il giudaismo e la romanitas, nel contesto di una reale proclamazione di un malkuth e del riconoscimento della venuta del Messia: è un periodo sconosciuto nonostante i tanti scritti, di cui niente è effettivamente certo in quanto tutto è stato letto in una chiave religiosa e mitica, poiché alonato da un senso di divino, dato come credibile, non comunque razionalizzabile e quindi custodito come tesoro intoccabile ed inguardabile, come segreto, non esplorabile in quanto mistero.
Secondo il mio parere, i logia del Signore e il bios di Gesù Christos, per come diciamo noi oggi, sono inizialmente guide e vie per la perfezione e la formazione morale e pratica di un combattente kanah ebraico zeloths antiromano, per quanto dice Giuseppe Flavio in greco in Guerra Giudaica e in Antichità Giudaica, che usa il termine anche lhsths per indicare ladro, ma sottende il significato di un armato antiromano, guidato da esseni o da maghi goeths, aramaico per formazione e per lingua, impegnato in azioni sia contro gli erodiani e sadducei e i sebasteni samaritani che contro i milites romani controllori della provincia della Iudaea. convinto di fare la volontà divina perché conformato secondo la musar ebraica.
Insomma tutto questo corpus letterario sottende inizialmente un popolo in ribellione contro il dominio romano; Roma ha un controllo, diretto in Idumea Samaria e Giudea ad opera di un procuratore con circa una legione e mezza con postazioni a Cesarea Marittima, sulla Fortezza Antonia sopra al tempio di Gerusalemme, e con un reparto di cavalleria alla periferia di Cafarnao in Galilea- coadiuvato dal prefetto di Siria che controlla le quattro legioni sull Eufrate e i contingenti militari ausiliari, forniti da reguli socii dell impero romano. I figli di Erode il Grande (Erode Antipa, tetrarca di Galilea e di Perea, e Filippo di Iturea, Traconitide, Batanea, Paneas Auranitide Gaulanitide) hanno truppe proprie e fanno leve per dare auxilia truppe ausiliarie ai romani, che a volte hanno anche la cooperazione di sebasteni samaritani e degli strategoi templari che gestiscono le milizie del Tempio. Truppe militari vengono fornite anche dai re di Cappadocia, del Ponto, di Bitinia e di Armenia, filoromani, impegnati a difendere il fronte eufrasico, estremo baluardo orientale dell imperium romano.
A questo imponente schieramento di forze antiaramaiche contro l impero di Artabano III, re dei re di Parthia, si oppongono le forze zelotiche che possono fare solo una guerriglia in regioni impervie montuose, boscose,(cfr. Tetrachia di Lisania ) in Galilea, in Iturea, Gaulanitide e Traconitide e in zone desertiche , dislocate non lontane dal confine parthico. Eppure nonostante la scarsa consistenza numerica e la difficile vita di banditi, protetti dalla popolazione locale aramaica, data la lotta per quasi due secoli, la continua stasis giudaico-aramaica risulta un cancro da estirpare già per i Giulio Claudii, e diventa, dopo la parentesi dei Flavi-che pur avevano distrutto il Tempio- per gli antonini una necessitas storica quasi un dovere, l annientare il genos ebraico, con estirpazione della radice e dei segni visibili del culto stesso di Jhwh e del nome stesso di Sion/Gerusalemme.
Gli aramaici, dunque, connessi con la tradizione ebraica dei discepoli di Ben Zaccai, prescrittiva ed orale, hanno bisogno dopo la morte di Iaqob, la fine dei esseni e la distruzione del tempio, non solo delle parole del signore ma anche di esempi concreti di vita che potevano anche essere presi dalla parte scismatica ebraica alessandrina che, dopo la costrizione flavia e la forzata concessione sinedriale della condanna a morte di molti fuorusciti naziroi da Gerusalemme, è solidale con l ebraismo gerosolomitano aramaico, seppure sterminato col consenso ebraico ellenistico. Gli alessandrini, al di là del traumatico editto del sinedrio necessario per l incolumità della città, ammirati dall eroismo aramaico, esaltato nei loro scritti, hanno un rapporto più stretto, da quel momento, con correligionari, in nome della comune Legge mosaica. Le discussioni rabbiniche di Iammia sono lette e confrontate con quelle alessandrine e cirenaiche e creano un corpus letterario orale per oltre un quarantennio, in cui c è una pacificazione generale, seppure con screzi dottrinali, non solo tra le differenti anime ebraiche, ma anche tra queste e la romanitas e i greci.
In un clima di apparente filoromanità, in cui cova l odio zelotico antiromano, si costituisce parte di quella Torah she be alpe (torah orale) che poi sarà messa in scritto da Giuda ha Nasi, come raccolta unitaria anche di tutte le altre discussioni rabbiniche, tenutesi dal periodo del tempio fino all epoca di Antonino il Pio e Marco Aurelio (Midrash). Da qui, grazie ai commenti (pesharim) dei tannaim, si costituiscono i Talmudim (Jerushalmi e Bauli) formando due rami, quello haggadico (da Haggadah/ narrazione ) e quello halachico (da -Halakhah/norma), secondo due diverse letture ed interpretazioni, una narrativa ed una legalistica.I cristiani, antiocheni, invece, -già separatisi dai naziroi basileici di Jakob, cioè da quelli della Chiesa gerosolomitana e forse dai mandei, fuggiti in Parthia ( che avevano lo stesso codice ebraico scritto, masoretico)- avevano già, come libri sacri, subito dopo il 70, la Bibbia dei Settanta, le Lettere di Paolo, i tre vangeli sinottici, Lettera di Barnaba, Erma e Clemente I-II .I christianoi, dunque, si appropriano non solo della Bibbia dei settanta, del metodo divisorio, del sistema pesher tipico della Sapienza, dei Salmi e Proverbi, ma anche dell opera del Siracide, di Filone e poi di Flavio, seppure rifiutati come libri menzogneri, impuri dall ebraismo, che scomunica il cristianesimo antiocheno, già minacciato da altre eresie nel suo interno.Gli ebrei aggiungono proprio allora la Birkat Ha Minim la dodicesima benedizione della Amidah, redatta da Samuel il giovane, secondo le indicazioni di Gamaliel I: Per i calunniatori e per gli eretici non vi sia speranza, tutti si perdano presto, tutti i Tuoi nemici vadano in rovina repentinamente. Tu li annichilirai ai nostri giorni. Benedetto sii Tu o Signore che spezzi gli avversari ed umili i reprobi.Inoltre essi, (compresi i seguaci di Giacomo) pregano così contro i Christianoi, ed assumono ufficialmente il testo masoretico in una volontà di distacco definitivo dai Christianoi, minim, che seguono il Testo dei Settanta e la lettura di Filone.
Per me anche Filone di De vita Contemplativa e di Quod omnis probus inizialmente fonte comune per rabbini ebraici naziroi e christianoi in quanto, propositore di una doppia via per chi vuole conoscere Dio, mostra come chi ha scienza e timore di Dio occupa il posto/magon degli avi e che ha diritto al trono/kisse che è eterno dando modelli di vita mediante la pratica essenica e la theoria contemplativa Terapeutica. Poi, sebbene tutto questo costituisca un corpus unitario di base terapeutico- essenico su cui si forma una primissima tradizione orale, utile per tutti le radici ebraiche, la storia divide gli ebrei aramaici , compresi i naziroi, dai christianoi, che separati ideologicamente dagli ebrei, sanno vivere vicino ai greci, goyim pagani.
Invece gli ebrei ellenistici cominciano ad avvicinarsi sempre più al radicalismo ed oltranzismo aramaico per motivi politici, amministrativi e ed economici e quindi si staccano definitivamente da Filone e dalla Bibbia dei Settanta, inficiata nella lettera dalla paideia ellenica.
I Christianoi antiocheni, vivono separati e sono ben distinti da Traiano- come si vede nella lettera di Plinio all imperatore dagli ebrei, che ora sono perseguitati e perché aramaici e perché ellenizzati oppositori però alle auctoritates locali a causa del decadere delle loro azioni finanziarie, non più sostenute dalla politica romana, ormai vicina ai banchieri pagani, danneggiate ulteriormente dalla nuova famiglia regnante filellena, dopo il tracollo in epoca flavia.
Inoltre gli aramaici ora sparsi in Partia, e specificamente in Mesopotamia e in Assiria e in Perside, ma in maggioranza propagatisi in Alessandria e Cirene, portano il contributo della loro formazione e cultura ai confratelli ellenisti in territorio romano con mesopotamizzazione, che sottende odio contro Roma e fratellanza con i Parthi.
Eppure l amministrazione dei governatori romani, che pur applicano la legge di Nerva(96-98), giusto imperatore che ha abolito l obolo ebraico cancellando la tassa flavia, risulta per gli ebrei ellenisti rapace in relazione alle loro attuali situazioni commerciali, di sopravvivenza, e perciò attendono in uno stato di quasi miseria il compimento del Malkuth, come un ripristino della loro antica condizione sociale.
I rabbini di Iudaea e quelli ellenisti ora hanno una voce comune e sono apparentemente pacifici in attesa dell evento messianico, del ritorno del Meshiah, avendo cancellato parzialmente la memoria di quello vinto e crocifisso, atteso invece, ancora, dai naziroi gerosolomitani.
Una nuova ondata di Messianesimo si abbatte in tutto l oriente mentre i giovani sono segretamente arruolati ed addestrati e sono formati secondo le prescrizioni della torah e formati dottrinalmente con la davar scritta, secondo moduli apocalittici ed escatologici.
In effetti nei primi anni del principato di Traiano la teoria apocalittica e escatologica si sviluppa come concezione della fine dell ira di Dio dopo le tante prove subite e patite da Israel peccatore e come avvento di un Nuovo Messia in quanto è giunta l ora del Signore.
Gli aramaici, dunque, hanno due differenti letture una propria dei giacomiti , la cui Bibbia siriaca, autorizza un interpretazione di ritorno del signore per l instaurazione definitiva del regno, mentre gli altri aramaici di Parthia e di Giudea, non naziroi, hanno una visione di vittoria di Sion su Roma con la venuta di un Nuovo Meshiah invincibile.(cfr Apocalisse di Baruc e IV libro di Esdra con l immagine vittoriosa del Leone messia sull aquila imperiale sconfitta ).
Le comunità ebraiche di Mesopotamia, di Cipro, di Cirene e di Egitto iniziano ad essere in fibrillazione al momento della spedizione antinabatea, come già prima intorno al 101, alla morte di Erode Agrippa II , quando questi lascia in eredità a Traiano il suo regno, cosa che autorizza l imperatore a congiungere l area giudaica con quella sinaitica ed egizia, con l annessione del Regno di Nabatea tanto da poter dire che ormai il Mediterraneo è mare nostrum.
Dunque,tra il 101 e il105, epoca della annessione della Nabatea da parte di Traiano, intenzionato ad aprirsi la via pelusiaca per avere l appoggio della flotta romana, che doveva essere forza ausiliare alle legioni sul Mar Rosso, sul golfo di Aqaba e perfino su quello Persico, all occorrenza- in quanto la Parthia non aveva un contingente marittimo e ad avere libero il passaggio dall Armenia minor, obbligatorio secondo i piani di Cesare, di Germanico e di Caligola, per un invasione del territorio parthico.
Eusebio parla di Papia che con l esegesi dei logia del signore,- già scritti in aramaico da Matteo afferma che gli altri evangelisti scrissero come potevano sulla base matthaica senza indicare l esatto tempo, dopo la fase orale.
Bisogna pensare perciò che la testimonianza papiana sottenda un lavoro già compiuto da Matteo aramaico prima del periodo compreso tra il 105 e il 115 d.C. e perciò è possibile inferire che Matteo greco, il proto Marco e e Luca scrivano per integrare la tradizione orale con quella scritta delle Lettere di Paolo in modo da formare un corpus greco per i Christianoi di Antiochia, anche per meglio distinguersi dai naziroi e dagli ebrei, in un momento storico grave perché la parentela religiosa è un percolo per la loro incolumità. E un momento veramente gifficile, il più delicato della storia romana, tanto traumatico per la romanitas quanto per l ebraismo aramaico, che, congiunto con quello ellenistico si macchia di orribili misfatti, dolorosi ad ammettersi anche a distanza di secoli, indegni di un popolo sacerdotale, eletto...
Credo di poter mostrare la gravità rilevando con Cassio Dione , LVIII,28,29,30 la situazione tragica ad Antiochia dove è Traiano nel 115 d.C., pronto per la partenza per la spedizione parthica.
Un terremoto catastrofico in città è interpretato dai giudei come i partecipazione di Jhwh alla guerra contro i Romani, come presagio della sconfitta romana, come segno della venuta prossima del Messia: per loro il cataclisma diventa come una chiamata alla armi al suono del corno shofar.
La campagna parthica di Traiano comincia bene con vittorie in Assiria e poi con una navigazione sicura sul Tigri (mentre una parte naviga sull Eufrate, dopo la conquista di Nisibis ad opera di Lusio Quieto) grazie ai battellieri giudaici che sembrano collaborare con l esercito romano e con le truppe di invasione socie.
Sbarcato l esercito non lontano dalla confluenza dei due fiumi, nelle vicinanze di Seleucia, Traiano entra invitto nella capitale Ctesifonte, mentre Lusio Quieto avanza verso il delta paludoso fino al Golfo Persico
Non è chiaro cosa succeda, ma quando Traiano insedia come Re dei re Partamaspate, la situazione si capovolge, forse per la sconfitta dell esercito schierato fuori delle mura ad opera della cavalleria catafratta
La reazione parthica è totale nella bassa Mesopotamia a causa di un violento contrattacco giudaico, che divide l esercito in due tronconi una guidato da Traiano e l altro da Adriano e Cornelio Palma Cfr J. BENNETT, Traian optimus princeps, Bloomington,2001)
Separatamente si cerca di prendere le navi sull Eufrate e sul Tigri per il ritorno in Patria e questo aggrava ulteriormente la ritirata anche per la defezione dei battellieri ebraici, che cessano la collaborazione con i milites, incalzati dalla cavalleria parthica e svantaggiati in una pianura aperta, nonostante la presenza dei cavalieri mauri di Quieto, tornato con l esercito decimato da malattie (dalla malaria) privo di rifornimento e impossibilitato a prendere Hatra
Alla fine del 116 si viene a conoscenza della ribellione ebraica e delle stragi fatte a Cirene e a Salamina di Cipro dai Giudei e Traiano è sollecitato a tornare ad Antiochia, da dove dirigere le operazioni contro i rivoltosi di Egitto, di Cirenaica e di Cipro. Vengono accelerate le marce ( si passa da magnis itineribus a maximis itineribus) guidate da Publilio Celso e da Avidio Nigrino, pur se si è in zone desertiche.
Il titolo di Particus, già acquisito da Traiano, proclamato dalle truppe imperator, sottende ora una sconfitta, in quanto l esercito che avanza è decimato dalla cavalleria parthica completamente ricompattata nel nome del nuovo re, anche se nominato dai Romani, ma ora riconosciuto universalmente i da ogni suddito
La morte di Traiano a Selinunte di Cilicia ha come conseguenza la necessaria cessione dell Armenia e della neo provincia di Mesopotamia, già del tutto riconquistata dai Parthi: Adriano ora imperatore, sancisce un dato di fatto e ripristina lo status antecedente l impresa parthica.
Inoltre poco dopo la congiura di Quieto e di Nigrino, di Palma e Celso, si manifestano segni di un malcontento militare per l inattesa conclusione dell impresa parthica e per il ripristino dell ordine nell imperium romano già alla fine del 118, senza aver punito debitamente i Giudei, responsabili del fallimento della politica imperialistica, che, comunque, restano cives anche se sotto oculata sorveglianza . cfr M . GRANT, The Antonines: the roman empire in transition London 1996, mentre le città non lontane dal fronte eufrasico sono adeguatamente fortificate come ad esempio Gerasa/ Jerash.,
Il rescritto di Adriano a Gaio Minucio Fundano, governatore di Asia dal 122 al 123, riportato da Eusebio (Hist. Eccl. IV,9,1-3), già in Giustino, Apologia, XVIII, 3-5 è in linea con quello traianeo sotteso alla risposta dell imperatore a Plinio il giovane, legatus Augusti pro praetore in Bitinia e Ponto cfr. Epistula X,96 -97 in quanto fotografa i necessari e differenziati interventi sugli ebrei e sui christianoi.
I giudei, circoncisi e separati dai goyim/pagani, aramaici o ellenistici, sono vigilati speciali, mentre i cristiani ben integrati tra le popolazioni locali, amati e rispettati per la tendenza alla riunione pacifica e all agape fraterna, anche se, data la comunione dei beni, pagano le tasse alle autorità regionali non individualmente per capita, ma per etnos associato nella persona dell epitropos o episcopos o epimeleths, con titoli differenziati a seconda della grandezza dell ecclesia.
Nel rescritto si sottende che l ebreo deve essere investigato nella proprietà e nel suo culto di latria e perseguito sulla base di un semplice accusa, mentre per il Christianos oltre all accusa di un accusatore, perseguibile penalmente in caso di infondatezza delle, prove procedurali, non basta il nomen ipsum ma sono necessarie le documentazioni dei flagitia coehrentia nomini cioè non c è punizione per il nome stesso, ma per le colpe connesse al nome. Plinio Ep.X,96.
Comunque, Traiano indica una procedura , a cui si attiene anche Adriano, e impone che non li si deve ricercare; qualora vengano denunciati e riconosciuti colpevoli, li si deve punire, ma in modo tale che colui che avrà negato di essere cristiano e lo avrà dimostrato con i fatti, cioè rivolgendo suppliche ai nostri dei, quantunque abbia suscitato sospetti in passato, ottenga il perdono per il suo ravvedimento. Quanto ai libelli anonimi, essi in circolazione, non devono godere di considerazione in alcun processo; infatti è prassi di pessimo esempio, indegna dei nostri tempi. Ep. X,97.
Chiaramente gli imperatori antonini indagano il christianos che pur ha una radice ebraica, ma sono indulgenti anche se richiedono in pratica qualche manifesto segno (grano di incenso offerto in pubblico). come riconoscimento del numen dell imperatore e di Roma: in sostanza sembrano più inclini a perdonare che a punire il cristiano, mentre sono determinati a perseguire l ebreo indistintamente.
Dunque se è chiara la situazione che precede la nuova ed ultima insurrezione giudaica, quella di Shimon bar Kokba, si può forse far rilevare che in un clima di sorveglianza stretta da parte delle auctoritates provinciali romane verso l elemento ebraico, sia compatibile la presenza di una scrittura aramaica sulla vita e sulle parole del Meshiah.
Quindi tutte le prescrizioni della torah con gli huqqim disposizioni e con i mishpatim giudizi connessi con le profezie oracolari mosaiche mostrate da Iaqob e fuse con le prescrizioni del malkuth del fratello le cui parole oracolari e i cui decreti sono da seguire con scrupolo da tutti i seguaci che proprio nell attesa del ritorno aumentano il timore di Dio, seguendo il modello di vita di Gesù, morto e risorto, legge vivente ora
Ne consegue che, vivente ancora Jakobos, sulla base della celebrazione del martirio di Gesù si era costituto un racconto della vita, della passione, morte e resurrezione del fratello, dapprima orale ma poi, dopo la strage degli esseni, con la memoria annuale non solo del Meshiah ma anche dei nuovi martiri, si costituì una sorta di narrazione scritta con prescrizioni giuridiche, in assenza del tempio, letta in riunioni più o meno segrete, data la vigilanza romana.
Dopo secoli non è possibile determinare se il testo esiste già al trasferimento a Pella, considerato poi che al ritorno a Gerusalemme gli aramaici gerolosomitani sono ancora connessi con i confratelli giudaici e che avessero collegamenti con Ben Zaccai tanto da essere uniti nella lotta coi romani al momento dell annessione della Nabatea e ancora di più nel corso della guerra di Kitos o se la codificazione scritta è connessa con gli avvenimenti antonini.
Questo scritto è quello stesso di Papia, di cui parla Eusebio?
Certamente questo corpus fu comune agli aramaici di Giacomo e a quelli di Parthia nel clima bellico traianeo e poi in quello della repressione adrianea.
Allora bisogna presupporre tra gli ultimi anni del I secolo e i primi cinque anni del II secolo, una scrittura greca evangelica kata Marcon, kata Matthaion, kata Lukan, di cui non si conosce l esatto momento di redazione!
Infatti da Giustino in poi è possibile trovare segni di Vangeli scritti in varie ecclesiai in greco perfino quello giovanneo- nel corso di tutto il II secolo e prima metà del terzo secolo.
Eusebio in Historia Ecclesiastica 5,10 parla di Panteno e mostra come in Alessandria sia presente ancora il vangelo di Matteo aramaico, ma circolano anche quello di Marco e di Luca e Matteo greco secondo Ammonio alessandrino, mentre in altre parti dell mondo romano Taziano, nato in Assiria nel 120 e morto forse nel 180, cerca di comporre un Vangelo unitario nella sua opera Diatesseroon, detta anche Armonia, perché fa il tentativo di unificare , armonizzando le tante e diverse tradizioni -anche orali- greche, pur già scritte.
Queste sono le sue precise parole: Un uomo celeberrimo per la sua cultura, di nome Panteno, dirigeva allora la scuola dei fedeli di quella città, dato che per antica usanza esisteva presso di loro una scuola di dottrina sacra: essa si è conservata fino a noi, e abbiamo saputo che è tenuta da uomini abili nella parola e nello studio delle cose divine. Si narra che il suddetto Panteno si sia distinto tra i più brillanti di quel tempo, in quanto proveniente dalla scuola filosofica dei cosiddetti Stoici. Si dice quindi che mostrò un tale ardore nella sua fervidissima disposizione per la parola divina, da essere designato araldo del Vangelo di Cristo alle nazioni d Oriente, giungendo sino all India. V erano infatti, v erano ancora a quei tempi, numerosi evangelisti della parola, che avevano cura di portare zelo divino ad imitazione degli apostoli per accrescere ed edificare la parola divina.Anche Panteno fu uno di loro, e si dice che andò tra gli Indiani, dove trovò, come narra la tradizione, presso alcuni del luogo che avevano imparato a conoscere Cristo, che il Vangelo secondo Matteo aveva preceduto la sua venuta: tra loro, infatti, aveva predicato Bartolomeo, uno degli apostoli, che aveva lasciato agli Indiani l opera di Matteo nella scrittura degli Ebrei, ed essa si era conservata fino all epoca in questione.Panteno, comunque, dopo numerose imprese, diresse infine la scuola di Alessandria, commentando a viva voce e con gli scritti i tesori dei dogmi divini.
Da quanto detto da Eusebio il vangelo aramaico di Matteo, portato da Bartolomeo in India ( non si sa se l apostolo fa un viaggio marittimo con navi sul mar Rosso da Clisma fino ad Aden per costeggiare l Arabia ed arrivare fino a Barigaza- o se ci viene, via terra, dalla Perside; la prima è più trafficata data la presenza di 192 navi che fanno il tragitto mensile per India, la seconda è tipica degli ebrei della zona della bassa Mesopotamia e della regione intorno a Susa), si può arguire per prima cosa che poco dopo la distruzione di Gerusalemme alcuni aramaici dopo Masada, si dirigono, oltre che ad Alessandria anche in Arabia e in Babilonia. Inoltre si evince che Panteno ritrova lo scritto aramaico tra le popolazioni indiane e lo riporta ad Alessandria ( e poi non se ne ha più notizie- pare-).
Da altre fonti si conosce che in India centrale c è una fioritura di naziroismo dopo la galuth adrianea, come anche in Arabia più in quella centrale che lungo la coste e del mar Rosso e dell oceano indiano- compreso il golfo di Oman: sono attestati naziroi perfino all epoca di Maometto
Questa codificazione aramaica costituisce un corpus unitario di base terapeutico- essenico, portato avanti dai Terapeuti di Alessandria rimasti puri fino al tempo di Sinesio (Cfr. www.angelofilipponi.com Il vescovo Sinesio) su cui si forma una primissima tradizione orale, christiana antiochena anche dopo la violenta scomparsa ad opera della decima legione romana degli esseni, recuperati poi nel II secolo, e dopo la distruzione del Tempio di cui si ha traccia implicita in Clemente Alessandrino (Stromateis , 1,21,147 ) in Origene ( Comm. in Matteo, 1) e forse in Tertulliano (De carne Christi, 22)che parlano già di un Vangelo di Matteo scritto in greco e ne riportano l incipit
Dopo la codificazione scritta greca, la varietà dei vangeli è in relazione alle tante e differenti aree di predicazione cristiana, in Oriente e in Occidente, in cui appaiono modifiche, aggiunte e cambi strutturali con formule utili per la definizione della regalità, della cristologia e del mistero trinitario e talora si costituiscono perfino Nuovi Vangeli, attribuiti ad Apostoli
Il primo,a detta di Eusebio, che li certifica e li cataloga facendo precise enucleazioni sarebbe stato un Ammonio di Alessandria contemporaneo di Ammonio Sacca, il filosofo, maestro di Plotino
In Eusebio come in Atanasio , comunque, sono presenti i segni di una avvenuta evangelizzazione cristiana, ma anche di una incertezza sul criterio di autenticità e su quello di classificazione
Il sistema classificatorio arriva fino a Isidoro di Siviglia, la cui esposizione sottende una precisa eredità ariana, quella della cultura visigotica, inficiata dall evangelizzazione anche nestoriana monofisita, in Spagna .
Isidoro in De canonibus evangeliorum dice: 1. Canones Evangeliorum Ammonius Alexandriae primus excogitavit, quem postea Eusebius Caesariensis secutus plenius conposuit. Qui ideo facti sunt, ut per eos invenire et scire possimus qui reliquorum Evangelistarum similia aut propria dixerunt.
2. Sunt autem numero decem, quorum primus continet numeros in quibus quattuor eadem dixerunt: Matthaeus, Marcus, Lucas, Iohannes. Secundus, in quibus tres (eadem dixerunt): Matthaeus, Marcus, Lucas.Tertius, in quibus tres: Matthaeus, Lucas, Iohannes. Quartus, in quibus tres: Matthaeus, Marcus,Iohannes.
3, Quintus, in quibus duo: Matthaeus, Lucas. Sextus, in quibus duo: Matthaeus, Marcus.Septimus, in quibus duo: Matthaeus, Iohannes. Octavus, in quibus duo: Lucas, Marcus. Nonus, inquibus duo: Lucas, Iohannes.
4. Decimus, in quibus singuli eorum propria quaedam dixerunt.Quorum expositio haec est. Per singulos enim Evangelistas numerus quidam capitulis adfixus adiacet, quibus numeris subdita est aera quaedam mineo notata, quae indicat in quoto canone positus sit numerus, cui subiecta est aera.
5. Verbi gratia: Si est aera .., in primo canone; si secunda, in secundo; si tertia, in tertio; et sic per ordinem usque ad decimum perveniens. Si igitur, aperto quolibet Evangelio, placuerit scire qui reliquorum Evangelistarum similia dixerunt, adsumes adiacentem numerum capituli, et requires ipsum numerum in suo canone quem indicat,ibique invenies quot et qui dixerint; et ita demum in corpore inquisita loca, quae ex ipsis numeris indicantur, per singula Evangelia de eisdem dixisse invenies.
In epoca visigotica grande era la confusione, nonostante i canoni, i raggruppamenti, le divisioni, le logiche differenziate semantiche!.
Riassumiamo e concludiamo.
Si era costituita in epoca flavia una doppia tradizione quella aramaica, orale, che serpeggiava, si vivificava e si rianimava col paradigma dei martiri nella lotta clandestina contro i Romani e che, finita dopo il settanta, iniziava un nuovo reclutamento militare collegato con quello dottrinale di Johanan ben Zaccai e con i discepoli del maestro /Rabbi , formatore di altri rabbi Era una scuola o che tramandava tramite Rabbi la legge mosaica secondo il costume essenico, mantenendo la tradizione giudaico-aramaica
Accanto si era costituita un altra tradizione, greca ad Antiochia, che enucleava il suo messaggio sulla morte e resurrezione del Christos, destinato a tornare come nikeths , trionfatore che riuniva tutte le stirpi del giudaismo ellenistico e i pagani convertiti, secondo il pensiero di Paolo e secondo il contributo della scuola alessandrina e di quella antiochena, in senso allegorico. e in senso letterale
La prima aveva come emblema il Messia risorto propagandato oralmente da Giacomo che proclamava il malkuth ha Shemaim, destinato a trionfare al ritorno prossimo del fratello; la seconda era di stampo paolino, una Basileia tou Theou, scismatica che visse, senza essere mai accettata per qualche tempo vicino alla sinagoga ebraica
Perciò non esiste un nucleo evangelico scritto né in aramaico né in greco in quanto ci sono due diverse di una tradizione orale aramaica ed una ellenistica secondo Giacomo e secondo Paolo.. .
La tradizione aramaica per prima passa dalla fase orale a scritta per necessità politico-storica, poiché i capi aramaici hanno fatto una scelta in senso mosaico ebraico e quindi hanno rifiutato la linea ereticale paolina, dopo il Settanta, specie nella Chiesa di Gerusalemme, nonostante la vigilanza romana e l incipiente persecuzione imperiale .
Ne deriva che è possibile parlare di un vangelo scritto aramaico ma non di un vangelo greco che invece deve essere collocato entro il ventennio tra la stesura di Guerra giudaica e Antichità Giudaica , contemporanea al Bios flaviano, che potrebbe essere il modello da imitare per i letterati Christianoi, che avrebbero potuto servirsi anche della fonte scritta aramaica
Aggiungo che sono propenso, perciò, a datare la scrittura greca di una originaria fonte Q solo tra il 74 e il 94 d.C .. e a considerare il Proto Marco, subito dopo la fonte, negli ultimi anni di Domiziano, mentre i testi che noi abbiamo -escluso Giovanni sono compresi tra l epoca nerviana e l annessione della Nabatea Dunque questa è la storia, o meglio questa dovrei dire è la risultanza storica di anni di studio.
E i miei parenti ed amici cristiani dicono che credono in Gesù Cristo e non sanno distinguere il Cristo da Dio: sono veramente credenti cristiani cattolici?
Recitano il Credo ogni domenica e vanno settimanalmente al rito eucaristico a nutrirsi del Corpus Christi. Perché? non lo so.
Gesù può aver detto la parabola del Fariseo e del pubblicano?. Non credo e non certo come la scrive Luca.
Perché? diranno molti cristiani.
Per due motivi.
Primo, perché i personaggi non sono realmente storici, ma sono inventati sulla base dell osservazione della vita ecclesiale, di una provincia romana di fine primo secolo: né Gesù, né i due protagonisti della parabola, il fariseo e il pubblicano, sono figure vere, ma costruite ed assimilate con altre di epoca successiva. Infatti il tempio, che è il santuario ebraico per eccellenza, non più esistente in epoca flavia, equivale ad un locale di riunione e di preghiera in una città orientale, pensato da Luca come ambiente e contesto simile, in cui creare una situazione con l episodio dei due oranti. esaminati nella specifica superbia del fariseo, puro, e nella umiltà del pubblicano, peccatore. La parabola è un inventio di Luca come anche la valutazione da parte di Gesù, che fa la dieghesis narrazione.Secondo, perché la parabola di Luca ha un telos, un fine prefissato che è conforme al pensiero di Paolo, che deve essere diffuso contro quello espresso da Yaqob Iakobos Giacomo e i suoi seguaci aramaici, -già sconfitti dai romani, che hanno distrutto il Tempio -(Cfr. Giacomo e Paolo), pronti a nuove staseis rivolte.
La sua scrittura ha un fine dimostrativo, già chiaro nella premessa alla parabola stessa del Fariseo e del pubblicano, esplicito nella conclusione e nell apoftegma finale (Lc. 18,9-14), che è una ripetizione di 14,11.perché chi si esalta, sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato.
La parabola di Luca, scritta dopo oltre cinquanta anni dalla morte del Christos, ha la struttura di una favola di Fedro, esopiana, con una conclusione pertinente morale.
La premessa (Per certuni, poi, che dentro di sé erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri, disse questa parabola) è simile a quella della parabola precedente del Giudice iniquo (Raccontava poi loro una parabola sul dovere che avevano di pregare sempre, senza perdersi di animo -18,1 come assicurazione che Dio renderà loro giustizia con sollecitudine anche se c è il dubbio che il figlio dell uomo al suo ritorno troverà la fede sulla terra).
Dunque, Luca ha uno scopo, quello di invitare i fedeli della ecclesia christiana alla preghiera, alla fede, alla fiducia nella pronoia divina che risolve ogni problema con la peripeteia e con l improvviso e tragico capovolgimento, per cui i primi saranno gli ultimi e gli ultimi i primi, in quanto ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio ( Lc.18,27) .
Luca in effetti predica il vangelo di Paolo: la salvezza si consegue con la preghiera e con la fede ed è un dono di Dio, non un merito individuale umano.
Luca scrive quando l essenismo con il fariseismo è un vago ricordo nelle ecclesiai cristiane, specie in Macedonia e Tracia, anche se in Galilea, Gaulanitide, Traconitide ed altrove ancor sono presenti gli zelanti della Torah che eseguono i precetti dei rabbi della scuola di Iammia, che mantengono vivo lo spirito del pensiero farisaico ed anche se l haburah con edah, costituita da Yaqob, ancora funziona.
Ma seguitiamo a leggere e cerchiamo di capire la parabola. Gesù, secondo Luca disse questa parabola per certuni che dentro di sé erano persuasi d essere giusti e disprezzavano gli altri, mostrando i protagonisti: due uomini salirono al tempio per pregare, l uno era fariseo, l altro pubblicano... evidenziando il fariseo che, ritto in piedi pregava fra sé così: O dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri anche come quel pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago la decima di tutto quel che compero.
Solo uno, che narra dopo la distruzione del tempio, può avere un incipit di tale genere parabolico: ritenere gli ebrei quelli che hanno una concezione farisaica di giustizia, collegata con l idea di un popolo eletto,- che, avendo un culto threschia, esclusivo, per un solo dio e padrone, disprezza non solo i culti di tutti gli altri popoli pagani, ma anche le comunità cristiane,- è spia di un antitesi tra la tzedaqah della sinagoga e l agaph /caritas dell ecclesia cristiana, non più, comunque, in territorio siro-palestinese, ma in ogni città orientale.
Il fariseo diventa figura antipatica, disgustosa davanti a Dio per la superbia dell eletto ed è prototipo di tutto il popolo ebraico condannato già dall auctoritas senatoriale e flavia, sorvegliato per la sua perfidia integralista, già taeterrimus per Tacito.
Luca scrittore di epoca flavia dovrebbe sapere (dovrebbe averlo sentito dire da Saul/Paolo o da altri di stirpe ebraica) che un esseno o un terapeuta, uomini di formazione farisaica, mangiava ogni tre giorni e quindi digiunava 2 volte a settimana, anche se la Torah imponeva una volta all anno nel giorno della Espiazione ( Levitico 16,29; 23,27; Numeri 29,7). Inoltre si sapeva che il fariseo era ligio a pagare le decime perché diffidava del venditore (impuro) che tendeva a non pagarla.
L evangelista è teso ad opporre i due caratteri, per creare contrastivamente una rete di antipatia per il primo e per formare un alone di simpatia per il secondo.
Infatti contrappone al fariseo il pubblicano, un appaltatore di imposte seduto a to teloneion, al banco, cioè un teloonhs (teloonhths -telos ooneomai ) da tutti conosciuto come arpaks rapace, perché esattore, in Giudea considerato un apostata o uomo bollato da anathema, di solito filoromano, un ebreo romanizzato con doppio nome come Levi/Matthaios, emblema dei pagani moichoi adulteri ed adikoi ingiusti: Non sa Luca che neanche il teloonhs può entrare nel tempio e che deve stare a distanza di metri da un puro, regolata secondo la prescrizione della Legge, all atto della condanna!.
Il pubblicano,invece, diventa per l evangelista elemento positivo, simpatico e caro proprio per la sua coscienza di essere peccatore in quanto creatura, a cui va la solidarietà di ogni uomo mortale.
Luca così scrive: il Pubblicano invece si teneva lontano e non osava neppure alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: Signore, abbi pietà di me, peccatore.
ll pubblicano, peccatore secondo lo schema paolino cristiano, di uomo mortale che vive nel peccato e che solo con la preghiera e con la fede si redime grazie al sangue di Cristo, tanto da essere degno di risuscitare e di avere il premio della vita eterna, è il modello del fidelis, che è umile, creatura di fronte al creatore, cosciente del suo peccare.
Il pubblicano amartolos, (uno che commette amarthma in quanto è peccatore perché riscuote il denaro per conto del romano e maneggia le monete stesse con l effigie dell imperatore, diventa non colui che rimette il debito estinguendo il dovuto to opheleimenon (to khreos) come Zaccheo, ma è uomo giustificato per la sua umiltà e preghiera (congiunta alla Fede nel Christos ).
Luca, dunque, con il rovesciamento delle due figure, rinnega il giudaismo, esalta la romanitas e vede la salvezza per l uomo secondo il disegno salvifico di Paolo, romano -ellenistico, basato non sull uomo faber suae quisque fortunae, ma sul Theos che sovverte la sorte umana ed attua la sua oikonomia divina imperscrutabile.
Luca, dunque, testimonia il baratro che si è aperto tra la sinagoga e l ecclesia, in epoca flavia, poco prima o poco dopo il distacco tra i due credi, verso la fine del I secolo dopo Cristo, quando ancora il ramo nazireo è ancora nell albero giudaico come Malkuth ha shamaim, ancorato alla Torah mosaica, -diversamente dalla Basileia tou Theou/il regno di Dio antiocheno che invece ha rotto ogni rapporto con la tradizione gerosolomitana ortodossa,- destinato ad andare verso altre insurrezioni e verso il suo stesso sterminio sotto Adriano.
Luca non sa (finge di non sapere) , però, che la preghiera ebraica si fa in piedi e che ogni ebreo aspira ad essere giusto e fa opere di giustizia, convinto di servire e di temere il suo Signore, che lo ha eletto, in quanto figlio, erede del Regno: la puntualizzazione (ritto in piedi e la preghiera di ringraziamento per essere diverso rispetto agli altri uomini) dall angolazione ebraica non rende ripugnante il fariseo, che è uomo distinto proprio per la sua fede collegata con le opere, elemento leale e coerente nel suo modus operandi, tipico di eroe che muore per la patria e per la sua fede, ma lo sublima.
I due per Luca antiocheno sono due caratteri giudaici, uno spocchioso, cosciente dello zelo per la legge, l altro umile e dimesso, sicuro di essere un reietto rispetto ad ogni puro giudeo: da parte dell evangelista si arcaicizza di proposito e si falsifica la storia di Gesù eroe popolare, di stampo farisaico, morto da puro ebreo.
Gesù, invece, è visto da Luca (da Paolo), anche se scandalo della croce, come un saggio sophos, alonato di divinità, capace di predicare la remissione dei peccati, di affermare che il pubblicano peccatore scese a casa sua giustificato. Luca si è servito di salire anabainesin alah e di scendere katabainein yarad così per mostrare solo che il tempio è in alto e che la casa del peccatore è in basso: l evangelista non sa che nel primo c è sotteso tutto un mondo di ascensione sublime con esercizio che indica eccellenza e grandezza verso cui tende il fedele, mentre lo scendere indica il tragitto opposto, secondo un sistema di allegoria, tipicamente farisaico.
Luca, dunque, descrive non il reale fariseo e il vero pubblicano, ma due cristiani: uno spocchioso che in piedi prega, convinto di essere un santo; l altro che è umile, è cosciente del suo peccato e crede in Dio. E così avendo mostrato due tipi opposti,l evangelista applica la regola paolina della metamorfosi per attuare la metabolh il cambiamento, in nome di Dio, che abbatte il superbo ed innalza il debole.
La conclusione di un Gesù astorico, secondo Luca, è questa: vi dico che quest ultimo scese a casa giustificato, al contrario del primo. Di quale Gesù parla Luca (o chi per lui)? , di quale fariseo? o di quale pubblicano?
Solo Filone avrebbe potuto illuminarci davvero perché contemporaneo di Gesù, ma la sua fonte non ha lasciato tracce né sulle parole né sul bios del Signore, neanche ci è giunta una goccia della sua acqua. Eppure Filone ha parlato di ameicsia non mescolanza, di una sorta di separazione e distinzione farisaica ed ha proposto due modelli di vita ebraica di sicura radice farisaica, quella attiva degli esseni e quella contemplativa dei terapeuti, da cui risulta chiara, bella, virtuosa l airesis setta dei Farisei. Anche Saul Paolo, un cristiano ellenizzato dal doppio nome, che si è sempre professato e vantato fariseo e discepolo di Gamaliel-ma è un uomo di menzogna, condannato alla fustigazione e poi a morte dal sinedrio e da Yaqob/Iakobos, fratello del signore perché non obbediente alla legge, e alla prescrizione sulla Casherut tiene in grande onore la figura del fariseo, come ogni altro ebreo dell epoca che precede la distruzione del Tempio.
Giuseppe Flavio, figlio di Mattatia,- che è un contemporaneo di Gesù, parente degli Anano, meglio di tutti potrebbe darci qualche indicazione anche se per dovere di suddito e per gratitudine verso i Flavi suoi padroni, scrive Guerra Giudaica nel 74 ed Antichità Giudaica nel 94, mantenendosi necessariamente nei binari della lealtà all imperatore, senza però celare la verità storica, facendo l apologia giudaica senza offuscare il valore dell imperium romano, risultando, però, ambiguo ed equivoco in questa contraddizione concettuale, utile, comunque, al fine della trasmissione dell eredità culturale sacerdotale ebraica sembra smentire Luca e la sua cristiana interpretazione.
Lui è storico ufficiale dell impero romano, autorizzato alla lettura della sua opera, impegnato nella esaltazione dei Flavi, pagato per la celebrazione del mito soterico di Vespasiano e dei suoi figli, salvatori dell impero romano, pacificatori dell oikoumene, ripristinatori dell ordo kosmico, dopo il disordine della guerra civile dell anno 69, a seguito della morte di Nerone.
Guerra Giudaica (a cura di Giovanni Vitucci, Mondadori 1974) II,14 così descrive la setta dei farisei,- che lo storico dice di aver scelto, pur essendo di stirpe sacerdotale, di una della migliori famiglie, dopo il sodalizio con Banno nel deserto, in considerazione della virtù-: essi godono fama di interpretare correttamente le leggi, costituiscono la setta più importante ed attribuiscono ogni cosa al destino e a dio; ritengono che l agire bene o male dipende in massima parte dagli uomini, ma che in ogni cosa ha parte il destino ; che l anima è immortale, ma soltanto quella dei buoni passa in un altro corpo,mentre quella dei malvagi sono punite con un castigo senza fine i farisei sono legati da scambievole amore e perseguono la concordia entro la comunità .
In Antichità giudaica XVIII 12-15 (Angelo Filipponi, Antichità Giudaica, XVIII, E book Simplicissimus , 2012) Flavio dice:
I Farisei hanno un sistema di vita semplice e non concedono niente alle mollezze: seguono con autorità quanto la loro dottrina trasmette giudicando buono ciò che bisogna dettare considerandolo degno di contesa.Tengono in onore i più anziani, non essendo orgogliosi in niente altro se non coraggiosi, di fronte alle risposte di coloro che ostacolano il loro parere. Essi ritengono che ogni cosa avvenga per destino, senza però negare il libero arbitrio, in quanto sono contenti che ci sia mistione di potere tra Dio e il magistero del destino: gli uomini, virtuosi e malvagi devono stare con propri meriti Essi hanno la speranza della immortalità delle anime (Essi hanno speranza che le anime abbiano una forza immortale) e che sotto terra ognuno avrà un’adeguata dimora, a seconda del merito e in relazione alla virtù e al vizio, che alcune anime saranno chiuse in eterne prigioni e che altre invece potranno ritornare in vita. Per questo essi risultano molto graditi al popolo, ogni preghiera e tutti i riti cultuali divini sono svolti conformemente alle loro prescrizioni; la loro virtù fu così lodata dalle popolazioni(cittadinanze) che li seguivano per la pratica, perché ritenuti migliori nel sistema di vita e nelle regole.
Perciò bisogna concludere secondo pertinenza che in epoca di Gesù il fariseismo era una setta che insegnava la resurrezione, la stretta osservanza delle regola ma soprattutto ogni fariseo sapeva come agire di fronte ai sadducei, sacerdoti e loro avversari, come combattere i romani, come comportarsi coi pubblicani dando regole di comportamento pratico. Insomma i farisei erano maestri di giustizia, laici , ed una loro frangia era la setta degli esseni .
Gesù, ebreo, il Christos Messia, mai avrebbe potuto mostrare una simile figura di fariseo, un giusto come suo fratello Giacomo, che predicava il Malkuth ha shemaim, la sua prossima venuta e il valore delle opere e non delle Parole !.
Cosa diranno di questa lettura i miei amici e parenti cristiani? mi auguro solo che abbiano almeno qualche dubbio sui Vangeli e sulla ispirazione dello Spirito Santo!
Io lavoro, essi credono! Cosa? Non lo so.
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Firenze 7 aprile 1498: Un ordalia, un giudizio di Dio!Che Vergogna per gli umanisti!7 aprile 1498 un francescano e un domenicano a Firenze, in Piazza della signoria, si sfidano ad un’ordalia di fuoco.I priori hanno concesso l’area della piazza ed hanno allestito il teatro della sfida, facendo una piattaforma di legno alta oltre due metri, di circa trenta metri di lunghezza e di sei di larghezza : i quattro lati a mò di recinto, erano fatti di mattoni verdi, crudi, sovrapposti, di altezza di poco più di 30 centimetri.I due contendenti arrivavano dai propri monasteri di S. Croce l’uno e di S. Marco l’altro: uno è lo sfidante il francescano Giuliano Rondinelli, che ha assunto l’incarico e si è sacrificato al posto di Fra Francesco da Puglia, che aveva lanciato la sfida, contro i savanaroliani; l’altro è Fra Domenico da Pescia, che gareggia per l onore di Fra Gerolamo Savonarola.Dovevano fare il percorso senza bruciarsi: risultava vincitore chi usciva vivo da quell inferno!Savanarola guidava la Repubblica di Firenze, che si era costituita dopo la morte di Lorenzo il Magnifico e la venuta di Carlo VIII in Italia.Fra Gerolamo con la sua visione apocalittica aveva profetizzato gli eventi ed aveva attaccato la politica di Rodrigo Borgia(Alessandro VI, successore di Innocenzo VIII Cybo) inimicandosi così col papato, da cui precedentemente aveva avuto autorizzazione per l indipendenza del Convento di S. Marco e per il raggruppamento di tutti i monasteri domenicani sotto la sua tutela, grazie al cardinale Oliviero Carafa.In città si erano costituite due fazioni/ partes quella dei Palleschi a favore dei Medici e quella dei Piagnoni a favore del frate che aveva perfino messo al rogo tutti i libri considerati mondani cioè non utili alla moralizzazione dei cives e che aveva intensificato la sua azione nelle prediche, quaresimali, contro il papa simoniaco.Alessandro VI, dopo le ammonizioni, rituali, aveva scomunicato il frate che aveva insistito nella sua azione antipapale nei suoi commenti alla Bibbia, mostrando come la vigna del Signore era desolata e in mani sacrileghe.Pochi giorni prima della sfida era giunto un breve papale con cui si condannava al fuoco l eretico Fra Gerolamo.In questa situazione di grave lotta civile tra le due opposte fazioni, bisognava dimostrare che il domenicano era nel giusto perché fautore e cavaliere di Dio per Fra Gerolamo giusto, santo e profeta, mentre il Francescano Fra Giuliano affrontava il martirio competendo per dimostrare il contrario che cioè Fra Gerolamo era un falso profeta degno di essere condannato: Dio doveva dimostrare chi dei due fosse nel giusto, salvandolo dal fuoco.I due frati erano pronti per passare a piedi nudi e fare il percorso, senza bruciare, grazie a Dio che avrebbe protetto il giusto.Come finisce la disputa?Con un acquazzone tale che spegne il fuoco.I due concorrenti sono tenuti in sospeso dai priori che li sentono discutere teologicamente e fanno questioni di ogni genere, timorosi dell ordalia: l uno, più motivato al martirio, è sulla piazza; l altro è dentro il palazzo della Signoria, con i notabili.Dapprima i francescani rifiutano la cappa di fra Domenico inadatta per l’ordalia, perché stregata e fatta con incantesimo, poi hanno dubbi sugli abiti stessi, per cui il frate è spogliato di quelli che porta ed ha abiti da un altro domenicano, ed infine sollevano obiezioni sulla distanza che deve esserci tra il domenicano e Fra Savonarola, capace di magie perché dotato di poteri diabolici.I francescani, inoltre, contestano Fra Domenico che vuole portare il crocifisso ed anche l’ostia consacrata, ritenendo la croce una protezione e il corpo di Cristo non bruciabile: per loro si fa cosa iniquissima e contro la chiesa se si procede secondo il volere del domenicano.I francescani da parte loro cercano di far passare tempo e di spingere i domenicani ad iniziare per primi la gara: la dilazione sembra fatta in relazione al mutamento delle nuvole e al peggioramento del tempo sopra Firenze.Fra Domenico, savanaroliano, sembra l unico deciso ad entrare sui carboni, mentre il Rondinelli, forse impaurito dal fuoco, è tenuto prudentemente in attesa, comunque, forse, all occasione, sarebbe stato capace anche di morire martire.Cavilli religiosi, comunque dall una e dall altra parte, prima della purificazione dell acqua e della fine definitiva della disputa!La folla, tutta maschile, era in fibrillazione (Le donne i bambini assistevano dalle finestre e dai tetti della piazza), le due fazioni, armate, erano all erta, mentre la signoria aveva disposto un suo esercito per evitare gli scontri e le violenze.Un temporale con lampi e tuoni spegne il fuoco: Dio non vuole quella prova: questo sanciscono, concordi, domenicani e francescani e le auctoritates presenti, che, tutti inzuppati di pioggia, tornano ai loro conventi e case.La razionale Firenze, patria di Lorenzo il Magnifico, morto da pochi anni, domicilio di Pico della Mirandola (anche lui morto da poco, seguace del Frate che aveva visto la sua anima salva in Purgatorio) e di Poliziano, letterato devoto e di Michelangelo religiosissimo, mostra con questa ordalia una diversa realtà di fine quattrocento, tutta ancora medievale, solo in apparenza umanistico-rinascimentale.Il povero Fra Gerolamo Savanarola, quasi un mese dopo, il 23 maggio, fu bruciato vivo, con due confratelli!
Viene eseguita la condanna papale .
Trionfa Alessandro VI con la sua politica a Firenze e suo figlio Cesare si crea uno stato indipendente nel Centro Italia grazie al potere paterno
Luca narra la guarigione di 10 lebbrosi in 17,11-19.
Il racconto di Luca non è una testimonianza di un miracolo paradoxon, di Gesù, che si trova a passare, al confine tra la terra di Samaria e quella di Galilea, mentre va a Gerusalemme, ma è spia di un telos, quello lucano, di mostrare cioè la riconoscenza di un Samaritano -rispetto all ingratitudine degli altri nove, giudei e la sua fede nel Regno di Christos venuto.
Il racconto di Luca non è storia, ma è una dihghsis narrazione di un normale scrittore ellenistico, impegnato cristianamente secondo la scuola antiochena: Luca non conosce la toledot giudaica e neanche la torah/nomos legge, sia giudaica che samaritana
D altra parte già Luca aveva parlato della guarigione di un solo lebbroso in 5, 12-16 , raccontata anche da Marco 1,40-45 e da Matteo 8 1-4.
Dunque, il racconto di un Gesù Methorios- che con una comitiva attraversa il confine tra Galilea e Samaria per prendere decisamente il cammino lungo il Giordano fino a Gerico, prima di salire alla Città Santa- fa parte del sondergut lucano, di quel materiale speciale tipico del mestiere di Luca medico e scrittore, che ha lo skopos di rivalutare la cultura e il popolo samaritano, coinvolto nella stessa comune sconfitta, dopo la distruzione del tempio, dopo la fine di Simon Mago a seguito del pagamento della doppia dracma al tempio di Zeus, a Roma, di tutta la Iudaea capta (Idumea, Samaria e Giudea) secondo gli ordini di Vespasiano (69-79 d.C).
Nel disegno lucano grande rilievo ha la parabola del buon samaritano 10.30-37, paradeigma di uomo che ama il prossimo, esempio di uno che ha compassione/eleos, che si ferma, anche se ha impegni di lavoro, vedendo un altro soffrire, perché ferito da lesthai/ladri, che si accosta premurosamente, che fascia le ferite, che versa sopra olio e vino, che lo fa montare sulla sua cavalcatura, che lo conduce all albergo/csenodochion, che cava dalla borsa due denari,(8 sesterzi cioè 32 assi, poco meno di 40 Euro), che li dà all albergatore, a cui affida il ferito, con la raccomandazione di curarlo, aggiungendo che al ritorno restituirà (il verbo sottende che c è già rapporto tra i due) quanto avrà speso di più.
Per capire quanto il samaritano dà concretamente all albergatore aggiungo per il mio lettore che un romano compra con due assi un kg.di pane (poco più di un due Euro ) e con un sesterzio cioè con quattro assi (quattro/ cinque euro circa ) può scopare una scadente prostituta.
E un racconto ellenistico, filantropico, comunitario che tratta di un civis romano incappato nei briganti, che turbano l ordine del Kosmos imperiale in Iudaea nei trenta chilometri circa, che dividono Gerusalemme (città a 750 metri sul livello del mare) da Gerico (località a 250 metri sotto il livello del Mare), lungo sentieri tortuosi, impervi, aridi e desertici, a volte dirupati
C è sottesa la denuncia del precedente sistema di vita, giudaico, (anche se Luca, probabilmente, non lo sa!), perché non associa a lesthai gli zeloti, i partigiani, integralisti religiosi antiromani del periodo erodiano e posterodiano
Chiaramente, comunque, Luca marca i semeia di un comportamento caritatevole nei confronti di uno sconosciuto da parte di un samaritano che, secondo Giovanni (4,9), è animato da ostilità verso gli ebrei, che lo considerano eretico e scismatico.
L attenzione alle azioni del samaritano è in relazione contrapposta al comportamento dell élite sacerdotale ebraica (sacerdoti e leviti) condannata perché gira alla larga (antiparerchomai significa passo oltre e vado dalla parte opposta), anche se non più esistente perché non esiste più il tempio
La domanda di Gesù al dottore della legge- uno scriba, un fariseo, un laico che chiede cosa fare per ottenere la vita eterna -è volta da Luca non nella direzione della legge mosaica e quindi secondo le Scritture (Deuteromio.6,5 e Levitico 19,18) a dire cioè amerai il signore Dio tuo da tutto il tuo cuore , con tutta la tua anima e con tutta la tua forza, con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso, ma a referenziare con un esempio pratico l idea astratta di prossimo/o pelas, secondo parabola...
Infatti Luca fa rispondere il dottore della legge a Gesù che chiede Chi di questi tre (Sacerdote, Levita, Samaritano) è stato prossimo di colui che incappò nei predoni?- : Chi gli ha usato misericordia.
Chiaramente il telos di Luca è quello di un cambio di destinatari e di fruitori del Vangelo: non più gli ebrei (sacerdoti e leviti, sadducei e farisei) ma samaritani (e pagani) sono ora i cleronomoi gli eredi del pathr, senza il patriottico hmoon (Lc.11,1-4) molto diverso da quello di Matteo (Cfr. Una lettura del padre nostro )
In questo disegno lucano la Guarigione dei dieci lebbrosi è un altro segno dell intento sotteso di Luca, già mostrato nella parabola della dramma perduta 15,8-10, del figliuol prodigo 1511-32, del fattore infedele 16,1-12, e del ricco eupolone e del povero Lazzaro 16 19-31., della scelta dei posti al banchetto 14,7-11.
Prima di parlare del paradoxon del miracolo della guarigione dalla lebbra,- su cui non entriamo in merito- è opportuno chiarire che secondo la legge giudaica, il lebbroso, guarito, deve essere reintegrato nella società dei viventi, e deve avere una certificazione per poter abbandonare l isolamento (o la vita comunitaria con altri lebbrosi) da un sacerdote da presentare al suo eparco/nomarco, capo civile della zona di residenza.
Detto questo, il racconto lucano ha una sua logica, non di un uomo vivente nel periodo prima della distruzione del tempio (70 d. C) ma di uno che vive e scrive nell epoca dei Flavi.
Infatti Luca fa dire a Gesù (morto nel 36 d.C.), uomo conforme alla Legge: andate e mostratevi ai sacerdoti dimostrando che conosce l obbligo per un giudeo di purificazione e di espiazione secondo la valutazione sacerdotale.
Il seguito del racconto,invece, tratta del ritorno di uno, -un samaritano, che, vistosi guarito, torna indietro, glorifica Dio a gran voce- si prostra con la faccia a terra- fa la proskinesis che si deve ad un re o a un Dio ringrazia (impossibile, in situazione di fatto, la vicinanza ai piedi di qualcuno, da parte di un lebbroso, senza una certificazione legittima sacerdotale, pena la morte!) il maestro, che dice: non furono mondati tutti e dieci. Dove sono gli altri nove? e che aggiunge: non s è trovato alcuno che tornasse per rendere gloria a Dio, se non questo straniero.
Non sono congruenti i due enunciati iniziali e tanto meno l aggiunta! un Gesù, Christos o no, dopo aver obbedito alla Torah, non può parlare in questo modo.
Gesù, Christos , attivo tra terzo e quarto decennio del I secolo in terra giudaica avrebbe dovuto sapere che la prescrizione della legge impediva il ritorno ai 9 giudei per almeno otto giorni!
Quel Gesù, secondo noi, in quell epoca, non può non conoscere la procedura per la reintegrazione sociale secondo le forme e le disposizioni mosaiche, che impongono purificazione ed espiazione dei peccati-dopo i giorni di cammino da luogo di residenza dei lebbrosi al Tempio- tramite la figura del sacerdote e poi dell addetto ufficiale politico!
D altra parte lo dice espressamente ogni giudeo dell epoca conosce il Levitico e la procedura (da seguire per la lebbra) per la purificazione e per l espiazione.
Non per nulla minuziosa è la prescrizione per la riammissione di un lebbroso in comunità in Levitico 13,1-59 e 14 1-56, da cui stralciamo alcune prescrizioni, che riguardano il purificatore e il purificando.
Il sacerdote per la purificazione dopo aver costatato la guarigione ordinerà di portare: due uccelli vivi e puri, del legno di cedro, del panno scarlatto e dell issopo e fatte i sacrifici necessari, inizierà il rito di espiazione al cospetto di Jhwh e dopo le operazioni richieste gli permetterà di entrare nell accampamento o città nel luogo dove abita, dopo l autorizzazione del toparco, senza entrare in casa o tenda (da purificare anche esse) per sette giorni.
All ottavo giorno il purificando, (a seconda delle sue possibilità) prenderà un agnello per il sacrificio di riparazione, l offrirà .prenderà anche un decimo di un efa (13kg, quindi 1,3Kg) di fior di farina intrisa in olio, come oblazione e un log di olio, due tortorelle o due colombi, di cui uno come sacrificio di espiazione e l altro come olocausto
Non ho la minima voglia di mostrare i tanti atti rituali che sono compiuti dal sacerdote per la purificazione di un lebbroso, mi preme però, far capire che Luca o non conosce il costume, pur facendo parlare Gesù in tal senso, oppure non essendoci più il sacerdote sadduceo ( essendo stato distrutto il Tempio) segue la sua logica di Christianos antiocheno, del periodo flavio, desideroso solo di mostrare la fede in Christos.
Ecco dunque il vero messaggio di Luca : La fede nel Cristo venuto è salvezza per il samaritano e per tutti gli uomini che credono nel suo messaggio secondo Paolo e Luca, ma non per gli ebrei.
Invece la lettura del passo evangelico, se in linea con i tempi di Gesù sarebbe stata diversa e non ci sarebbe stata possibilità di mostrare la gratitudine di un samaritano, anche lui vincolato dalla stessa legge anche se legge propria di scismatici, ma univoca per la procedura della lebbra e costretto a seguire il rituale di reintegrazione sociale con altri sacerdoti, quelli del Monte Garizim, vincolati anch essi dalla Bibbia Samaritana (che comprende oltre al Pentateuco- Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio-anche Giosuè)
In epoca Flavia tutto è azzerato : un narratore, di formazione ellenistica, può dare significato nuovo ed aggiungere altri valori, secondo il proprio credo e la propria inventiva creativa
All epoca , la condizione di Samaria è diversa rispetto all Idumea e alla Giudea, molto più coinvolte nella guerra giudaica, perché tutelata maggiormente da Roma, data la consistenza dell elemento militare, sicuramente filoromano da quasi un secolo, da quando Erode fondò Sebaste in onore di Ottaviano, Augusto/Sebastos, e netta è la distinzione tra l ebreo vinto infidus, taeterrimus secondo Tacito, perfidus nella sua accezione negativa, e il samaritano quasi un confederato, un auxiliarius sebastenus nell esercito romano .
Da questa angolazione il passo di Luca ha altro valore e significato: il ritorno del samaritano è quindi segno di gratitudine di un individuo che diventa simbolo di un popolo che venera il Christos venuto, come benefattore e come Dio
Luca, comunque, non ha buone conoscenze né giudaiche né samaritane, ma solo generiche informazioni bibliche derivate (sembra) da 2 Re 5, 14-17 , dove viene presentata una figura parallela a quella del Samaritano: un lebbroso, un militare, lo straniero Naaman il siro, che quando si vede risanato, torna dal profeta Eliseo, pieno di fede verso l unico Dio, dopo che si è lavato sette volte nel Giordano secondo l ordine del profeta
Luca è un ellenista che ama inventare parabole, fare aggiunzioni, propagandare il Christos in quanto discepolo di Paolo- uomo dio venuto, ucciso dai romani, risuscitato, destinato a tornare presto per instaurare il Regnum
Il fatto del Miracolo dei dieci lebbrosi, quindi, per come scritto, è una riqualificazione dei samaritani, che divenuti da barbari-scismatici e quasi idolatri, assimilati agli assiri, ai babilonesi, ai persiani, ai siriaci considerate le tante deportazioni dal periodo di Sargon- cives romani, degni di essere nel Kosmos imperiale, perché conformati all imperium, alla iustitia e pax romana
Lisania era figlio di Tolomeo di Menneo, signore di Calcide che, alleato di Aristobulo II, suo suocero, aveva accolto Antigono, dopo la morte di suo fratello Alessandro, con le sorelle a corte.Tolomeo era stato un padre spietato, che aveva fatto uccidere l altro figlio Filippione, a cui era stata concessa come sposa Alessandra, sorella di Antigono, per sposarla a sua volta (cfr.Flavio Ant.Giud. XIII, 392,XIV,126).Aveva fatto una politica antiantoniana e filoparthica ed aveva riportato nella sua terra Antigono, promettendo ulteriori aiuti, all atto dell invasione di Pacoro, figlio di Orode, re dei parthi.Questi aveva conquistato tutta la Fenicia ed era arrivato al Mediterraneo, ma non era padrone del mare per la presenza della flotta antoniana, mentre Barzafrane e Quinto Labieno, figlio di Tito Labieno (Ant .Giud.XIV,330, Dione Cassio, Storie XLIX,19-21) agivano nell interno della Siria e Celesiria.Lisania, alla morte del padre, alleatosi con Antigono, lo aiutò a conquistare Gerusalemme e a consolidarsi nel potere, facendo, quindi, una politica avversa ad Antonio, secondo la tradizione familiare.Quando, però, Pacoro fu vinto, nel 38 a.C. da Ventidio Basso, che già aveva sconfitto ed ucciso Barzafrane e Labieno, gli furono imposte, dopo la vittoria di Gindaro, gravi tributi: le condizioni di pace, trattate con Antonio stesso, furono pesanti.Antonio, vincitore per legatum dei parthi, già innamorato di Cleopatra, ucciso Antigono in Antiochia, aveva imposto Erode come sovrano in Giudea ed aveva assegnato in dono alla regina egizia la tetrarchia di Lisania (che, accusato di aver favorito i parthi e di aver cospirato contro i romani, era stato ucciso Ant. Giud. XV,92) ed alcuni territori di Malco, re nabateo (quelli intorno a Damasco).I due re pagarono caramente specie Lisania, che, prima di morire, dovette cedere anche la capitale Abila (di cui si vedono rovine al villaggio, oggi chiamato Suk Wady Barada, a 20 km da Damasco) alla regina egizia.Erode, pur socius dei romani dovette pagare per non dare territori richiesti da Cleopatra (la zona di Gerico): diede infatti duecento talenti, versando anche la metà di Malco, che non aveva alcuna intenzione di saldare il debito.Il re giudaico, in quanto fiduciario del triumviro, dichiarò guerra a Malco, poco prima della battaglia di Azio (31 a.C.).Questa guerra si protrasse per oltre un ventennio e fu contro i nabatei e contro Zenodoro, che era stato l amministratore della casa di Tolomeo di Menneo e quindi di suo figlio Lisania (o ton Lusaniou memisthomenos oikon).Questi nel corso e dopo la guerra aziaca, riprese il controllo della ex tetrarchia di Lisania e la gestiva approfittando della mancanza di autorità romana ed egizia, nel periodo compreso tra il 32 e il 29 e forse, fino al 27 a.C., epoca in cui Augusto decise il destino della Celesiria e delle zone ciseufrasiche e transeufrasiche.La zona di Calcide, ai piedi del Libano, con quella di Abila, estesa fino verso il monte Hermon comprendeva parte della fascia orientale settentrionale del Libano attuale, tutta la zona montuosa nordoccidentale compresa l Iturea (Batanea, Ulatha e Paneas) Gaulanitide, Traconitide, Auranitide e zone dell alta Galilea, fino alla Decapoli.La tetrarchia di Lisania non era una piccola regione e per di più non omogenea, difficile a gestirsi, data la diversità di popolazioni, considerate le differenze morfologiche e la mancanza di una capitale unitaria: essa, grosso modo (tolta la parte settentrionale del Libano) poi toccò a Filippo, figlio di Erode il grande, che edificò al centro di questo territorio, Cesarea sotto l Hermon, alle sorgenti del Giordano, dando così una nuova capitale (cfr Ant. Giud.XVIII,12-28,106).Poi la tetrarchia ebbe qualche spostamento territoriale verso oriente, dopo la separazione coi territori nord-ovest (aggregati, forse, alla Siria) e fu data a Erode Agrippa-Ant.Giud XVIII, 276- ed infine assegnata da Claudio a suo fratello Erode, pur ridotta nelle dimensioni (Ibidem,XX 138) territoriali, limitati alla zona di Calcide. Per questo motivo il fratello di Erode Agrippa I viene chiamato Erode di Calcide.Molte di queste zone erano state occupate, quelle transgiordane, da Iamneo ( Ant. giud. ,XIII,393-4,397), che aveva conquistato tra l altro la Valle detta di Antioco e la fortezza di Gamala e perfino Pella in Decapoli, e le aveva colonizzate insieme con la Perea (che è più a sud), inviandovi sacerdoti, per far adottare i costumi giudaici.Zenodoro, comunque, si oppose ad Erode il grande, che era stato investito da Augusto come sovrano della ex tetrachia di Lisania, con cause e con operazioni militari, impedendone la conquista.Erode ebbe il sopravvento nella causa giuridica per l appoggio sia di Marco Agrippa che di Augusto, il quale, nel 20 a.C. , stando in Siria, in occasione di una ventilata spedizione contro i parthi, riconfermò il precedente dono, fatto dopo la guerra aziaca.Erode, però, non ne aveva preso militarmente possesso definitivo perché ostacolato da Zenodoro, dagli arabi, dai parthi.Infatti Zenodoro, non avendo avuto l appoggio romano, essendo nemico di Erode, cominciò a tessere rapporti diplomatici con i parthi e con gli arabi, e fece concessioni di porzioni del territorio a Fraate e vendette l Auranitide a 50 talenti (ad un basso prezzo, circa 1.250.000 euro) ai nabatei, in modo da poter regnare indisturbato sul restante della tetrarchia.Da qui la difficoltà di inglobare la tetrarchia di Lisania da parte di Erode, che, solo nel 12 a.C. , alla morte di Zenodoro, ne entrava in possesso, nominale.La zona, infatti, non era di facile controllo sia per la morfologia accidentata del territorio, montuoso, che per la presenza di lhistai, ladroni (sul problema lhistai-zelotai nel territorio di Lisania -Zenodoro cfr. Giudaismo romano I parte).L intervento romano di Varrone, governatore di Siria e poi quello di Senzio Saturnino, incaricati a più riprese di ripulire la zona non dovette avere esito se Erode non ne prendeva possesso ed era tenuto in scacco dai lhistai in una regione adatta alla guerriglia.La zona per me era covo degli zeloti che, protetti dai Parthi e dai Nabatei, avevano rifornimenti e quindi fomentavano rivolte mantenendo uno stato permanente di guerriglia, inestirpabile, perdurato fino alla vicenda di Cristo e poi fino alla guerra del 66-73 d.C.Erode (forse) trovò la soluzione con Zimari, che, cacciato dalla Parthia, esule, aveva chiesto ospitalità e una sede per i suoi 500 arcieri e per il centinaio di famigliari mesopotamici babilonesi giudaici, che, stanziati ai confini della Traconitide, la controllavano.Erode gli concesse Ulhata a nord del lago di Hule e l eparchia di Batanea, esentò lui e tutta la regione da tasse e da altri obblighi.Zimari ne prese possesso ed edificò Bathira: egli fu uno scudo per gli abitanti, opposti ai traconiti, e per coloro che da Babilonia venivano al tempio di Gerusalemme e fu sempre fedele ad Erode.Zimari pacificò la zona, facendo accordi con i lhistai, concedendo forse loro delle garanzie, se i suoi figli (Iacimo e Filippo, pur amici dei figli di Erode e dei romani ) poi non tradirono i figli Giuda il gaulanita e tanti altri zeloti.Il solo Tiberio Alessandro, figlio dell alabarca, diventato prefetto di Giudea, ebbe successo in quella zona e poté prendere ed uccidere Simone e Giacomo, figli di Giuda.Qui l abilità politica e strategica di Erode (Ant.giud., XVII,23-31) prevalse sul militarismo romano, dapprima facendo concedere parte dell ex tetrarchia a suo fratello Ferora, che era diventato tetrarca di Perea, poi mediando con i nabatei e i parthi, specie dopo il matrimonio di Erode Antipa con Dasha, figlia di Areta IV.Il problema degli zeloti, però, non fu risolto e sembra che solo con Agrippa I la zona fu oppressa pesantemente (Ibidem, 28) . In seguito i romani imposero, pur lasciando lo statuto di libere popolazioni, tributi agli abitanti.La tetrarchia di Tolomeo di Menneo, di Lisania, di Zenodoro, tenuta da Erode con l aiuto di Zimari, e di Ferora, divenuta tetrarchia di Filippo, poi di Agrippa I e infine passata sotto i romani, pur con speciali statuti è il covo degli zeloti, che gravitano sulla sponda transgiordana, alla sorgente (nord est e nord ovest ) e che, animati da santoni del tipo di Giovanni il battista, sono oltranzisti irriducibili contro l auctoritas romana, inafferrabili in quell intrigo di sentieri montani, di rupi e di caverne e di boscaglia ancora oggi visibili, ben testimoniati da Flavio (Ant. Giud., XV,346-348).
MethoriosIl termine methorios è usato in diversi significati in autori di epoche differenti: Tucidite alla fine del V secolo, Filone nel periodo di Tiberio e Giuseppe Flavio in epoca flavia.
Tucidide usa il termine, unito a h gh , per indicare che la terra di Egina è methoria, cioè un avamposto Spartano contro Argo e contro Atene in cui gli egineti, filospartani, sono protetti dagli Spartani ed hanno un comandante spartano.Per methorios, dunque, si intende una terra di confine tra due popoli in opposizione.Il termine, invece, è usato, dopo secoli, in età ellenistica, in Filone di Alessandria in quanto il giudaismo, in epoca giulio- claudia, è genos di confine, ai margini dell’impero romano e confinante con quello parthico, con cui ha stretti legami per agkhisteia, suggeneia e phratria per vincoli cioè di parentela e di affinità linguistica e religiosa per cui esiste un popolo aramaico, come se fosse un’unica etnia.Questa, vivendo sotto l’impero romano e sotto quello parthico, territorialmente suddivisa, ha le stesse usanze, le stesse leggi, lo stesso sistema di vita tribale agricolo ed una comune lingua, l’aramaico.Quella, però, dell impero romano ha due sistemi differenti uno aramaico come quello parthico e un altro ellenistico, basato sul commercio e quindi diverso, pur nella comune fede ebraica mosaica.Ne deriva, perciò. che la popolazione giudaica, poluanthropica in epoca romano-ellenistica, risulta divisa in una pars aramaica di circa 1.600.000 (1.000.000 di Parti e 600.000 palestinesi) e 2.500.000 ellenisti.La prima vive secondo dikaiousunh ( Filone, Quod omnis Probus, 159) e secondo areth/virtù ( Praem., 15), conformata alla legge di Mosè, secondo le norme del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, con cui ha una particolare relazione con un patto eterno; la seconda è un ethnos misto, contrassegnato da pleonecsia /cupidigia, in quanto cerca di più il personale guadagno (Spec. 4,5) e vive secondo una pratica di vita mediana così da servire due padroni (Dio e i romani), pur coscienti di essere ancora una stirpe sacerdotale, amata da un pateer provvidente, che è numen confuso con il theos romano-ellenistico Filone in Vita Mosis I 324 mostra come il genos ebraico sia per natura isotimos , paritario, anche se evidenzia che ci sono alcuni che nella divisione delle terre bramano di più, andando oltre i limiti e le misure stabilite per mantenere il kosmos e per l equilibrio intimo e per la convivenza sociale.
Il filosofo rivela di conseguenza la presenza di anisotes ineguaglianza ((De Vita contemplativa, 70) con l atacsia disordine con indisciplina oltre che di adikia ingiustizia e di akolasia sregolatezza in opposizione a soophrosunh .Non è, comunque, facile delineare l area geografica parthico-palestinese, entro cui ci sono zone interamente pagane con popolazione di diversi credi, mentre è più facile rilevare la comune matrice oltranzista (fondamentalista, direi) Quale sia esattamente la zona abitata al confine dai giudei non è facile rilevarlo, anche se si conosce, grosso modo, tutto il territorio di confine lungo l Eufrate: essa comprende un’ampia zona non ben delimitata ed abitata, a macchia, da ebrei che hanno fatto proselitismo, da secoli e che si sono diffusi al di qua e al di là dell’Eufrate, più a Nord che a sud: la ricostruzione di queste zone giudaiche intorno ad un centro specifico potrebbe essere un grande lavoro al fine di capire la funzione di Methorios e la diversa applicazione differenziata del Tokos (interesse) tra fratelli e tra ebrei e pagani nelle zone di confine.Una zona dovrebbe essere quella intono a Nisibi e Neerda lungo il corso del fiume, fino alla confluenza dei due fiumi, a Ctesifonte e Seleucia con una popolazione ebraica superiore a quella dei giudei di Palestina Dalla fine del III secolo a.C. è attestata una famiglia, quella dei Tubiadi che svolge una funzione methoria di raccordo e di unità tra il popolo diviso nel territorio, seppure tenuto legato da convenzioni specie religiose, ed unito dal tempio di Gerusalemme fino alla distruzione del Tempio Filone probabilmente ha di mira il potere dei Tubiadi che avevano tentato di creare un stato cuscinetto tra Siria e Egitto nella zona dell Ammanitide, ( Flavio, Ant Giud. XII, 230.233) di cui oggi si hanno le rovine in Araq el Emir (un impianto monumentale comprendente un lago artificiale, grandi saloni, parchi, grotte scavate nella roccia e una rocca Birta in aramaico swr torre in greco= phrourion) .Probabilmente Giuseppe ed Hircano uomini della tradizione giudaica egizio -tolemaica, sopportati da Antioco III e da Seleuco avevano costruito una loro sede templare con trapeza in concorrenza con quella gerosolomitana .(cfr M. Hengel,Giudaismo ed ellenismo, Paideia ,2001, 555-562) Nel caso di ritrovamento di monete, come Jehud di Elefantina si potrebbe meglio sapere le relazioni tra i due stati ,come si rileva tra Nubia ed Egitto. Cfr. A. Vincent , Religion des Judeo-Arameans d Elephantine i937, 562 ss passim Comunque, allo stato attuale è solo ipotizzabile la volontà di creazione di uno stato di confine, la cui grandezza non è conosciuta e di cui non è neanche pensabile una ulteriore estensione al territorio palestinese, saldamente in mani romane, seppure sia arguibile uno stato filoromano methorios come l Armenia minor, al di qua e al di là dell Eufrate, come forse doveva essere quello di Erode il grande, se ci fosse stata la conquista della Parthia nel 20 a.C I ritrovamenti del Papiro Rainer e i papiri di Zenone mostrano come i telonai che derivano dalla cleruchia tolemaica di Tobia agiscano a Tiro e a Gaza ed evidenziano rapporti e probabili collegamenti col tempio di Gerusalemme, oltre a quello con la Birsa: sono telonai di origine sicuramente giudaica? E certo che essi sono attivi e a fianco o di Giuda maccabeocontro i siriaci, da cui sono sterminati (sembra) tutti quelli che sono tra i tubiadi ( Oi ontes ent tois Toubiou) , nonostante un azione protettiva del capo giudaico a Xaraxs Il legame militare e finanziario-economico tra i maccabei e i tubiadi non sarebbe spiegabile, se non ci fosse un medesimo credo religioso con un comune linguaggio Inoltre bisogna ben capire la funzione del giudaismo nel regno di Parthia, nel periodo di occupazione romana della Iudaea, nel quadro della confederazione di stati parthici: i giudei sono diffusi in ogni stato confederativo con maggiore o minore popolazione ed hanno in alcuni un grande rilievo, in altri minore, in altri quasi nullo e quindi svolgono un ruolo diverso in Mesopotamia rispetto a quello svolto in Adiabene, Armenia Minor e Perside Neanche si conosce il funzionamento del sistema amministrativo parthico che, però, dovrebbe perdurare in quello lagide in alcuni stati e in quello seleucide in altri: si sa, comunque, che per un certo periodo è solo seleucide fino a Antioco Epifane IV che desidera estenderlo a tutta la Celesiria o in territori semiautonomi, secondo i principi ellenistici.Queste zone, cadute , poi, sotto gli asmonei sono ritenute autonome sotto Pompeo e Gabinio: non si conoscono se i diritti sono vecchi, cioé quelli acquisiti sotto i lagidi e sotto i seleucidi e mantenuti sotto gli asmonei Di una cosa si è certi che nella zona molte città hanno diritti ibridi poi codificati in epoca romana, ma la loro tradizione è quella ellenistica .cfr. Flavio che cita Strabone (Ant giud. 14,75-78 , e Flavio stesso Guerra Giudaica 1 ,156-166),..
Inoltre, si sa che in Palestina quattro etnie (giudei, idumei, gazei e azotei) vivono mescolati ai siri , celesiri e fenici.Dalla corrispondenza di Zenone Cfr papiri di Zenone in A Momigliano, I tubiadi nella preistoria del moto maccabaico in Atti della reale accademia delle scienze di Torino ,67 (1931/2) 174 s.) si rileva l apparato amministrativo in Idumea, mentre si conosce un gruppo di giudei sotto i Tolomei considerato come somata laika eleuthera.Mentre la funzione del tempio di Gerusalemme è da stabilire se è secondo la struttura vecchia tolemaica o quella lagide prima della grande crisi di Giasone 175 a.C .Ora, comunque sia la questione, Filone in epoca tiberiana e Caligoliana considera il termine Methorios come basilare in senso giudaico e dà significato secondo la valenza già acquisita in epoca lagide, seleucide ed asmonea.La comprensione può essere difficile, ma diviene possibile se si tiene presente la cura/epimeleia di una basileia nei confronti del tempio e dei templi in genere.Filone sposta ora in una nuova situazione storica quella dell’universalismo romano quiritario, connesso con la basileia romana secondo le impostazione di Areio Didimo, che ha visto in Augustus Sebastos, Zeus, venerabile come datore di vita e come adresteia sorte stessa eimarmene, e per di più nomos empsuchos per tutti i cittadini dell’ecumene .Ora Filone vedendo la situazione giudaica compromessa nel dopo Seiano (dopo il 18 Ottobre 31 ), rivendica un ruolo per il giudaismo ellenistico, distaccandosi per quanto è possibile dal giudaismo palestinese ormai schierato in senso antiromano Se suo nipote Tiberio Giulio Alessandro si schiera totalmente da parte romana apostatando, lui tende invece ad una azione methoria dopo aver mostrato la singolare impostazione methoria del giudaismo ellenistico nel suo insieme con l idea di uno stato cuscinetto tra Barbaroi e Romanitas ellenizzata.Sulla base degli esempi dei Tubiadi e di suoi antenati oniadi propone questa nuova forma methoria a cui dà anche specificamente un valore morale secondo una linea di interpretazione etica in relazione a Mosè stesso theophiles / philotheos complementari per l unità della figura stessa del profeta-sacerdote, legislatore e basileus.Egli è diviso tra l amore verso Dio e amore verso il popolo e nell incertezza è a metà tra due opposti oosper epi plastiggos (come in una bilancia ) Vita di Mosè, III,153.Filone sembra congiungere varie forme della cultura giudaica e le ingloba in una propria sincresi che potrebbe essere originale ai fini d in un armonizzazione ed integrazione con la romanitas, specie nel momento critico dell impero di Caligola.Filone, perciò, si pone da una parte secondo la struttura greca e da un altra secondo quella della tradizione di Neemia ed Esra , essendo lui stesso, erede della famiglia oniade, methorios tra due culture differenti e quindi vuole essere mediatore culturale, sacerdotale, pontefice e sviluppa la theoria dell ameicsia tipica del sacerdozio mosaico
Filone aggiunge che il sacerdozio mosaico sottende un sacerdozio universale di tutta la la stirpe giudaica che, essendo intermedio, svolge una funzione di congiunzione tra Dio e il popolo/ l uomo in genere laico.
La funzione ripresa dal cristianesimo col suo papato cattolico romano e dalla cultura occidentale, di razza bianca, diventa theoria delle élites di inizio Novecento (Cfr. L altra lingua l altra storia), che autorizza il colonialismo, in una ripresa dell elezione ebraica
Il termine methorios sottende una ben precisa struttura organizzativa giudaica ellenistica quella della trapeza, dell’emporion, e della sua dislocazione in terra al confine, dopo apoikia, dopo aver mandato una colonia, come già fatto in epoca lagide e in epoca seleucide, in epoca asmonea e come facevano a loro modo gli erodiani, insomma l élite della società giudaica ellenizzata che viveva in mezzo ,tra i goyim e che si era adattata, in modo methorios, facendo effettivamente gli intermediari finanziari Ho potuto rilevare che Roberto Radice e forse ancora di più la Kraus Reggiani abbiano intuito qualcosa del valore di Methorios proprio perché più attenti al lavoro di traduzione e più legati al testo del direttore Giovanni Reale , hanno letto con qualche altra valenza il termine (Cfr Filone, Commentario allegorico alla Bibbia, Rusconi 1994) Specie in De Iosepho, comunque, Filone mostra la funzione methoria proprio del sacerdozio sadduceo e di tutte le forme derivate da quella dei Tubiadi e degli oniadi evidenziano il ruolo politico
(25.148. Certo in modo simbolico si dice salire sul secondo dei carri regali per questo motivo. Il politico è detto secondo del re (ta deutereia pheretai basileos).Infatti non essendo né privato né re è al confine tra i due (methorios), migliore di un privato cittadino per potere,inferiore di un re assoluto, soggetto a un popolo re, per il quale preferisce fare ogni cosa con fede pura e lealissima.) Fatta questa premessa tra le due letture di base del termine cerchiamo di capire da dove effettivamente sia derivato il termine nella concezione giudaica e chi per primo tra i giudei lo abbia usato: senza dubbio i tubiadi prima e poi gli oniadi hanno dato il significato in senso commerciale in quanto hanno svolto una precisa funzione in zone di confine., sia tra i Parthi e romani, che in zone dell India Gli oniadi, poi, avendo fatto apoikia e quindi vivendo in mezzo a pagani, esercitando l usura hanno svolto in epoca romana una precisa funzione di intermediario finanziario ai confini tra l impero romano e zone semi barbariche in cui esisteva una moneta diversa, applicando forme diverse di interesse in relazione al cambio
Gli oniadi , inoltre, essendo elementi sacerdotali, connessi politicamente con i vincitori, dovunque si trovino,e facendo proselitismo fino agli inizi del regno di Claudio, hanno piena coscienza della propria elezione e della loro funzione culturale in quanto figli unici del Theos pathr, signore dell universo
Perciò, si può dire in conclusione che Il termine Methorios, pur comparendo in Tucidide nel suo significato di base, diventa espressione di un nuovo valore solo in Filone.Lo storico greco, antico, dà , dopo la denotazione geografico-storica, una connotazione logistico-militare.Il filosofo giudaico, ermeneuta, esegeta biblico, erede di una famiglia sacerdotale (che ha esperimentato col sistema templare trapezitario ebraico, il compito di appaltare di phorologein la riscossione dei tributi per i dominatori lagidi e seleucidi, prima, e , poi, per gli asmonei e per gli ultimi Tolomei ed infine per i romani, congiunto con quello di collettivizzare in luoghi di raccolta e di smistare con carovane i depositi bancari fino al Tempio di Gerusalemme,(derivati dall’ ingente massa annuale della doppia dramma, di ogni giudeo ) dà un valore nuovo, aggiungendo un significato morale ad un termine proprio del codice militare e fiscale.Gli studiosi, specialisti, forse, non congiungendo opportunamente l’area semantica di methorios, ed avendo conoscenze solo teologiche di Filone, rilevano il valore lessicale e l’area allegorico- analogico-simbolico-anagogica e concludono quindi in senso etico Filone, in un’ epoca come quella Tiberiana e Caligoliana, quando critica è la situazione di tutta l ‘etnia ebraica, colpita a morte nel suo sistema emporico e trapezitario ecumenico, sia nella madre patria della Giudea che nelle sedi mediterranee della Diaspora ellenistica usa il termine, a mio parere, in modo da mostrare la funzione oniade nelle zone di confine: è una difesa (un ‘apologia) morale che copre, sottendendo la ragnatela bancaria e il sistema emporico giudaico, di uomini ricchissimi, cives romani divenuti csenoi ed epeludes, non più epitimoi perché colpiti da atimia ..Methorios, methoria, methorion, dunque, è un aggettivo certamente usato da Tucidide.(460/456-395/390 a. C.) in La Guerra del Peloponneso due volte, mentre è variamente usato con significato, diverso da Filone.In II,27 lo storico ateniese dice: H de Thureatis ge methoria tes Argeias kai Lakonikes estin/ la terra Tureatide è confinante tra Argolide e Laconia.Il termine ha un particolare rilievo per lo stato di ostilità continua tra la due regioni e per la situazione, creatasi nel corso della guerra peloponnesiaca, per cui gli abitanti di Egina, scacciati dagli ateniesi, perché rei di avere causato la guerra in Locride, erano stati condotti in quella terra, per ripopolarla, dagli spartani, memori del loro aiuto nel precedente terremoto e nella rivolta degli Iloti.Nella seconda citazione Tucidide (IV,56) parlando dei fatti del 425 anno, in cui Brasida, dopo al sconfitta di Sfacteria, stabilisce di fare la spedizione in Calcidica nel momento in cui c’è l’occupazione di Tirea, il capoluogo della zona methoria e oltre alla cattura dello spartano Patroclo, ferito.Lo storico intende, dunque, con gh methoria indicare la terra di Cinuria- Tureatide posta al confine tra Laconia ed Argolide, marcando la difficile situazione di una zona posta tra due stati in conflitto, e rilevando la sua funzione difensiva per la Laconia e quindi per Sparta.Filone Alessandrino (30/25 a.C- 42/43 d.C.) usa il termine Methorios varie volte, dà di norma una valenza significativa morale, mentre parla della figura di progrediente in relazione al bios di Abramo e specie di Giacobbe per mostrare la singolarità dell’ebreo, di un uomo che cerca e vede Dio, di uomo che combatte con Dio in una continua skepsis, secondo linee ascetiche, in una visione ecumenica.Su questa base semantica Filone attualizza il termine in epoca caligoliana e lo vede nella sua crisi e lo connota come methorios ,uomo al confine tra Romanitas e Parthia: infatti l ebreo è da una parte romano-ellenistico e da un altra mesopotamico, integralista ed incapace di mediare e di mettere insieme due culture oppositive. Per Filone, invece, l ebreo methorios è chi corre il rischio di essere bruciato tra i due estremismi, ma è anche il saggio che sa congiungere i due opposti e lanciare ponti in modo da svolgere la sua funzione di mediazione non solo culturale ma anche economico-finanziaria.
Il compito del methorios diventa difficile ed eroico quando domina il fanatismo religioso , quando ci sono scissioni/skimmata , erides contese e staseis , quando c è guerra/polemos nell anima ebraica, dilacerata tra la cultura occidentale romana e quella orientale parthica Nei conflitti tra Romanitas e Parthia si è rilevato puntualmente in Giudaismo Romano un tradimento ebraico: dall impresa antipartica di Crasso a quella di Antonio, dalla ventilata guerra di Augusto ai Parthi nelle 20 av. C., alla volontà di invasione da parte di Caligola fino alla guerra di Traiano nel 116.Sempre i romani sono sconfitti perché con l esercito romano ci sono i giudei che,essendo inizialmente methorioi, poi passano dalla parte dei Parthi dimostrando coi fatti la loro reale appartenenza al mondo mesopotamico barbarico: i battellieri ebraici che imbarcano a Nord l esercito romano e lo portano fino alla pianura mesopotamica in epoca traianea, dopo la sconfitta romana ad opera della cavalleria catafratta parthica, non fanno risalire i soldati romani sulle loro barche e quindi rendono manifesta la sconfitta e penosa la ritirata di Adriano mentre Traiano è malato Il solo Ventidio Basso, un legatus antoniano, ebbe la meglio sui Parthi nel 38 av.C. perché non volle la mediazione ebraica né alcun aiuto, rifiutando perfino le guide e vinse a Gindaro, grazie ad una sua specifica scelta militare e alla capacità di evitare lo scontro con la cavalleria catafratta nemica Il termine Methorios, dunque, per me è basilare per la costruzione di una nuova figura di ebreo, vilipeso perché privo di diritti civili nel mondo romano, nel periodo seianeo e caligoliano, perché considerato gente xenofoba, taeterrima, perfida, secondo una connotazione dovuta più all’integralismo palestinese che a quella degli ellenisti, seppure odiosi alle altre nazionalità con cui convivono alla pari nel Kosmos romano, perché ricchissimi ed avidi esattori della domus Giulio-claudia, che hanno organizzato un grandioso sistema trapezitario grazie all abilità nella riscossione dei tributi Nelle due opere storico-politiche In Flaccum e Legatio ad Gaium, ed anche in De Iosepho e nelle Vite di Abramo e di Mosé, in particolare, è possibile rilevare il valore completo di methorios, seppure espresso solo in senso morale
Ci piace a questo punto precisare questo ultimo punto rilevato nell opera filoniana.Noi riportiamo, perciò, due puntuali citazioni di Filone, da cui si evince la lettura di methorios come elemento intermedio posto al limite tra due estremi, in cui il suo etimo semanticamente diventa tipico nei rapporti intercorrenti tra Dio ed uomo come ricerca di equilibrio tra materia e divinità, come via intermedia propria di una methodos , che dovrebbe dare stabilità all’ uomo che cerca Dio nella giungla materiale diairetica di bene/male , di sensibile/ soprasensibile di transeunte /eterno, di mortale /immortale, di umano/ divino.In De opificio, 135 si legge : l’uomo è al confine tra la natura mortale e la natura immortale perché partecipa anancasticamente dell’una e dell’altra in quanto creato insieme mortale ed immortale, mortale nel corpo ed immortale nella mente In quasi tutta l’opera di Filone è presente questa impostazione apologetica in una considerazione simbolica secondo l’esegesi biblica del giudeo \"spiritalis”, come i farisei e gli esseni e, specie i contemplativi ( De Vita contemplativa) in un rovesciamento della figura dell’ebreo/ivri – chi vede Dio Israel , in sacerdote e quindi persona sacra che aspira a congiungersi con Dio.Questa impostazione apologetica è ancora più palese è in De Somniis II,229-230:e in Peri ths Moseos kosmopoiias , 105Filone mostra la mente del saggio, distaccata dalle tempeste e dalle guerre e la vede approdata alla serenità in una pace profonda, come tipica di un essere inferiore a Dio, ma superiore all’uomo In questa visione Filone è connesso con la lezione epicurea propria della Lettera a Meneceo: ouden eoike tooi thnetooi, anthropos o zoon en tois athanatois agatois.La precisazione che fa è la seguente: l’uomo di valore occupa una posizione methoria in quanto non è Dio né uomo, ma un essere legato ad ambedue gli estremi, alla specie mortale per la sua condizione di uomo, a quella immortale per la sua virtù.Da una parte il valore epicureo, a seconda del libero arbitrio umano, può portare alla perfezione o alla abiezione, in relazione al prevalere della virtù o delle passioni; da un’altra, la via è quella dello spoudaios, del saggio che tende progressivamente al sommo bene seguendo il paradigma di Abramo, di Isacco, Giacobbe e specie di Mosè che è la sintesi dell’uomo perfetto(teleios).Filone, dunque, con methorios esprime la concezione di filosofo posto al confine tra la paideia greca e la musar aramaica, di mediatore culturale, nella certezza della centralità della lettura biblica, simbolica in una sincresi di Socrate e di Tare, padre di Abramo.Questa fusione culturale seppure sincretica, tra cultura greca e cultura aramaica mediata dal giudaismo ellenistico, specie alessandrino, e dalla sua oikos (domus ) Oniade che aveva profonde connessione con i Tubiadi, è dominante nel periodo flavio, quando il giudaismo subisce limitazioni e viene fatto scadere in senso commerciale: il declino trapezitario giudaico in epoca antonina produrrà staseis e neoterismoi e favorirà il ricongiungimento tra aramaici ed ellenisti, specie nella rivolta di Shimon bar Kokba Finito il successo dei methorioi che, in epoca diversa, avevano fatto la storia tra i due imperi. ora l ebraismo era giunto al massimo parossismo tanto da commettere misfatti inauditi: stragi a Cirene e a Cipro nella guerra di Kitos
Eppure da Cesare fino a Nerone i methorioi, specie alessandrini, manovrati dagli oniadi, erano stati utili intermediari che appaltando la gestione della riscossione dei tributi, per i romani, fecero l epopea mercantilistica ebraica, maggiore di quella fatta precedentemente al soldo dei lagidi dal terzo secolo fino al II e al I secolo. in ogni parte del mondo essi cambiavano valute, in India come nel cuore dell Africa, sulla costa atlantica come su quella della palude Meotide o su quella Caspia , le loro trapezai erano una garanzia per i popoli barbaroi, essendo in relazione anche ai diversi cambiamenti politici e ai grandi rivolgimenti storici.Essi con il sistema bancario connesso col proselitismo grazie alle alle apoikiai (colonie), formavano un élite di naucleroi, di emporoi, di kapeloi ben serviti da una schiera di trapezitai e loro agenti che timbravano e marchiavano i i tributi per il Tempio di Gerusalemme Essi per oltre un secolo erano i rappresentanti del comemrcio ellenistico e specificamente erano cives romani in terre lontane riuscendo a prosperare anche dopo la fine dei regni ellenistici, col vincitore romano, e ad aumenatre il loro impero finanziario, che anzi viene decuplicato nel periodo di Augusto e il primo Tiberio I giudei ellenisti anche se si opponevano come scismatici al Tempio di Gerusalemme, massima trapeza, il cui controllo era necessariamente in mano romana grazie al fedele servizio dei sadducei, avendo perfino un proprio Tempio a Leontopoli e trapezai in ogni parte del mondo perfino oltre i limiti dell’impero romano e di quello parthico, erano l’avanguardia dell’esercito romano stesso , costituendo la base per l’ ellenizzazione, per la penetrazione nelle remote plaghe dell’India e della Cina, dell Africa, delle fredde isole del Nord EuropaMethorios, però, risulta ambiguo proprio per la doppia nazionalità dell’ebreo che oltre alla cittadinanza del luogo di domicilio ha la cittadinanza di Gerusalemme, una cittadinanza katholikotera (più universale) segno di diversità e di separazione rispetto alle altre etnie
Comunque ci teniamo a concludere definitivamente con Filone, che in De Iosepho ,148 sviluppando il tema della morale come politica e fissando le funzioni del politico e del suo rapporto col sovrano, con il privato e col popolo, precisa la funzione intermedia del Methorios congiunto con o politikos (vir civilis).Egli mostra Giuseppe salente sul secondo carro e quindi come colui che fa le seconde parti rispetto al faraone (o politikos ta deutereia pheretai basileos) quindi come un uomo non privato né re, ma methorios tra i due in quanto è superiore al privato ma inferiore al re per comando assoluto (autecsusion), che si serve del popolo re, a favore del quale preferisce fare ogni cosa con fede pura e che serve lealmente il sovrano
Il Methorios di Filone risulta, allora, eguale a quello di Flavio Bios , 22, 105 kai de pempsantes pros Ihsoun ton archilesten eis ten Ptolemaidos methorian, upeschonto dosein pollà chremata .. Cosi avendo inviato un messaggio a Gesù il capo brigante, nella terra di confine di Tolemaide promisero di dargli molte ricchezze … uomo che vive in una terra di confine -dove si scontrano due auctoritates quella romana e quella di un ecsousia di un capobrigante cioè di una zona franca, dove esiste solo un potere locale,- in cui il trapezita è garanzia di un superiore potere economico e finanziario
La chiesa cattolica romana è erede di tale cultura methoria: il pontificato svolgendo la sua funzione sacerdotale, ha vanificato dapprima la potestas imperiale di Roma, perché demoniaca, poi il potere politico regale popolare, del popolo- re, minando ogni democrazia, creando la massima ingiustizia sociale sulla base di un privilegio ebraico, di un Theos pathr provvidente che ha un patto di alleanza col suo popolo, bianco, ebraico cristiano
Ha ragione Nietzsche?
Secondo Nietzsche (Umano, troppo Umano) l origine del cristianesimo sta nel progetto di spacciare la sconfitta storica di Gesù, la sua morte ignominiosa sulla croce in una vittoria in un altro mondo Il filosofo vede, dunque, il cristianesimo come sviluppo e prosecuzione dell ebraismo e considera i cristiani come uomini che incapaci di accettare la realtà della morte del Christos, ne stravolgono l insegnamento in senso morale secondo la lettura allegorica farisaica e vi introducono la prospettiva del peccato, della colpa, dell aldilà, concetti del tutto estranei ad un ebreo di quell epoca.
E dunque, il cristianesimo un fenomeno, letto tragicamente, secondo i canoni della retorica dove i fatti vengono mutati nel loro contrario, in un sistema ordinato secondo i criteri di verisimiglianza, in modo da sbalordire lo spettatore (il fedele) che rileva l azione con mutamento (metabolh), unito a peripeteia?Se esaminiamo i termini secondo la logica della Poetica di Aristotele (1452a 11ss ) si rileva che peripéteia è il termine centrale in una situazione mutata, passata improvvisamente da un male ad un bene, da forma, dominata da forze negative, inaspettativamente rovesciatasi tanto che, nella tragedia. si richiede l intervento miracoloso del deus ex machina.
Il passaggio da un fatto con mutamento può avvenire secondo normale anagnoresis/riconoscimento, ma diventa miracoloso e paradossale quando si ha la peripeteia.Il termine indica uno straordinario mutamento situazionale, un accadimento improvviso, imponderabile, in quanto sul soggetto agente piomba addosso (peripiptoo)un accadimento improvviso che stravolge ogni cosa, in quanto si passa esattamente al contrario di quanto si poteva prevedere umanamente.C è in peripeteia sottesa l azione di un Dio pater provvidente che, avendo un suo piano sul soggetto, lo realizza in modo imprevedibile, secondo una conclusione in linea con la sua oikonomia divina.
Dunque la peripeteia è un segno dell intervento di un Dio che stravolge la storia ed avvia il suo fedele passivo, ad una sorte nuova, migliore, facendolo passare da uno stato di massima afflizione ad uno di massima felicità, dando così un compenso eterno ad un mortale che segue la sua volontà ed accetta lo stato di miseria di vita umana secondo le regole, imposte dai sacerdoti, che sono i medium (pontefici) di questo passaggio e che autorizzano coi sacramenti il graduale trasferimento dalla vita alla morte, dall infelicità dello stato umano e terreno ad una felicità di uno stato ultraumano e celeste.
Insomma secondo il pensiero cristiano bisogna essere macerati in un ingranaggio di dolore ed arrivare ad una catastrophé tale da produrre catarsi/purificazione per conseguire poi il passaggio allo stato contrario grazie all intervento di Dio: non c è salvezza senza questo passaggio; non nasce la vita se non con la morte, non si sale in cielo senza la sofferenza terrena
Il cristianesimo ha banalizzato il sistema della tragedia greca e lo ha reso popolare, anzi ha fatto si che ogni uomo debba subire la massima forma di dolore o sofferenza o afflizione terrena per aver un premio infinitamente maggiore in un altro mondo, come compenso del quotidiano travaglio di vita: dare eternità di vita come promessa per una vita effimera, dominata dal male, sofferto rassegnatamente E questo proprio il metodo dei Theourgoi/ teurgi di cui parla Giamblico (245-325 d.C.) specie nel III e IV libro di Misteri degli egiziani la cui funzione tra gli uomini è utile per la conoscenza del futuro.
Essi insegnano una pratica di vita ascetica progressiva I cristiani in epoca costantiniana e poi teodosiana, influenzati o condizionati dal pensiero del filosofo platonico mettono insieme Theamata theia (visioni divine) e theoreemata episteemonika (osservazioni scientifiche) proprie dei teurgi in modo che Christos sia chreestos /utile perché l élite sacerdotale sia guida morale pari ai maestri di Teurgia.
I sacerdoti come i teurgi, quindi, cercano un metodo di conoscenza irrazionalistico, teologico da una parte e da un altra uno razionale epistemico, capovolgendo ogni sistema ed ogni struttura con la duplice loro via di indagine logica e mitica secondo procedimenti retorici, basati sull asse metaforico mediante la similitudine, -che passa direttamente alla metafora (esempio: donna splendida come il sole, soppressione di splendida e come e quindi risultanza di assimilazione dei due termini apparentemente di aree diverse ed incomunicabili, La donna è sole) o su quello simbolico ed allegorico, dove il secondo termine, quello di paragone può diventare e soggetto mediante inversione o rimanere predicato nominale in quanto sono equiparate le due sostanze reali (sole e donna), poeticamente e religiosamente, in quanto ambedue sono sumbolon ed hanno infinite possibilità di scambio ed autorizzano alleegoria, un dire diverso da quello che deve essere inteso (esempio agnello divino = Dio/agnello), specie nel corso della ripetizione rituale e cultuale, specie se in sette o in folle di fedeli, riuniti in manifestazioni sacre, presiedute da sacerdoti .Dunque, Nietzsche ha ragione? .Non è proprio come dice Nietzsche, ma il filosofo aveva ben individuato il problema ed aveva visto la derivazione dall ebraismo del cristianesimo cioè del Regno di Dio, come di una cellula ebraica antiochena, anche se non rilevava la differenza con l altra del tutto ebraica e rimasta pura, quella del Regno dei Cieli, confusa poi, dopo la vittoria definitiva del cristianesimo, con l altro Malkuth/regno
Nietzsche ha certamente capito la funzione del sacerdozio, simile a quella dei rabbini del periodo talmudico, che facendo la peripeteia promettono un eterno premio al mortale che soffre e vive la quotidianità di vita nella sofferenza: lui autore di La nascita della Tragedia e professore di greco ha piena coscienza dei termini e mostra la funzione arbitraria di una classe intermedia sacerdotale tra uomo e Dio tanto avida da svolgere un ruolo tra i credenti e la divinità, convinta di operare per il bene dell uomo, in attesa della fase del suo adultismo
La funzione methoria/mediatrice del pontefice, come quella del rabbino e come quella del teurgo, ha in comune lo stesso procedimento, quello della peripéteia: l inganno/panourgia è nel capovolgimento delle strutture: Paolo di Tarso ne è il sublime interprete.E , dunque, il cristianesimo (il Regno di Dio) davvero una forma ebraica ed ellenistica, (costituita da retori fruitori di doppia cultura che già nell ambiguità del nome si classificano) che trova la sua applicazione nella peripeteia, in una sincresi forzosa di elementi giudaici e di formule ellenistiche?
Secondo me, questo è il cristianesimo, ma non so se è la più nichilista di tutte le religioni o è una religione, come le altre , che si basa su un popolo -bambino che crede alle parole di chi ha privilegi, in quanto clero, che capovolge ogni sistema e lo stravolge in nome di Dio, facendo il proprio interesse.
So, però, che il clero oniade (discendente da Onia III), alessandrino, imitando la perfezione/teleioosis di Mosè, con la sua attività bancaria e con la sua perfetta economia- penetrata in ogni parte dell impero romano- ha, comunque, creato questo sistema religioso. Esso, più di quello gerosolomitano, più di quello essenico, incorporatosi nel sistema romano ellenistico, prima nel II secolo e poi come fenomeno cristiano con Costantino ed infine con Teodosio, si è sempre più radicato tra i vari popoli , approfittando del nomen di Roma, eterna in Occidente e in Oriente, grazie anche ad un educazione impartita fin dalla prima infanzia
Pasa episteemh khoorizomenh dikaiosunhs kai ths allhs areths, panourgia, all ou sophia phainetai/ ogni sapere, disgiunto da giustizia e da altra virtù, sembra raggiro, non sapienza. Fozio,Gnoomai 245.
Ho sempre pensato che il Dio cristiano abbia più una connotazione militaristica e tragica -in quanto è un dio arcaico ebraico- che quella universalistica e provvidenziale, successiva, della filosofia platonico/stoica .
Costantino, imperatore d’Occidente, vincitore nikeths su Licinio, imperatore d’Oriente, capace di riunire l’impero romano, è personaggio controverso, data la sua nascita bastarda, vista la sua educazione militare, considerata la sua ferocia: vede solo nel Theos , Jhwh sebaoth dio degli eserciti, il proprio numen tutelare, come Christos giovanneo
Perciò, l imperatore, sotto il consiglio dei suoi intellettuali (specie Osio di Cordova e Lattanzio) innesta, grazie anche allo storico Eusebio di Cesarea, il cristianesimo sulla tradizione giudaica biblica, già collaudata, dopo Marcione, che ne era stato fiero oppositore sulla linea della paternità divina, congiunta con la metrioths/moderazione ellenistica
Il Theos giudaico del Vecchio Testamento è crudele e spietato contro i nemici, ma è anche un dio tragicamente assetato di sangue, direi, sadico, desideroso di sconvolgere i piani del razionalismo della creatura umana, che procede secondo logos nella costruzione della storia privata e collettiva.
Con thaumasia/miracoli e terata/ prodigi il theos scardina la normalità di vita, sconvolge ed abbatte il regolare flusso temporale di vita, storico, e lo snatura.La divinità non solo sconvolge i piani umani, ma improvvisamente li capovolge, dimostrando di essere il solo padrone della storia e lo fa secondo canoni propri della tragedia, avendo bisogno di vittime
L uomo, entusiasta, teso verso l alto, stordito dalla katastrophh, è costretto a ridimensionare i suoi piani di elevazione spirituale, e si prostra riverente davanti alla grandezza del numen e alla sua epiphaneia, e alla natura stessa, simbolo della divinità, in una volontà di purificazione della propria ubris/superbia di creatura rispetto al creatore
Questo avviene non solo nei processi storici e nelle vite di grandi personaggi, ma anche negli accadimenti naturali come maremoti, terremoti, eruzioni di vulcani, inondazioni, glaciazioni, e nelle staseis rivolgimenti sociali e politici o come le rivoluzioni popolari, i cambiamenti cruenti di governo, le formazioni di stati ecc
Non solo ai vertici delle gerarchie sociali e politiche, laiche ed ecclesiastiche, ma anche a livello popolare il theos applica la sua legge indistintamente accomunando tutti i mortali, nati per morire.
Ogni creazione stessa umana è labile, transitoria, destinata a crollare, comunque sia la costruzione, già inficiata dalla sua stessa materialità e dai limiti del costruttore stesso, nonostante la riconosciuta geniale perizia
Il theos esprime con il cambiamento improvviso la sua legge provvidenziale, imperscrutabile, rivelando un altro disegno diverso da quello umano, un altra storia
Ma la provvidenza/pronoia, che stabilisce l oikonomia tou theou, esiste veramente in quanto esiste un Dio creatore del to olon universo, e del to pan, il mondo conosciuto terreno, ellenistico e barbarico costituito da tutti viventi (piante ed animali)?
Si parla, comunque, di un Theos ellenico, dei contadini della beozia dell Vlll secolo, di Esiodo che parte dal Kaos (Teogonia 116- prootista Kaos geneto,)- che però dipende dai culti accadici ed hurriti, derivati, anche loro, dal RgVeda
Esiste, dunque, kosmos con armonia / un sistema costruito ordinatamente e meravigliosamente dalla mente del Theos, a vantaggio dell uomo, razionale e loquace, principe rispetto agli altri elementi irrazionali e muti del creato?
Ma, ci può essere armonia con kosmos, se c è privilegio dell uomo e dell ebreo-cristiano sugli altri ?!
Non ci sarebbe omonoia, neanche se imposta dall alto, ma solo principato di una specie . La pronoia di un Dio, giusto distributore di sorti, potrebbe non esserci perché esiste l irrazionale anagkh del destino, da cui dipende la vita dei viventi in Natura, indistinti, capaci da soli, secondo processi evolutivi, di organizzarsi in relazione agli ambienti e ai climi e al suolo stesso e alle diverse latitudini.
Potrebbe valere solo h eimarmene sorte, destinata ad ognuno di noi, senza intervento di nessun daimon, regolata automaticamente senza merito e casualmente, tipica dell uomo e di ogni vivente di ogni parte del mondo e dell universo?
Se il pianeta Terra è, nel sistema solare, con la sua Luna, solo una pars minima del Creato, galattico ed extragalattico, costituito da miliardi di astri, non certamente esseri angelici,-come riteneva il mondo antico- ma mondi dotati di energia vitale, infinitamente più grandi del nostro stesso intero sistema solare, perfino nei buchi neri, come possiamo avere ancora una concezione ellenistica tolemaica, anche se aggiornata in senso copernicano ed einsteiniano, basilare per i sistemi religiosi occidentali cristiani?
Tra i tanti elementi antitetici, contrastivi e contraddittori, connotanti il sistema retorico classico-giudaico cristiano, teso verso la spiritualità come elevazione morale, ektheosis/ indiamento e telioosis/ perfezione, disgiunta nettamente dalla realtà umana popolare, volgare e materialistica, discriminata come ilica, mi piace sottolineare come il Dio cristiano operi secondo i processi dell’aprosdoketon e della peripeteia, che sono fenomeni retorici, propri del romanzo e della tragedia.
Aprodookhton da aprosdokao esprime un valore di inatteso, inaspettato ed imprevisto e si dice di qualcosa che l’uomo, pur nella sua razionalità e normalità, non può prevedere che capita improvvisamente non solo come calamità naturale, ma come evento straordinario privato.
Infatti l uomo costruendo, in modo personale, se stesso e facendo un suo percorso, fabbrica un futuro, poco a poco, e vede giorno dopo giorno la sua opera crescere come cultura individuale, come famiglia, come relazione sociale, come possibilità di proiezioni in varie direzioni, anche in senso commerciale, secondo la logica dell aspettativa umana, connessa con il naturale evento di successione cronologica, come se fosse possessore del suo tempo, pur breve, avendo, comunque, moderata fiducia e speranza compatibile con l età, nella convinzione di un eternità genetica.
Così facendo, pur senza salti utopici, l uomo, arrogantemente usurpa, si dice, natura e tempo, quasi fosse superbo della sua personale costruzione, convinto del suo genio creativo, che è risultanza di una vita realmente vissuta e di una continuità di lavoro, come se fosse realmente pars divina, perché educato religiosamente come figlio di Dio, padre, di cui ha sacro timore, secondo la tradizione giudaica.
Il mondo classico parla, allora, di phtonos theoon, invidia degli dei e il cristianesimo di vendetta di Dio sul superbo arrogante.
In latino il concetto retorico di aprosdoketon è espresso come fulmen in clausola o come in cauda venenum, come se l’autore di solito è Marziale che lo usa facesse un’operazione di una stoccata conclusiva finale, come di un fulmineo colpo di un gladiatore che chiude definitivamente la partita proprio quando stava per soccombere, come di uno scorpione che, alla fine, vince colpendo col suo mortale veleno caudale.
I latini sono uomini convinti di essere ognuno faber suae quisque fortunae, anche se rilevano la disgrazia di Emilio Paolo vincitore fortunato a Pidna, trionfante su Filippo V, re di Macedonia, rimasto senza figli maschi, pochi giorni dopo il suo trionfo (due gli morirono naturalmente e gli altri legalmente perché erano stati adottati da famiglie prestigiose)
Dunque, aprosdoketon è usato specialmente nell epilogo di un epigramma e di una vicenda comica o tragica e vale in effetti come una battuta finale inaspettata, paradossale, che stupisce il lettore o lo spettatore che ne rimane sbigottito: l ekplecsis è lo stato finale di chi, colpito, resta intontito come fuori di sé per qualche attimo, tanto che l autore del Peri upsos parla di Ekstasis/ fuoruscita di mente.
Il Dio cristiano per i Padri Orientali ed Occidentali, nutriti di Paolo e della sapienza evangelica, fa la storia dell uomo a suo piacimento ed arbitrio e porta a giusto compimento ogni cosa, facendo partorire dal male il bene, dando funzione all inetto, dando potere al debole sovvertendo ogni valore e considerazione umana razionale.
Dio, secondo Paolo ( 1 Corinzi) confonde i sapienti, abbatte i potenti ed innalza gli umili perciò per l uomo adamitico esiste la morte, per l uomo che vive di Cristo esiste la resurrezione. Cristo fu risvegliato dai morti ed anche il cristiano lo sarà. Come per un uomo esiste la morte così per un Uomo (cristiano) esiste la risurrezione Tutto si muta, tutto finisce, tutto si consuma, la stessa conoscenza katarghthhsetai si dissolverà .
Per i Vangeli il cielo e la terra passeranno, le mie parole non passeranno Luca 21,33; gli ultimi diventeranno primi e i primi diventeranno ultimi Matteo 20,16
E una visione escatologica ed apocalittica, propria di scrittori giudaico-cristiani, ed anche platonico-stoici, che, comunque, hanno una elpis, quella di un altra vita utraterrena, un regno dei cieli come dimora dei giusti, che la conquistano con una vita di sacrifici e di dolore, a seguito di profonde lacerazioni materiali, pur circondati dal male e fiduciosi in Dio Padre, che sarà il giudice che ricompenserà il breve soggiorno infelice con la beatitudine eterna.
Ora per noi cristiani la Storia con le sue peripeteiai, le improvvise mutazioni situazionali, è nelle mani di Dio, che ne è il vero costruttore, il vero faber, unico artefice, che guida la nave tra le onde del mare, da esperto pilota, mentre l uomo creatura si illude di essere creativo costruttore, artefice della sua vita, di saper navigare il male esistenziale
Peripeteia -deriva da peripiptoo che vale cado circondato ( sottende da nemici o da onde del mare , o da fuoco , da altri elementi pericolosi).
Dunque, peripeteia rimanda all idea di un qualcosa, in cui si piomba, cadendo circondati tanto da non poterne uscire, se non dopo lungo tempo di permanenza, in uno stato di sofferenza, e grazie a fortunate coincidenze
Perciò, si può dire, generalizzando, che i due termini rivelano, insieme a tanti altri, il sistema retorico classico giudaico-cristiano, di cui sono strutture minime; si passa poeticamente cioè dalla similitudine alla metafora e religiosamente al gioco simbolico ed allegorico sulla base di due termini che sono messi insieme arbitrariamente, in quanto appartenenti a due aree semantiche diverse.
L artificialità classica poetica, se diventa consuetudine di vita mediante canto o rappresentazione e risulta rito ripetuto, specie da masse guidate da un sacerdote, trasforma i due termini da elementi complementari e formali in sostanze reali assimilate e divinamente congiunte in un unicum
Gesù è per il cristiano nella quotidianità di vita come la manna nel deserto, Gesù è manna eterna rispetto alla manna caduca terrena,... Col rito della memoria dell ultima cena, Gesù diventa il pane della vita, data la continuità rituale , la ripetitività del fatto in comunità ecclesiali e il predominio culturale della romanitas, anche se in forme cristiane
Perciò, la coscienza terrena quotidiana del male, che circonda la luce come tenebra e con esso la non presenza della dike giustizia, dell armonia, del kosmos, ha conformato l uomo in senso manicheo... chiuso tra Dio e il suo antagonista, simbolo di luce e di vita il primo, di tenebra e di morte il secondo
Allora, così circondato, io-mortale a cui il sapere sacerdotale, teologale, scisso da giustizia, sembra un raggiro e non sapienza sono incline a pensare non a un Dio ordinatore, pater, costruttore, venuto perfino a salvarmi su questa terra, a redimermi da peccati originali, ma al Caos datore di Bios vita e di amore, nel suo vortice senza principio e senza fine, in cui si scontrano e si fondono gli opposti nel magma del divenire, in senso vitalistico infinito, autogenerantesi, in una continuità creativa.
La presenza oggettiva di male come ingiustizia, come mancanza di armonia e kosmos mi turba tanto da farmi pensare che ogni disarmonia, ogni forma ed ogni suo contrario, convivano in un unicum informe con tutte le forme difformi, ibride, innaturali, mostruose, prima ancora delle idee rappresentative del mondo terreno, secondo ottica antropologica, prima degli inizi dei tempi, come trionfo del Caos.
Un ribollire caotico di pulsioni primordiali è preferibile, come concezione, ad un kosmos classico giudaico/cristiano
D altra parte classicismo e giudaismo hanno creato i miti con la tragedia, col romanzo, con la Sapienza, con la Bibbia, con ogni forma letteraria collegata con la cultura manichea, antitetica, e con essa la retorica della theoria, che risulta una spettacolarizzazione di ogni cosa naturale, capace di attirare e dilettare e di insegnare l esercizio della mimesis/ imitazione dei modelli, paradigmi di vita teatrali.
Ambedue, comunque, dipendono culturalmente, data la vicinanza geografica dalla civiltà accadico-hurrita, influenzata dal RgVeda induista.
Genesi 1-2 sembra dipendere da un testo cuneiforme del XIII secolo che tratta di tre re degli dei Alalus, Anu e Kumarpi prima del sorgere del tempo cfr P. MERIGGI,in Atenaeum XXXI,1953,pp.101-103 , come anche Esiodo per la nascita di Urano, Crono e Zeus : in principio Elohim creò il cielo e la terra. E la terra era deserta e vuota e le tenebre erano sulla superficie dell abisso e lo spirito di Elohim aleggiava sulla superficie delle acque
La cultura ebraica, con Elohim (al plurale-gli dei), rimanda ad una base politeista mesopotamica, e si lega al mondo vedico
In Rg.,X,129, infatti, si legge Cfr. R.PANIKKAR, I Veda,BUR,2001):
in principio non vi era essere né non essere / non vi era l aria né ancora il cielo al di là/ che cosa lo avvolgeva? dove? Chi lo proteggeva?/ c era l acqua insondabile e profonda?//non vi era morte, allora, né immortalità/di notte e di giorno non vi era alcun segno/l Uno (tad ekam) respirava senza respiro, per impulso proprio/oltre a quello, non vi era assolutamente nient altro.// Tenebra vi era, Tutto avvolto di tenebra / e tutto era Acqua indifferenziata. Allora/ quello che era nascosto dal Vuoto, quell Uno, emergendo/agitandosi, mediante il potere dell Ardore, venne in essere/ in principio Amore sorse...cfr. www.angelofilipponi.com Creazione del mondo.
Anche, dunque, il mondo classico giudaico-cristiano sembra rifarsi ai primordi, al Caos, in cui ogni uomo è stato informe e a cui personalmente, alla fine della vita, desidero rituffarmi, nel magma fluidico dell essere, indistintamente, nel vuoto assoluto, io con Stefano, mio nipote autistico, in un abbraccio informale, impossibile nella realtà
Transiturus de hoc mundo è la bolla papale, del 1264 , che istituisce la Festa con la processione del Corpus domini e completa il lungo processo dottrinale sulla transustanziazione, trasformazione oltre la sostanza del pane e del vino in Corpo e sangue del Cristo, sancita come dogma dal IV Concilio Lateranense del 1215, controversa fino ad allora
L ultima grande controversia con disputa accademica c era stata tra Berengario di Tours (1098-1188) e Lanfranco di Bec in Normandia, poi arcivescovo di Canterbury.
L uno in De sacra cena adversus Lanfrancum affermava, nel 1147, che il pane e il vino sono simboli e non reale corpo e sangue di Cristo come sosteneva l altro, il suo avversario, sulla base di Paolo e di Giovanni evangelista .
Berengario fu condannato in vari Concili e alla fine fu costretto a ritrattare anche se per lui Matteo Marco e Luca dopo la celebrazione del mysterium eucaristico. neppure aggiungevano fate questo in memoria di me
ll papa Urbano IV , Jacques Pantaléon, istituì , dunque, la festa del Corpus domini, la fissò per il giovedì che segue la domenica della Pentecoste ed affidò l ufficio rituale della solennità a Tommaso di Aquino (1225-1274), un domenicano allora in convento ad Orvieto
Due eventi sono alla base di tale festività: uno storico, la battaglia di Montaperti , 4 settembre del 1260, vinta dai Ghibellini senesi contro i guelfi fiorentini; uno mitico-religioso del miracolo di Bolsena.
E opportuno spiegare i due eventi contestualizzandoli, da una parte nell Italia centrale, in Toscana, lacerata tra ghibellini, filo -svevi e guelfi, filo-angioini, in un revisione seria non solo dei fatti avvenuti in quel quattrennio , specie religiosi, ma anche dei ruoli e delle funzioni degli uomini, implicati nella storia
Alessandro IV (1256-61) è papa favorevole ai fiorentini e contrario ai senesi, ostile alla politica imperiale di Manfredi, figlio di Federico II e di Bianca Lancia , molto legato con i diplomatici di Luigi IX e di suo fratello Carlo di Angiò e profondamente connesso con i movimenti religiosi gallicani
Alla sua morte nel 1261, i cardinali presenti ( circa otto o nove) , sono lontani da Roma, -dominata dalle potenti famiglie romane, che insieme col popolo dovrebbero, secondo lo statuto di papa Gregorio VII, ratificare la nomina ufficiale, fatta dai cardinali, nonostante le tante elezioni illegittime e risiedono ad Orvieto e non riescono a puntare decisamente su un nome.
Dopo lunghe e vane trattative due cardinali, Riccardo Annibaldi e Giovanni Gaetano Orsini, indirizzano gli altri sulla persona di un prelato non facente parte del collegio cardinalizio, il patriarca di Gerusalemme.
Questi, venuto da Viterbo ad Orvieto, per relazionare sulla situazione della città santa, -ormai circondata dagli Ayyubidi egizi , rinvigoriti dopo la vittoria sui crociati di Luigi IX, non più protetta dalle navi dei genovesi e dei veneziani, in lotta fra loro per interessi commerciali- è sorpreso dalla nomina, ma accetta.
L eletto, proclamato papa dopo molte reticenze, è un francese che viene chiamato Urbano IV e prosegue nella linea politica del suo predecessore.
Questi, legato da decenni alla politica del re di Francia e favorevole al riformismo religioso francese, è incline a considerare il sacramento della Eucarestia sulla base teologica del pensiero di Tommaso come essenziale per il cristiano che, grazie alla transustanziazione cioè alla trasformazione e al vero passaggio, ad opera dello Spirito Santo, dalla sostanza naturale della materia del pane e del vino alla sostanza del corpo e del sangue di Christos, -può nutrirsi con un cibo divino e vivere divinamente.
Per Tommaso (De venerabili sacramento altaris), infatti, non solo la sostanza del pane rimane intatta, pur trasformata in Cristo, pur restando integri gli accidenti e le qualità del pane , ma anche resta unitaria come corpo di Cristo, anche se il pane si duplica o si fraziona in parti per la distribuzione ai fedeli e a causa del frazionamento, fatto dal sacerdote
La bolla papale e la politica romana sono tipica espressione della superiorità del guelfismo con gli eserciti in formazione di Carlo d Angiò, grazie ai banchieri toscani, destinati alla vittoria a Benevento (1266) e sottendono l investitura angioina, nel Meridione d Italia a scapito degli svevi e una serie di dispute teologiche, anche se già sopite, dopo l ultimo concilio lateranense.
Eppure Giovanni (Vangelo, 13,1-20 ) durante la lavanda dei piedi, nell ultima cena , mostra il Cristo, che invita i discepoli a lavarsi i piedi reciprocamente, senza fare distinzioni e dice : upodeigma gar edooka umin ina, kathoos egoo epoihsa, umin kai umeis poihte/io infatti vi ho dato un esempio perché ,come ho fatto io, facciate anche voi Si noti che in questa sede viene usato upodeigma che vale modello, esemplare per chi imita nel rifare le stesse azioni.
Giovanni (6,1-14) in altra situazione, dopo la moltiplicazione dei pani dopo il monstrum del camminare sulle acque, mostra Gesù che parla del pane della vita ricordando a chi lo segue : voi mi cercate non perché avete visto prodigi, ma perché avete mangiato dei pani e vi siete saziati : procuratevi non il cibo che si consuma ma il cibo che dura per la vita eterna. quello che vi darà il figlio dell uomo, perché il padre, Dio, segnò lui col suo sigillo
Giovanni seguita, mettendosi dalla parte dei discepoli, che chiedono di quel pane che scende dal cielo e che dà la vita al mondo ed aggiunge che Gesù , tra i mormorii della folla, dice: io sono il pane della vita, chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete io sono il pane disceso dal cielo e ribadisce, mentre crescono i mormorii 6,48 : chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita, i vostri padri mangiarono la manna del deserto e morirono . Questo è il pane che scende dal cielo perché chi lo mangia non muoia. Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia questo pane, vivrà in eterno. E il pane che darò io è la mia carne per la vita del mondo. A queste parole, sorte questioni, Gesù così risponde: se non mangiate la carne del Figlio dell uomo e non bevete il suo sangue non avete la vita in voi . Chi mangia la mia carme e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò. nell ultimo giorno
Poi Gesù, rispondendo ai giudei che dicono che i loro padri mangiarono la manna come pane venuto dal cielo e morirono, afferma: in verità in verità vi dico: se non mangiate la carne del figlio dell uomo e non bevete il suo sangue non avete la vita in voi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna ed io lo risusciterò nell ultimo giorno. Infatti la mia carne è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me ed io in lui. Come il padre che vive, ha mandato me ed io vivo a causa del Padre, così chi mangia me, vivrà anche lui a causa di me .53-58
Ancora di più nel corso dei secoli ci sono contrasti sulla tradizione eucaristica di Ireneo (130-202) e di altri , che poggiano la loro lettura più che sulla base di Luca 22,7-38 , di Marco 14,12-25 e Matteo, 26,17-29, su quella di Paolo 1 Cor.,11,23-26.
I tre evangelisti, sinottici, infatti, hanno, grosso modo, la stessa terminologia, ma non hanno fate questo in memoria di me: preso del pane e, benedettolo, lo spezzò e dandolo ai discepoli, disse: prendete e mangiate: questo è il mio corpo Poi, preso il calice, dopo avere reso grazie, lo diede loro dicendo: Bevetene tutti poiché questo è il sangue dell alleanza che viene versato per molti a remissione dei peccati.
Dunque, solo Paolo racconta il fatto della cena del signore 1Cor.11,17-34 nel quadro di una situazione difficile, in cui sono necessari rimproveri per i dissensi e per le depravazioni dei Corinzi, indicazioni prescrittive precise sul matrimonio e sul celibato e sull uso delle carni sacrificate per gli idoli, in una volontà di proporre un modello di vita (siate imitatori miei, come anch io lo sono di Cristo/ mimetai mou ginesthe, kathoos kagooo Khristou).
Tutto il discorso, comunque, è in relazione alla volontà di riportare l ordine nella assemblea tanto che il tarsense aggiunge: Gesù prese del pane e dopo aver reso grazie/ eucharisthsas, lo spezzò e disse: questo è il mio corpo per voi /touto mou estin to sooma to uper umoon; fate questo in mia memoria /touto poieite eis emhn anamnhsin. Ed ancora Paolo narra che Gesù, dopo aver fatto altrettanto col calice, dopo aver cenato dice :questo calice è il nuovo patto ,nel mio sangue; fate questo ogni volta che bevete, in mia memoria/eis emhn anamnhsin (anadiplosi)
Il successivo discorso è connesso col telos /fine che è quello di dare la prescrizione di riunirsi per mangiare insieme e di aspettarsi l un l altro perché chi indegnamente beve il sangue mangia il corpo sarà colpevole del sangue e del corpo del Signore e di invitare chi ha fame a mangiare a casa propria affinché voi,-discepoli- non cadiate in un crimine condannabile/ ina mh eis crima sunerchhsthe.
Altri avevano letto i passi paolini senza andare oltre l interpretazione metaforica, sulla scia dei Padri orientali perché temevano di cadere se si procedeva secondo allegoria, in forme di antropofagismo pagano o di finire in riti misterici come quello dionisiaco o orfico.
Urbano IV, avendo conosciuto l insegnamento della tradizione orientale aveva, pur seguendo Tommaso, preferito chiamare la festa del Corpo del signore e non dell Eucarestia, conscio che non si doveva definire per metonimia la manifestazione completa del mysterium della transustanziazione con il ringraziamento che è pars accessoria del tutto sostanziale cioè della trasformazione del pane e del vino in corpo e sangue del Cristo, nonostante che conoscesse perfettamente il valore di ekchunoo spargo e diffondo il sangue di una vittima sacrificale e il problema di uper polloon (o pollois) per molti .
Inoltre il papa, molto favorevole a considerare il sacramento eucaristico come il patto nuovo di alleanza -kainh diathekh,- connesso con la Pasqua (morte e resurrezione del Cristo) e con la Pentecoste (discesa dello Spirito santo), si collegava alla tradizione francese in quanto era molto devoto di Giuliana de Cornillon (1192-1258), una mistica morta in odore di santità, che in vari momenti della vita aveva avuto visioni, Famosa quella della luna piena, listata di nero ed ancora di più quella di Cristo che le chiedeva di impegnarsi a far istituire la festa dell eucarestia, che in Troyes e in altre zone, specie Liegi, veniva già celebrata, pur senza l autorizzazione papale
L evento di Bolsena viene a fagiolo, risulta una manna per Urbano IV !
Era accaduto che, nella primavera del 1263, un sacerdote boemo, Pietro da Praga, in pellegrinaggio a Roma, si era fermato a Bolsena e, nel celebrare la messa, ebbe dubbi sul dogma della transustanziazione, Il prete, spiegato il corporale in nove parti ( è quel tovagliolo quadrato di lino posto sopra il calice! ) vide l ostia sanguinare sul corporale e subito l avvolse in esso e fuggì in sacrestia. Nel tragitto caddero delle gocce sul pavimento ed alcune sui gradini.
Il papa apre subito un inchiesta sotto la direzione del vescovo di Orvieto per chiarire ogni momento del fatto , subito ritenuto reale dalla pars guelfa
L inchiesta è subito chiusa e l evento è giudicato soprannaturale da Urbano IV, che considerato il suo rafforzamento come pontefice dopo l elezione di molti cardinali francesi, vista la vicinanza del grande teologo aquinate , vincitore nelle tante diatribe parigine, stimate veritiere le profetiche visioni di Giuliana rileva il piano provvidenziale, come applicazione dell oikonomia tou theou, come avvento di una nuova epoca , quella del trionfo del guelfismo,-che sancisce la fine del ghibellinismo, e scrive con tono enfatico la bolla La festa, dopo la morte del papa dopo breve tempo decade e viene rivitalizzata nel concilio di Vienne nel 1314 ,,,e resta molto controversa fino al Concilio di Trento 1545-1563, quando viene di nuovo imposta
Amici miei, Betto e Tonino, Emma e Gianna, non è preferibile documentarsi e sapere ( e poi, magari, credere!) al credere ciecamente, senza alcuna informazione?
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Il III concilio di Toledo e Homelia de Triumpho ecclesiae ob conversionem Gothorum (CPL 1184) sono basilari per la cultura cristiana occidentale , che completa il pensiero sulla ekporeusis processione dello Spirito Santo, che viene definito come Persona che procede dal Padre e dal Figlio.
Nel vangelo di Giovanni 15,26 si trova scritto o para tou patros ekporeuetai e si parla , in epoca antonina , dello Pneuma Agion/ Spirito Santo .
Viene usato da Giovanni il termine ekporeuomai (non ekporeuoo) per intendere che dal Padre deriva, in quanto inviato, lo Spirito, da leggersi in chiave gnostica e plotiniana , secondo emanazione
La lettura giovannea è resa bene ad opera dei padri consiliari a Nicea ma poi è modificata sostanzialmente nelle precisazioni del concilio di Costantinopoli che sono aggiunzioni dottrinali a seguito dello studio di uomini, come i cappadoci, e specie di Gregorio di Nazianzo.
Questi in due Orazioni (31 e 41) affronta il problema ed è chiaramente in grave difficoltà nello spiegare ad oppositori ariani e ad altri eretici, che lo Spirito Santo deriva dal Padre tramite il figlio usando all attivo e al passivo il verbo ekporeuoo,/procedo .
Da ekporeuoo si forma il sostantivo, derivato, ekporeusis, come da procedo latino deriva il nome processio
Girolamo ed Agostino accettano la lezione orientale, senza entrare in merito all equivoco e all anfibolia terminologica, dato il diverso valore di procedo e di processio.
Procedo , in latino, non ha esattamente lo stesso valore di Ekporeuoo nè quello di ekporeuomai in greco, e il termine processio latino a Roma, in Italia e in Occidente non è neanche simile a ekporeusis che vale il procedere cioè la processione, la derivazione come marcia di un popolo che precede un personaggio importante ( di norma un governatore provinciale inviato dal senato e dall imperatore o il pontifex maximus nello svolgimento dei riti pagani; a Costantinopoli , Nuova Roma, e in Oriente, invece la processione è un fatto religioso cristiano, come celebrazione di un rito o come festosa partecipazione popolare ad un avvenimento religioso o spirituale cristiano
Sulla differenza tra processio in latino e ekporeusis in greco ci sono molti problemi culturali in relazione ad una terminologia ambigua, volutamente lasciata equivoca per lasciare insoluta la questione, grazie all uso di sinonimi.
Neanche è possibile capirsi tra cristiani cattolici occidentali cristiani ed ortodosso orientali: lo Spirito procede dal Padre attraverso il Figlio (dià tou uiou), per gli ortodossi che si oppongono agli ariani e che così spiegano la processione dal Padre e dal Figlio, senza intaccare l unità della Trinità , sulla base di un unico principio divino
Questo si chiarìsce parzialmente al concilio di Firenze 1439 senza risolvere la questione, per l imperizia tecnica dei latini che ostentavano il principio del Filioque del concilio di Toledo e seguivano la tesi di Leandro di Siviglia , sostenuta da papa Gregorio Magno A Nicea si era stabilito che lo Spirito santo procedeva dal Padre secondo la traduzione latina (ex patre procedit).
A Toledo invece Leandro ed Isidoro,creando un rito nuovo cattolico in opposizione all arianesimo, da cui si allontanava Recaredo I nel 589, aggiungevano arbitrariamente Spiritus sanctus ex patre filioque procedit. traducendo il testo greco secondo il significato generale greco
La questione della disparità di significato non era sfuggita già a Fozio (820-893) che nella I elezione a Patriarca e poi nella II elezione tra le varie controversie con la Chiesa Romana -che si riteneva primate dei cinque patriarcati sulla base teodosiana, poneva oltre al celibato e all eucarestia il problema semantico di processione, divenuta per Gregorio di Nazianzo lithos proskommatos kai petra skandalou /sasso di inciampo, pietra dello scandalo (Orazione 41,7)
Il santo prima invita (in effetti ordina) a confessare la trinità( thn Triada omologhsate) , poi cerca di spiegare lo Spirito Santo come Dio che ispira a tutti la parola divina
Cerulario ancora di più nel contrasto con il cardinale Umberto di Silva Candida, rappresentante papale, nel 1054 , latore della scomunica di Leone IX, ribadisce che lo Spirito Santo non procede dal Figlio ma solo dal Padre contro la tesi dello stesso Gregorio di Nazianzo.. . che mostra la sua tesi trinitaria e fermamente rileva l ousia dello Spirito Santo upostasis come il Pather e lo Uios sia nella orazione 31 che nella 41, dove parla della Pentecoste, della discesa del Paraclito come fuoco sugli apostoli, riuniti nel cenacolo, 50 giorni dopo la Pasqua
Diverse sono le situazioni e le motivazioni di Gregorio rispetto a quelle di Leandro e di Papa Gregorio Magno
Per Leandro i la professione di fede costantinopolitana fatta da Recaredo e dal suo popolo di Goti ,ariano, sottendeva un Gloria Patri et Filio et Spiritui Sancto invece dell ariano Gloria Patri per Filium in Spiritu Sancto
Il vescovo di Siviglia doveva cambiare la formula per dare l idea unitaria della Trinità , e fare in modo da eliminare definitivamente le tracce dell arianesimo e di ridurre al minimo le diatribe con l ortodossia, data la non partecipazione del popolo al mysterium teologale e la sua passiva accettazione, al contrario, dei riti del segno della croce e della glorificazione dei nomina divini
Il patriarca di Costantinopoli, invece, diversamente dal vescovo ispanico si trovava, poco prima del Concilio, nel 380, nel vivo della lotta con gli ariani e doveva mostrare ancora il valore della Trinità e del significato del Corpo del Christos , del reale contenuto del sette e del 49 + 1 e del miracolo continuo della Pentecoste nel fedele cristiano
La definizione dello Spirito santo è una necessitas e nonostante questo suo attenersi scrupolosamente alla verità christiana , è costretto alle dimissioni
La figura dello Spirito Santo, rimasta imprecisata a Nicea, ma ora a Costantinopoli precisata da Gregorio di Nazianzo, autore dell orazione Peri tou agiou pneumatos 31, 1-33, resta, comunque, un ostacolo per l unita dei cristiani
Gregorio, anche se grande retore, abile a trattare la differenza tra ousia ed upostasis, a mostrare Dio uno e trino, ad evidenziare che la divinità è incompleta senza il riconoscimento dello Spirito Santo, che è sostanza divina, che procede ingenerato, increato chiaramente si arrampica sugli specchi continuamente, ma procede nella sua trattazione teologica e specie sulla ekporeusis ..
Il discepolo di Proeresio (276-368 d. C.), l amico di Basilio e compagno di studi di Giuliano l’apostata, è convinto di saper vedere le relazione di conoscenza del Padre, generante Logos con quella di amore tra il Padre e Figlio, generante Pneuma Agion...ma non convince i suoi avversari e nemmeno noi: il suo parlare è un parlare bello, risulta una theoria, uno spettacolo. ben rappresentato, un sermo ben argomentato, .. non certamente alethhs
Inoltre è un episcopos, esaltato patriarca di Costantinopoli, che pontifica in senso dottrinale, cosciente che le tre upostaseis formano un unicum, tanto che la consustanzialità non implica necessariamente la connumerazione (cioè 1+1+1 non fa 3, ma fa 1)
Gregorio è così bravo in quanto capace di trovare sia nel Vecchio che nel Nuovo Testamento l’immagine dello Spirito Santo, che ora, come presidente del Concilio , detta quattro aggiunzioni conciliari mediante l’anafora insistita di to: circa l’essere signore e il dare vita (to kurion kai to zooopoion), circa il procedere dal padre (to ek patros ekporeuomenon); circa l’adorazione e la glorificazione col Padre; (to sun patri sumproskunoumenon kai sundocsazomenon) e circa la sua ispirazione anche nell orazione 41 trattando della Pentecoste parla dello Spirito santo
Voi siete il sale della terra è l incipit attuale del logion di Matteo (5,13).Sale della terra è un sintagma che è metafora in quanto il discepolo di Gesù è come il sale che rende saporita ogni cosa sulla terra.La sottesa similitudine autorizza a dire che chi segue Gesù, oltre ad essere beato (makarios), è anche sale della terra e luce del mondo oscuro (logion successivo).Ne risulta che le beatitudini (Matteo,5,3-12) e l essere sale e luce sono collegati insieme ed hanno un significato congiunto, costruito successivamente, quando già era stata costituita la Chiesa: la pericope è espressione retorica di una costruzione teologica legata ad un ambiente e ad un società che hanno bisogno ed interesse tali da creare una sentenza , sulla base di un logion di Matteo, preesistenteOra personalmente ritengo che al momento della stesura tachigrafica di Matthaios e quindi all atto del discorso di Gesù (maran o aspirante meshiah, prima del regno o durante il periodo della regalità ) le beatitudini non erano così enucleate, ma erano del tutto sparse, come anche le maledizioni Bisogna pure pensare che l essere sale non era in relazione diretta con l essere luce?E probabile che tutto inizialmente forse era distinto e separato ed erano solo logia che esprimevano i detti del Signore ( non kurios ma despotes, in quanto basileus-maran) in tipici momenti della sua storia di uomo privato e di re, non di un Maestro.Nella seconda metà del II secolo, invece, quando viene costruita la Chiesa (grande) e c è la necessità di opporre i veri discepoli a quelli gnostici, la vera dottrina a quella gnostica di Valentino e Basilide (forse ad Alessandria) viene fuori la funzione del macarismo con i compiti del cristiano, inteso come apostolo-inviato, che deve essere sale della terra e luce del mondo Dunque, tra la scrittura matthaica con una precisa semantizzazione basileica (in lingua aramaica con un utenza palestinese -parthica) e la riscrittura con nuova semantizzazione (con la lingua koinh, in relazione alla nuova utenza ellenistica ) c è una diversa impostazione in quanto i fruitori sono differenti ed hanno una logica opposta, collegata con le diverse realtà sociali e storiche
Ora il bacino di utenza è tutta l area commerciale, non solo mediterranea ma anche quella del Mar Nero e del Bosforo cimmerio .I fruitori invece aramaici, che erano nel periodo dell attesa del malkuth o lo avevano realizzato, erano makarioi e si sentivano sale della terra in quanto avevano condito (thabal condire), dando sapore, grazie alla regalità messianica, ad ogni cosa terrena ed, avendo il Meshiah, attendevano gli eventi escatologici e la realizzazione eterna d Israel: essi puri e lucenti, come gli esseni, avevano vinto le tenebre (e la Romanitas) vedevano splendere in alto come su un candelabro Gerusalemme radiosa e luminosa, dominante su tutti i popoli vinti I cristiani ellenisti, dopo l evento della sconfitta di Shimon bar Kokba (Giustino, Dialogo di Trifone), nel momento gnostico, fondono insieme i logia matthaici. creando una nuova legge, che doveva essere un sostituto/ tupos del messia, legge vivente (nomos empsuchos) e creano secondo formule asseverative, come risultanze sintetiche di un lungo lavoro tecnico retorico, l ideale del buon cristiano e ne scrivono i compiti e le specifiche funzioni, in relazione alla missione dei discepoli del Kurios-signore che ha dato loro il kerugma della diffusione evangelica, in precisi luoghi e in particolari situazioni sociali Allora tutto il logion del sale ha significato a seconda della lettura e degli utenti: la comprensione del periodo ipotetico della possibilità di II tipo con la protasi ean ..moranthh (qualora diventerà insipido thaphal-) e con l apodosi con che cosa si salerà?, non è facile capire, ma si può afferrare se si ha presente il tanto sale del Mar Morto inutilizzabile (o quello della Mareotide alessandrina o del Lago Salato della Licaonia-Tuz Goelu- ), calpestato da cristiani locali, i cui capi sentono la necessità di fissare, di organizzare nuclei semantici e di schematizzare contenuti teologici ..o quella della palude Meotide (Mar d Azov) .Il sale ha valore ai fini del condire i cibi e, quindi, se il cristiano/sale diventa insipido e stolto (moraino vale sono moros cioè pazzo, stolto, insipido, sciapo, stupido), non ci sarà la salatura della terra, non ci sarà la luce nel mondo), non avendo funzione, sarà gettato per terra e calpestato.E chiaro che il logion non è quello originario, ma è quello ricostruito da cristiani ellenisti che, vista la fine del giudaismo romano, la galuth, hanno un ricordo della escatologia e del messianesimo e vivono il momento apocalittico, dello svelamento, cosci della necessità della funzione cristiana di essere sale e luce, in una separazione netta dalla cultura giudaica e da quella gnostica.Certamente il testo originario, che Panteno ritrovò in India, con questo specifico logion, aveva ben altro valore in senso messianico, entusiastico, trionfalistico: in esso non c era nemmeno la possibilità di diventare nabal (stolto), in quanto Thaphal: tutti erano makarioi (compreso Levi- Matthaios che registra il pensiero regale), euforici per la realizzazione del malkuth, in quella Pasqua essenica del 32 d.C , pochi mesi dopo la morte di Elio Seiano Allora i seguaci mangiavano insieme pane e sale e non avevano contese per il primato, ma erano eguali uniformati ad essere bambini (talja - piccolo di donna o di pecora) ed avevano la pace, quella propria dei vittoriosi, di coloro che avevano vinto ed attendevano l ultima ora e il trionfo definitivo del resto d Israel Dunque, nella fase escatologica Sale originario è collegato con pace, in quella apocalittica sale è connesso con discordia, lotte per il primato, con la possibilità di diventare insipido e quindi di deviare dalla retta via e con la necessità di essere o di tornare ad essere pedion e diaconos (bambino e servo), se si vuole entrare nel regno dei Cieli A me risulta , perciò, che ci sono due logiche, del tutto diverse, a seconda dei tempi e che la stessa figura del Signore (Kurios e despoths) è cambiata in quanto essa ed è diventata quella del Maestro (didaskalos/ rabi), che, secondo il pensiero di Clemente Alessandrino, ammaestra i mathetas/apostolous che formano il fedele
Professore, perché non è stato mai trattato effettivamente il tema di La cultura dell infanzia in Italia né quello sui modi di concepire il ragazzo?
Non si può dire che non ci sia una cultura dell Infanzia in Italia, anzi si può dire che il tema è antico in quanto trattato dai greci e, poi, dai latini.La metafora colere infantem/coltivare l infante il non parlante rimanda ad una coltivazione del bambino considerato come una piantina. L immagine è tipica del registro agricolo, centrato su colere, che sottende studium (amore e specifico interesse) e cura (amore preoccupato ed ansioso) e su infans, inteso non solo nella fase iniziale afantica ma anche quella fantica fino alla pubertà, secondo le linee proprie della pedagogia greca e di Quintiliano.Anzi bisogna affermare che sempre si è discusso, parlato della cultura dell infanzia, limitatamente all educazione, basata giustamente sull educare (educere ad ) come processo modificante, che porta progressivamente dal non conoscere al conoscere, procedendo sulla base dell errore per dare correttezza grazie anche all esercizio, sotto la guida di un ductor, maestro, secondo linee di unitarietà, dinamicità, priorità, prospettività. Se, dunque, da una parte, c è stata un attenzione alla cultura dell infanzia, da un altra, in un certo senso, bisogna confessare che non esiste una vera cultura dell infanzia in quanto, nonostante il rispetto al pensiero quintilianeo, espresso con Maxima debetur reverentia puero, l insegnamento è stato un insegnare, mediante signa, propri dell adulto, che guida, in un unilaterale lavoro secondo il sistema conformato e convenzionale sociale, economico, politico, teso a formare mediante modelli preesistenti il discepolo. conformandolo nella cultura esistente, in aggiunta e in rapporto con il condizionamento del contesto e dei media secondo un impostazione specifica dell erudizione (e.rudis passare dalla rozzezza alla civiltà, dall informe struttura giovanile al sistema della maturità moderato). Praticamente non si rispetta l infante, ma lo si condiziona creando un esemplare della stessa conformazione dell adulto in quanto si ritiene giusta la definizione del giovane immaturo e dell adulto maturo, secondo una tradizione marcatamente maschilista e senile.Sembra che solo in questo ultimo ventennio, almeno sul piano teorico, in Italia si sia entrati correttamente nella cultura dell infanzia, grazie specialmente ai contributi dell antropologia, dell etologia, della linguistica (in senso semantico, e socio-psico-semiologico), della epistemologia e della docimologia: da queste scienze viene la lezione tecnica sullo studio e sulla cura dell infante.Lo studio sistemico del bambino (anche in senso neuropsichico ed auxologico), la sperimentazione sulle aree affettive, motorie, cognitive, sociali, l osservazione sistematica dei comportamenti a seconda della fascia di età in relazione ad un processo auxo-socio-psichico e soprattutto il rilievo dato al linguaggio, come chiave di lettura dell universo infantile, autorizzano in situazione una operatività sulla base di una diagnosi valutativa (riferita ad un anamnesi specifica) che permette un costante orientamento operativo e formativo, in rapporto all effettivo sistema culturale informativo, senza modelli, ma solo con paradigmi esemplari. In tal senso si è sviluppato anche in Italia un processo culturale puerocentrico, non una cultura infantile. Questa si basa sulla conoscenza del bambino, visto come costruttore fantastico e sentimentale di un mondo, esaminato dall angolazione ludica puerile, senza l ottica funzionale adulta, il quale si muove per conoscere sé e il proprio corpo, socializza per porsi in un continuum ludico, che, però, avendo già i segni della funzionalità e della razionalità, non deve essere turbato da interferenze dell adultismo, specie se coercitive.
Che cosa comporta, professore, una cultura dell infanzia così intesa?
Comporterebbe (meglio usare il condizionale che traduce la non possibilità di attuazione sul piano operativo con le sottese frustrazioni di questi ultimi anni) un radicale cambiamento del sistema politico (anch esso vecchio e modellato su criteri da una parte comunisti togliattiani e quindi sovietici, e da un altra liberale e quindi anglosassone ed americano) sociale-cristiano (caritativo ed assistenziale), culturale e scolastico in quanto una microstruttura, affetta da malattia, non può essere curata settorialmente con interventi locali e puntuali poiché è segno di un sistema malato, che, perciò, deve essere integralmente sanato. Ora il sistema scolastico, malato, infettato ulteriormente dagli altri sistemi, con cui interagisce, non favorisce il tentativo, necessariamente teorico, di pochi che procedono paradigmaticamente in situazioni concrete, ma parziali e limitate, operando, seppure efficacemente, in condizioni di disagio. Inoltre per la nascita di una cultura (risultanza di un processo eruditivo, educativo, formativo, come somma di competenze , abilità e capacità, esplicate sul piano pratico in situazioni oggettive, coerentemente ad una decisionalità per una ruolizzazione) necessita la compresenza di forze interattive già ruolizzate e mature, capaci di orientare grazie ad operazioni docimologiche, strutturali sistemiche. Ora, col bambino coagiscono ed interagiscono famiglia, società, scuola, stato con compiti, considerati diversi, ma in effetti eguali se si tiene presente il fine educativo e/o formativo, specie se il procedimento è univoco sul piano dell unitarietà metodologica.Ne consegue che nel momento operativo scolastico (sia strutturale che sistemico) le singole fasce, turbate nella loro sfera, operano saltuariamente ed irrazionalmente, impedendosi reciprocamente, non raggiungendo gli obiettivi, disperdendosi in un lavoro settoriale, burocratico e quotidiano: una prova è il consiglio di classe dove le componenti genitori, alunni, insegnanti, si fronteggiano su posizioni diverse, senza avere la coscienza del loro ruolo specifico, dei compiti, delle funzioni in una libertà di metodo (utile ai fini del pluralismo democratico!) e varietà procedurale, con l esigenza di una scansione programmatica e di rilievi esterni d ordine disciplinare.
E dunque da ipotizzare una nuova tipologia di insegnamento?
Ritengo che non si possa insegnare se non si stacca nettamente l alunno, la scuola e la cultura dell infanzia dall ambito della città (intesa come il mondo delle interferenze politiche sociali economiche ecc) e non si situi in zone lontane dalla cultura ufficiale, convenzionale, conformata dell adulto: ci vogliono strutture ed edifici scolastici lontani dalla vita cittadina, dove far crescere la pianta dell anthropos, secondo le concezioni umane funzionali razionali scettiche: molti conoscono i miei progetti di scuola separata in zone agricole, in immense aree sia per i ragazzi (3-13) che per giovani (15-18).Comunque. a mio parere, se si fa un analisi superficiale sulla scuola e si procede statisticamente va a finire che la scuola italiana è una delle migliori in Europa perché conforme ai suoi compiti primari di formazione e di educazione generale e capace di dare, a certi livelli, possibilità occupazionali e professionali come per il passato.Se si fa uno studio serio e mirato alle singole strutture e poi si valuta l intero sistema di insegnamento-apprendimento si rileva un disagio in tutti gli operatori scolastici, una crisi culturale, un malessere diffuso.L insegnante in un sistema basato sullo scambio culturale in un continuo passaggio dalla fase di ricevenza a quella di emittenza e viceversa in una variabilità situazionale, è vittima incolpevole.Egli è stato abilitato all insegnamento senza la necessaria preparazione pedagogica, psicologica, docimologica per cui la sua possibilità di insegnamento (dal tardo latino insignare incidere, imprimendo signa, segni come marchi di riconoscimento sul bestiame in un codice agricolo) non marchia alunni, che sono di un altro codice.Inoltre né l insegnante né l alunno conoscono la comunicazione che sottende un processo non direttivo, ma paritario, che trasforma la superiorità dell adulto, che imprime segnali, in cooperazione e cogestione, sulla base di dati informativi in uno scambievole aiuto in una interazione psico-sociale, in un ritrovamento dei comportamenti individuali dei singoli giovani cointeressati all argomento e al problema, tesi a passare da uno stato di dipendenza a quello della partecipazione, al fine di consentire, non assentire.D altra parte con la comunicazione la competenza si sostituisce alla superiorità gerarchica, in quanto non c è lezione con l insegnamento tradizionale di un lector medievale.Questi aveva abilità di lettura ed insegnava tramite la conoscenza delle Sacre Scritture in un tentativo di tradere la cultura del passato al presente per un attualizzazione concreta: l insegnante, invece, ha la docenza, cioè una risultanza di conoscenze interrelate in una visione sincronica, che ne sottende una diacronica, con valutazione dell asse unitario sincronico-diacronico, per una proiezione possibile in un sistema ordinato, le cui strutture funzionali si esprimono in una fusione operativa continua nella prassi quotidiana.La docenza implica un informazione ampia e rielaborata personalmente data per una ricerca oggettiva regolata, a seconda delle esigenze dell alunno e della classe, già tramata in uno schema paradigmatico e sintagmatico, metodologico, che autorizza una decisionalità in situazione lavorativa, tagli, riconversioni (specie in caso di errori e deviazioni tematiche e procedurali).Di conseguenza la docenza comporta professionalità di chi docet insegna, svolgendo una funzione educativa di avvio, di guida di orientamento nella ricerca del Sàpere (esperienza conoscitiva, intesa come crescita dell essere, individuale, che assapora , provando ciò che càpita).Docere diventa così un insegnare pratico in quanto autorizza a mostrare i passi da fare, la via da seguire marcando i signa le orme spiegando il percorso formando un iter sempre nuovo in un evidenziazione delle abilità decisionali in rapporto alla situazione storico-socio-economico-politica, culturale e letteraria, in relazione all altro viandante , nel rispetto della contestualità altrui e per un vantaggio personale: esso è anche segno di autorevolezza di un auctoritas riconosciuta.Docere è segnare i connotatori, dopo aver fatto la situazione in una ricostruzione del sistema-struttura per fare un punto situazionale al fine di un intervento costruttivo sull altro, sulla base della conoscenza scolastica.L insegnante però , formatosi crocianamente (magari) attento talvolta al nesso opera -ambiente, segue, a volte l angolazione desanctisiana e gramsciana e crede di poter dare la sua preparazione scolastico-nominale, come informazione, all alunno. Non riesce, però, in tale operazione perché, avendo tale formazione e seguendo i programmi ancora gentiliani, non ha effettiva competenza (come sistema di conoscenze acquisite sul piano lessico-morfosintattico, su quello semantico e referenziale e tanto meno una abilità esecutiva che permetta di fare una situazione storica tale da confrontare col presente, in modo da fare proiezioni per un intervento costruttivo).Egli non ha una professionalità come il medico che dall esame mediante anamnesi e da quello diretto strutturale in situazione, può diagnosticare e dare una terapia su base probabilistica,tuzioristica, in relazione al quadro contingente delle analisi cliniche: non è abilitato ad un lavoro sistemico-strutturale e tanto meno ad una valutazione con giudizio epistemico, essendo preso dal nominalismo e dal nozionismo ideologico. E abituato, in una continua ripartizione dei programmi ministeriali, a procedere in un faticoso, quanto inutile lavoro di manovalanza intellettuale, che lo costringe ad obbedire a certe scadenze trimestrali o quadrimestrali e a dare quantità informativa . Non ha neppure possibilità effettive di programmare, progettare, pianificare, seppure si parli di attività curricolare, di interdisciplinarità e nei collegi dei docenti e nei consigli di classe. Demotivato e poco pagato assiste passivamente, nonostante qualche incentivazione orale del preside o di colleghi più velleitari e spontaneistici, comunque, delusi dalla scuola e dal sistema governativo, che privilegia categorie più produttive.L insegnante, non essendo orientato pedagogicamente e didatticamente fa scuola insegnando ciò che sa e ciò che deve insegnare, secondo tradizione, senza una logica costruttiva, senza attenzione all alunno, senza porsi il problema educativo: egli è sul piano dell informazione emotivamente spontaneo, cosciente di essere in una condizione di sottoproletariato letterato, costretto a svolgere un ruolo senza funzione, disturbato dai mass media, dalla famiglia, dalla chiesa, dai sindacati, dal collegialismo e dall assemblearismo.
Il povero insegnante è trascinato all apatia dalla monotonia ripetitiva, agitato dal velleitarismo aggiornativo di dilettanti formatori ministeriali, profumatamente pagati, sindacalizzati: è ucciso nel suo elementare lavoro dalla pubblicazione specialistica propagandante una riforma scolastica mai attuata.
Reclutato secondo forme concorsuali facilmente pilotabili e con logiche clientelari partitiche, l insegnante si presenta all opinione pubblica con la tipologia di buon uomo connotato di buona cultura generale, senza una funzione sociale, in un momento di alta specializzazione e di ricercata produzione dove ogni imbecille che opera con impegno su una sola cosa raggiunge il massimo, data la semplicità del prodotto.Espressione vecchia del sistema agricolo paesano il professore intruppato vive la sua esperienza scolastica senza confronto e senza personalità: gli errori del sistema scolastico (verticismo burocratico, impostazione ancora crociana e gentiliana, assemblearismo senza la competenza individuale, la collegialità senza la pianificazione soggettiva, l obiettivismo senza l oggettivismo, la sconnessione strutturale , il maggioritarismo come espressione della minoranza, l oclocrazia come regime ecc.) sono spia di una situazione critica molto più complessa statale ed istituzionale, che condiziona il professore che può solo professare la sua nominale conoscenza, inadeguata ai tempi.Ormai l insegnante è considerato come colui che insegna perché non sa fare niente e perciò la scuola è diventata il rifugio di tutti i perdenti, gli scansafatiche, delle donne in cerca di una funzione, insomma un immenso teatrino dove si recita un ruolo di docenza senza saperla professare ed ognuno recita a modo suo.Non è, però, il caso di generalizzare: ci sono molti insegnanti che lavorano seriamente specie gli uomini (meno le donne che salvo poche, vanno a scuola per ben altri motivi), non sono docenti gli ingegneri, gli architetti, psicologi, dottori in discipline giuridiche o i tecnici e i commercialisti, revisori di conti ecc., uomini che hanno uno stipendio in più,ma non sanno neanche cosa vuol dire insegnare, come tutti i professori impegnati in politica.
Se necessita una nuova docenza con un nuovo insegnante, non è necessario anche un nuovo alunno, che abbia un diverso rapporto col professore?
Secondo me, per ottenere un nuovo rapporto tra le parti del sistema scolastico, specie tra alunno ed insegnante e tra alunno ed alunno e tra alunno e famiglia, è necessaria la comunicazione, intesa come azione del comunicare ( da cum munus) come procedimento verbale che intercorre tra emittente e ricevente, tramite un canale, in un contesto, con un codice, comune, per l invio di un messaggio, connotato sulla base lessicale da due valenze significative, compito e dono in reciprocità.La comunicazione rientra nell area semantica aristocratica in quanto munus è termine che sottende da una parte il compito del nobile (militare e sacerdotale) e dall altra il dono è espressione comunicativa di due patroni secondo le formule della munificentia sul piano della paritarietà.Ora la nostra società di base agricola acculturata secondo linee americane, industrializzata rapidamente, evidenzia la crisi di valori specie nel linguaggio misto.Esso, essendo una risultanza confusa di cultura agricola e industriale, risulta una strana lingua usata da soggetti né agricoli né industriali, che vivono senza una propria cultura.Il linguaggio presenta forme della tradizione operativa paterna con parametri valutativi immediati, derivati dalla funzionalità industriale propria della organizzazione sistemica. in cui si viveInoltre esso ha in sé la presunzione di chi non comunica perché non ascolta e non ha rispetto dell altro che in situazione ha possibilità paritarie e competenze medesime per la soluzione del problema, in un arroganza di modi, senza più la docilità contadina.Nel rapporto tra insegnante ed alunno i due hanno il ruolo di emittente e di ricevente a seconda delle situazioni che autorizzano l interscambio in quanto l uno assume la leadership verbale a seconda della competenza mentre l altro interiorizza nell ascolto il messaggio ricevuto per rimandarlo in relazione alla sua ricchezza cambiato e modificato alla luce delle sue valutazioni e del suo patrimonio culturale in un processo educativo senza fine.Il rapporto perciò è connotato da un continuo flusso di pensiero interpersonale per un obiettivo comune da conseguire dalle persone interessate, in un interazione di modi e di piani senza la gerarchia, in relazione alla competenza.Ciò avviene però solo in un rapporto connotato da rispetto e da empateia: ora, il rapporto sta diventando sempre più problematico per la disistima dei docenti e per la sfrenatezza dei ragazzi abituati ad avere quanto vogliono, ad essere protagonisti anche nel male: il processo educativo diventa sempre più difficile e la stessa comunicazione è considerata espressione di debolezza davanti all arroganza giovanile, volgare perfino nelle manifestazioni verbali.
E la famiglia come si immette nel rapporto comunicativo tra insegnante ed alunno?
La famiglia, disagiata, ha demandato in questi ultimi tempi l educazione ai professori e sembra non volere entrare nella operatività della sfera dell insegnante, mentre quella agiata segue e complica la vita dell insegnante con le sue interferenze ostacolando il lavoro.
La famiglia non dovrebbe entrare nel campo tecnico didattico-metodologico, dove l insegnante dovrebbe fare le sue sperimentazioni e svolgere il suo compito servendosi anche dell ausilio della famiglie e delle istituzioni in senso formativo, dove è necessario procedere di pari passo secondo la stessa metodologia per meglio definire la personalità dell allievo.
Certamente la famiglia può, là dove è possibile, entrare anche in merito scolastico, ma deve assecondare il processo educativo in modo da coadiuvare il docente ( senza interferire in problemi tecnici e valutativi) o il preside sulla gestione scolastica specie in caso di autonomia, data la rappresentanza del consiglio di istituto.
In conclusione il carrozzone della scuola, anche con una cultura dell infanzia all italiana, può andare avanti con un qualche successo perfino in Europa?
Noi italiani siamo i maestri di un vivere equivoco e contraddittorio e sappiamo lentamente seguire gli altri e avviarci verso una certa correttezza formale e quindi scolasticamente forse potremo anche allinearci, ma scieremo come quelli che non hanno i fondamentali e che spesso sono pericolosi sulle piste per sé e per gli altri, se non procederemo con metodo.
Aulo Avillio Flacco, fu governatore dopo Ibero, che aveva sostituito brevemente Vitrasio Pollione (Dione Cassio,St. LVIII,19,6) uomo probabilmente di Seiano e governò Alessandria e Egitto dal 32 fino al 38.Flacco, dopo essere stato uno del seguito di Tiberio, tra i consiglieri finanziari e tributari, fu inviato in Egitto in quanto suo fedelissimo ed abile amministratore, iure gladii, con funzioni giudiziarie e militari.Come tale fu eccezionale, date le capacità di intelligenza e di perseveranza, di rapidità intuitiva ed abilità realizzativa, considerate le doti di perfetto oratore, perspicace osservatore, conoscitore di uomini ed interprete sapiente di parole , di fatti: tale giudizio è di Filone, suo nemico, e perciò le lodi sono reale riconoscimento del suo valore.Egli fu rapido ad entrare nella difficile ragnatela amministrativa dello stato egizio e nel complicato sistema ancora lagide di equivoca comprensione per un romano.L errore rilevato da Tiberio Alessandro, giudeo apostata, un suo successore come prefetto di Egitto nel 69 d.c. di aver riscosso i tributi senza computare le immunità prediali, deve farci pensare che Filone può aver amplificato l operato di Flacco, ma non intacca il sostanziale precedente giudizio.D altra parte Filone procede in questo modo (e lo dichiara apertamente) per evidenziare con la pars destruens del suo discorso le accuse di eccidio giudaico (cfr. Flac. 6-8 cfr CIG-corpus iscriptionum graecarum- III,4957) e marcare il suo radicale cambiamento, degno di punizione.Flacco, impratichitosi, dunque, della normativa del sistema tributario e finanziario egizio, grazie all apporto dei funzionari alessandrini, costituito da una massa di scribi, la semplificò mantenendo i migliori dei numerosissimi segretari, ufficiali e cancellieri giudiziari, sapendo gestire con integrità , seppure con un certo dispotismo, i tanti impiegati della tesoreria alessandrina e delle segreterie dell ex regno tolemaico. Specificamente aveva dignità regale nel reggere lo stato, ben commisurata con la forma esteriore; sapeva giudicare con l aiuto di funzionari in carica; non si faceva intimorire dai violenti; impediva le riunioni di popolazione promiscua e tumultuosa specie se organizzata, secondo summorie, che venivano sciolte d autorità e fermezza, in caso di tensioni.Anche sul piano militare Flacco assicurò una regolare funzionalità, dopo aver dato al paese e alla città una perfetta osservanza della legalità sociale: ricostituì le truppe, dando un nuovo assetto in relazione alla città e al territorio egizio, faceva esercitazioni continue, tenendo in allenamento le truppe di fanteria, di cavalleria e di armati alla leggera .Pur esigendo obbedienza ai capi nei militari non graduati, li proteggeva dalle angherie degli ufficiali superiori, che tendevano ad appropriarsi degli stipendi dei subalterni ed inculcava loro il senso di dovere in ogni situazione e specialmente educandoli alla neutralità, in faccende estranee al servizio e nella tutela della pace, secondo la logica di Seiano.Accanto a Flacco come cancelliere era Lampone e come funzionario popolare Isidoro che rimasero correttamente al loro posto fino all avvento del regno di Caligola e alle sue prime azioni in senso popolare e militare, e furono strumento del prefetto.Il nostro esame tende a rilevare il carattere e del governatore e quello dei due, la loro funzione e il loro specifico compito nell entourage del governatore in carica, senza entrare specificamente in merito al problema giudaico e senza valutare moralmente, per cercare di capire non solo il mondo giudaico alessandrino e le ultime fasi del regno tiberiano, ma anche il complesso mondo ellenistico in genere e quello della diaspora giudaica e del sistema imperiale romano ecumenico, di cui Flacco e gli altri uomini sono solo un esempio di funzionalità. in una situazione difficile quale quella della successione dinastica, come conclusione di una lotta tra i due partiti, quello giulio e quello claudio, schierati a favore di Gaio Caligola (meris ton theton, la parte degli adottati) e di Tiberio Gemello (meris ton gnesion, la parte dei legittimi per nascita) e all inizio di un contrasto tra il giovane monarca e la famiglia, il senato e la classe equestre.Nell esaminare la complessa vicenda e i personaggi, attori della politica alessandrina, si apre un altro grandioso scenario quello di Roma, sotteso alle notizie filoniane, in cui gli avvenimenti della morte di Tiberio e della successione di Caligola con il successivo omicidio del coerede Tiberio Gemello e poi del capo dei pretoriani, Macrone, e del princeps senatus Silano determinano un cambiamento totale di politica e di amministrazione in Alessandria e in ogni città dell impero, dove i partiti filogiuli e filoclaudi si contendono il primato cittadino, ad di là delle divisioni etniche e delle suddivisioni interne alle stesse etnie: dalla capitale le notizie dell avvento al trono del nuovo imperatore con l instaurazione della sua neoteropoiia, palese già alla fine del 38, irradiandosi per il mondo romano, diffondono il messaggio dell inizio di un era nuova.I governatori delle province, specie di quelle imperiali, Siria e Giudea ed Egitto, sono maggiormente interessati al cambiamento di regime e cercano di adeguarsi al regime imposto dal figlio di Germanico, espressione delle forze popolari e militari.Flacco, che era stato un governatore tiberiano, filoclaudio, che aveva accusato Agrippina , madre di Caligola, e determinato la morte non solo di lei ma anche dei due fratelli, Nerone e Druso, sorpreso dalla elezione del nuovo imperatore, amareggiato dalla uccisione del coerede nipote diretto dell ex imperatore, da lui favorito, annichilito dalla morte di Macrone, suo protettore, e poi da quella di Silano con cui era collegato, colpito da queste mazzate aveva disperato della sua salvezza, nonostante l amnistia e la distruzione degli incartamenti relativi le cause del periodo di Tiberio.Quindi Flacco, dal momento della nomina di Caligola ad imperatore e del suo riconoscimento a Roma il 28 marzo 37 fino al compleanno del 31 agosto del 38, fu in grande ansia ma ebbe tempo di manovra per difendersi da accuse possibili.Le notizie negative, progressive, dopo un intervallo di otto mesi, compresa la malattia di Gaio, avevano dato tempo e possibilità di autodifesa, in caso di accuse contro la sua persona e il suo mandato di governatore.Egli sicuramente preparò un piano che doveva essere suffragato dalla testimonianza del senato alessandrino e dai rappresentanti popolari di Alessandria, oltre che dai cives romani alessandrini.Il caso dei cinque magistrati e di curatores viarum , vittime di Caligola e quello di Gaio Calvisio Sabino, tornato dalla Pannonia (Dione, St. LIX, 18,4), che aveva governato, costretto a suicidarsi e quello di Tizio Rufo ( Ibidem 18,5) dovevano avere impaurito ancor di più il governatore di Egitto.La persecuzione di uomini del ceto senatorio e equestre accentuò ulteriormente la paura di Flacco, che dovette anche predisporre ogni cosa per la divinizzazione di Drusilla, la sorella di Caligola morta il 10 giugno, che fu venerata come Panthea (Dione, St. LIX,11).Filone, senza informarci sulle condizioni della madrepatria Gerusalemme, sugli avvenimenti accaduti nell ex regno erodiano e sull azione militare di Lucio Vitellio, governatore di Siria, accenna solo ad una reazione antigiudaica di Pilato, (Leg.301) fa la situazione del giudaismo ellenistico sia di Alessandria, che di Egitto che di tutta la diaspora, evidenziando che non era stato inviato il decreto del sinedrio, in cui si facevano le congratulazioni per il regno a Gaio e le felicitazioni in relazione a quanto fatto e testimoniato nella città santa nella Pasqua del 37 (Ant giud. XVIII, Leg.231-2) per la malevolenza di Flacco, che non aveva fatto il suo dovere e che poi fu svolto in ritardo da Erode Agrippa, che lo inoltrò, diciotto mesi dopo, con le scuse per il ritardo. (In Flaccum, 93, 103).Noi sappiamo che Caligola aveva iniziato una campagna antiaristocratica tale da sminuire la auctoritas senatoria ed equipararla , ironicamente, quasi a quella del suo cavallo Incitato tanto che gli storici a quel punto cominciano a considerare l imperatore pazzo come se il suo regno fosse finito alla fine del 38.In effetti la volontà di Caligola di annientare il senato era connessa con la posizione infida di quel consesso; il giovane imperatore era uomo di grande intelligenza, di dissimulazione e simulazione e secondo Flavio (Ant.Giud, XIX,208) valentissimo oratore espertissimo della lingua greca e latina, sapeva come rispondere a discorsi pronunciati da altri, dopo lunga preparazione, e mostrarsi presto e più persuasivo anche quando si dibattevano argomenti di grande interesse: e risultava tanto abile perché egli aveva in questo una attitudine naturale, potenziata da una pratica acquisita con il continuo esercizio.Egli era stato per 6 anni presso Tiberio a Capri a scuola di recitazione e di simulazione, secondo i modelli di Augusto e di Tiberio, mentre madre e fratelli venivano condannati e mai si era lasciato sfuggire una parola compromettente, mai un gesto sconsiderato (Tacito, Annales, VI,20,1); aveva accettato sempre ogni azione di suo padre adottivo, memore degli insegnamenti della bisnonna Livia e della nonna Antonia.Caligola, dopo il discorso del 1 luglio del 37, al suo primo consolato, divenuto programmatico sia per lui che per il senato, che stabilì per decreto che le parole dette fossero rilette ogni anno (Cassio Dione, St.,LIX,6,7), in cui aveva condannato le azioni di Tiberio rimproverate dall aristocrazia, eseguite, comunque , e con cui pur mostrando condiscendenza verso il senato, era stato tanto abile da smascherare il comportamento pavido ed infido senatorio.Aveva poi mostrato la sua intelligenza superiore e rapidità di decisione nel momento della malattia, quando nominò Drusilla, che si era separata da Cassio Longino e si era sposata con Marco Emilio Lepido, erede dei suoi beni e dell impero (Svetonio, Caligola,24,1) proprio quando aveva visto Macrone e Silano spostarsi verso il coerede tiberiano Tiberio Gemello, per loro unica alternativa al morente imperatore.La successiva eliminazione dei tre e la sua accusa verso il senato doppiogiochista, inchiodato alle sue responsabilità, evidenziavano il piano di un governo assoluto, la ricerca di uno spazio totale per governare senza il senato, solo con il sostegno popolare e militare: non per nulla era solito ripetere, secondo Svetonio, il verso omerico uno sia il capo, uno il re (Iliade,2,204).Egli gradualmente minava il prestigio senatorio costringendo i senatori ad indebitarsi con allestimenti di giochi popolari e col fare le campagne elettorali, dopo che aveva ripristinato le elezioni dei magistrati da parte dei comizi (che erano state abolite) in quanto cardine dell ordinamento politico repubblicano.Era questa una strategia attuata al fine di impoverire il ceto senatorio e rimpolparlo con uomini novi che potevano comprare sia il titolo equestre che quello senatorio, e che, provenendo dalle province, erano più malleabili, meno pretenziosi e più fidati, certamente non infidi e non portati alla congiura, dati i rapporti di dipendenza con il princeps.In effetti Caligola avendo un team giovane di rilievo in questo periodo composto, oltre che dai famigliari Lepido e dalle tre sorelle, dai re Erode Agrippa ed Antioco di Commagene, tyrannodidascaloi / maestri di tirannia,(Dione Cassio,St. LIX,24,1), puntava anche su uomini come Callisto, Pallante, Protogene, Elicone, liberti della nonna Antonia di pieno affidamento ed amministratori capaci, scaltriti da un lungo esercizio commerciale.In questa fase Caligola obbligava chiunque ad avere coerenza pratica così da mantenere quanto detto o giurato, cosciente che lealtà sia coincidenza tra il piano espressivo e quello operativo: non per nulla obbligò Afranio Potito ad uccidersi perché aveva promesso di sacrificare la vita se l imperatore guariva e Atanio Secondo a combattere nell arena per la promessa fatta per la sua guarigione.E chiaro che Caligola accentrando in sé non solo il potere ma distribuendo le cariche in modo clientelare aveva tolto la possibilità di reclutamento ai senatori di clientes obbligando loro stessi ad essere suoi clientes con la salutatio: chi non osservava tale dovere e o chi non veniva ricambiato, praticamente era un uomo morto.L uso della salutatio diventava un vincolo sicuro di amicizia, che toglieva inoltre il rapporto tra le varie famiglie aristocratiche ora in lotta per essere vicine al nuovo imperatore, anche se costrette ad un azione servile, a riconoscersi inferiori rispetto all autocrator.Inoltre Caligola era un anomalista cioè seguace di un sistema letterari- opposto a quello analogista- , basato sul sublime , includente un modus vivendi opposto a quello convenzionale e normale, come espressione istintuale, secondo norme di creatività e genialità (cfr Pseudo-Longino, Peri Ypsous,8)Caligola mostrava il sublime in sé , nelle sue costruzioni, nel suo vincere terra mare e cielo, nel suo essere unico rispetto a tutti gli altri: la salutatio matutina da forma aristocratica usata da ogni nobile famiglia per la tutela della clientela, diveniva forma unica imperatoria, che comportava omaggio dovuto al solo princeps ( che neppure riceveva , ma delegava i suoi rappresentanti per tale ufficio) patronus.In effetti Gaio riprendeva il sistema già adottato da Tiberio e Seiano che avevano obbligato la nobiltà alla salutatio a contendersi questo favore del princeps, facendola rimanere per giorni in attesa.La salutatio però comportava per Caligola l esigenza di una dimora di una domus aurea , che non aveva a Roma per accogliere in modo magnifico i tanti che si sarebbero presentati a salutare l autocrator.Da qui la magnificenza delle sue costruzioni in ville nei dintorni della città e in Campania, seguendo il modello di Tiberio, prima di stabilire la propria residenza, non essendo ancora certo di quella romana sul Palatino.Sembrava che lui volesse assoggettare la natura, realizzare l irrealizzabile, in quanto tendeva all adrepebolon ( Peri ypsous,8) Svetonio (Caligola,37,3) vennero gettate dighe nel mare tempestoso e profondo, furono tagliate rupi di selce durissima elevate pianure all altezza di montagne livellate le cime più alte a forza di scavi e tutto ciò avveniva con incredibile rapidità.La singolarità della sua figura e delle sue azioni e dei suoi viaggi doveva essere rilevata come quella della sua donna e dei suoi amici, invidiata ed emulata dagli aristocratici che, imitando, dovevano impoverirsi e quindi dovevano essere sostituiti da uomini novi provinciali.Le sue navi avevano poppe ornate di gemme e vele dai colori sgargianti, in cui c era un grande numero di terme, portici, sale da pranzo, ma anche una immensa varietà di viti ed alberi da frutto . Con navi di tal genere navigava lungo le coste della Campania (Svetonio, Cal. 37,29),e le sue spese dovevano essere eccezionali, sia per i pranzi inimitabili per portate, qualità e quantità di cibi, anomali rispetto al sistema normale culinario, fuori cerimoniale, tanto da sbalordire la pur decadente aristocrazia che, per imitarlo, si indebitava per un pranzo da offrire all imperatore: Caligola faceva servire pietanze coperte di sfoglie d oro, beveva perle preziose sciolte nell aceto, faceva banchetti di oltre 10 milioni di sesterzi , sperperava a volte in pranzi le tasse di tre province, faceva indossare gioielli alla moglie (Lollia Paolina) di 40.000.000 di sesterzi.Nei primi mesi Caligola sperperò circa 2.000.700.000 sesterzi (Svetonio, Caligola,37) l eredità di Tiberio e 90.000.000 del suo stesso patrimonio: per queste ingenti spese l imperatore aveva accanto a sé molti trapezitai alessandrini, dipendenti propri dell alabarca di Egitto, che era l amministratore dei beni della nonna (Flavio Ant. Giud.XIX,276.) amico di vecchia data di Claudio, probabilmente cittadino romano, come poi suo figlio Tiberio Alessandro.Chiaramente Caligola così vivendo nel lusso più smodato costringeva l aristocrazia all imitazione e quindi alla rovina allorché era incaricata di allestire una cena per il principe: ci volevano vari argentarii per finanziare una tale impresa: nessun senatore ,che aveva un patrimonio minimo , quaranta volte minore della parure di Paolina , poteva competere con la forma imperiale a cui, comunque, doveva attenersi, se voleva invitare l imperatore.Se da una parte il suo comportamento anomalista lo distaccava dal senato, l amore per le corse di cavalli per i combattimenti e per le rappresentazioni teatrali, essendo un comune ideale per la gioventù e per la plebe, che sempre di più lo seguivano (anche perché era cancellata l etichetta e quindi più facile l incontro e il suo rapporto) lo avvicinava al suo popolo Filone che non parla di questo cambiamento a Roma, da cui venivano echi secondo la lettura critica sacerdotale dei giudei delle sinagoghe romane, ostili a tale sconvolgenti ed innaturali atti, vede solo la trasformazione che avviene in Alessandria nel comportamento del governatore e nel nuovo rapporto stabilitosi tra il prefetto e i caporioni popolari.Egli afferma che improvvisamente c è una cambiamento di direzione amministrativa in quanto Flacco, da retto governatore diventa inetto e insicuro e per di più risulta un fantoccio dominato dai due alessandrini, popolari, che, essendo espressione della massa popolare, gli impongono di procedere in senso antigiudaico (Flac. ,41) A dire il vero il prefetto si serve dei caporioni e finge di essere da loro dominato: egli infatti fa ordinare ad Isidoro perfino una protesta con accuse contro di lui dal ceto più umile della città.Insomma il piano antiebraico veniva realizzato, ma il prefetto doveva rimanere esente da colpe: i colpevoli erano già pronti.Filone sembra invece credere a questo rovesciamento teatrale , proprio della peripeteia tragica, e nella descrizione di questi tre personaggi mostra come sia stato modificato il carattere del governatore rilevando la sua paura e la sua depressione.Filone indulge al tragico, non è storico; Filone dà una verità letta dall angolazione giudaica nobiliare, doppiochista, abile a tenere la posizione ambigua, pronta per la scelta più redditizia.I mestatori alessandrini , comunque, sono collegati con altri elementi attivi alla corte di Caligola, probabilmente Elicone, una specie di ciambellano factotum sempre presente in ogni momento della vita quotidiana del sovrano (Legatio,166-178) ed inizialmente anche col governatore.Questi capirono che era imminente una persecuzione contro gli ebrei e che si riprendeva la persecuzione secondo le linee già indicate da Seiano e fecero piani in relazione all azione permissiva di Gaio nei confronti di servi, che facevano delazione contro i padroni. (Flavio, Ant. giud. XIX,1-3): l azione contro tutto il popolo giudaico sta per iniziare (sumpan.. to ethnos Filone, In Flaccum,1) e Flacco coordina il suo operato parziale (merei Ibidem) contro i giudei alessandrini, esteso anche a quei luoghi dove può arrivare la sua auctoritas.Perciò Avillio Flacco , coinvolto, da buon governatore tiberiano divenne spietato aguzzino degli ebrei, per mostrarsi zelante nella accettazione della neoteropoiia caligoliana per farsi perdonare le colpe avute contro la famiglia giulia, l appartenenza al partito filoclaudio, appoggiando all improvviso il partito popolare e militare alessandrino e i suoi caporioni che promettevano di assisterlo con tutto il popolo e il senato cittadino in caso di denunce contro la sua persona.La condizione di sudditanza di Flacco é spiegabile anche perché Caligola, divorziato da Orestilla, dopo la morte della sorella, sua amante, dopo il viaggio in Sicilia, e la costruzione del porto di Reggio come scalo intermedio tra Alessandria e Roma delle merci di grano, inizia a colpire i consolari accusati di tradimento (Dione Cassio, St., LIX,11)Insomma gli alessandrini avevano saputo della volontà di Gaio di cambiare totalmente politica interna ed estera, specie dopo il nuovo matrimonio con Lollia Paolina (Dione Cassio, St.,LIX,12,1) , momento in cui vengono esautorate implicitamente le sorelle, Agrippina e Livilla, poi esiliate, determinando un altro cambio di team, in cui rimanevano solo i liberti.La nuova situazione romana era ben conosciuta ad Alessandria, da parte greca e da parte greco-giudaica, come anche la politica estera: i piani di Caligola di fare una doppia spedizione (una germanica ed una partica) dovevano servire per avere una gloria militare per debellare il potente consesso senatorio e liberarsene del tutto.Quella germanica già era nell aria alla fine del 38 e quella partica era stata anticipata dalla elezione di Erode Agrippa a re di Iturea e regioni limitrofe, di Antioco a re di Commagene e dei figli di Coti (Ibidem,12,2) a re di Ponto e di Tracia , dopo che Vitellio aveva ripristinato l ordine in Siria ed al suo posto era stato inviato Petronio Turpiliano ( Flavio ,Guer. giud. II,10, 1-5;Ant. giud.XVIII,262 ss Filone Leg.207-260): bisognava estirpare i collegamenti che c erano tra lo zelotismo palestinese e quello partico, limitare il potere finanziario ed economico dei giudei ellenisti della diaspora, al cui centro era il giudaismo alessandrino, riprendendo la politica seianea antigiudaica.Inoltre era ventilata anche l idea di un suo abbandono di Roma e di un viaggio che poteva essere definitivo in quanto si diceva che aveva intenzione di guidare il mondo da Alessandria, riprendendo il disegno di Cesare e quello del suo bisnonno Antonio, accarezzato anche da suo padre Germanico, sempre però dopo l impresa germanica.L azione di ripristino della giustizia in Alessandria, quindi, non aveva gran valore per Caligola per il quale solo contava l allineamento alla sua politica interna ed estera.Questo cercarono di far capire al governatore Lampone ed Isidoro: il vecchio sistema era finito, tutto era cambiato ed un nuovo ciclo iniziava.Da qui il via libera al popolo di Alessandria che può attaccare quei giudei della medio bassa borghesia, non ellenizzati, che abitavano in due quartieri della città: l assalto fu su questa parte della città integralmente giudaica, non su quella parte degli altri tre quartieri dove i giudei vivevano misti ai greci.Filone parla del sequestro di 400 case (Flac.94) e di ammassamento della popolazione giudaica in una zona ristretta di un quartiere e quindi tratta della strage fatta su una parte della popolazione giudaica e su una parte del sinedrio (38 membri) e specificamente di tre membri sinedriali, di cui fa i nomi.Filone descrive la tragica sofferenza giudaica rilevando tre fasi di progressiva ostilità nel comportamento antipopolare giudaico del governatore: la prima in cui si facevano trapelare le sue intenzioni ostili velatamente nel corso dei processi, nel rifiutare colloqui con i giudei , nell accogliere solo formalmente Giulio Erode Agrippa re e famigliare di Gaio, facendo finta di ignorare le beffe fatte al suo indirizzo e la parodia del suo incoronamento e del suo rango pretorio;la seconda fase come profanazione delle sinagoghe con l installazione della statua di Panthea Drusilla probabilmente e non di Gaio, non ancora deificato, trascurando la possibile reazione dei giudei non solo di Alessandria e di Egitto (un milione ) ma di tutta la diaspora (1 500000) e delle ripercussioni negative in ogni città, dove la popolazione giudaica era diffusa; la terza fase come abolizione della posizione giuridica tramite l atimia per cui i giudei divennero stranieri (csenoi) ed estranei al paese ( epelydes Flacc. 53-54) per cui i greci potevano darsi al saccheggio anche delle case, rovinare il florido commercio ebraico, abolire quindi la costituzione augustea imprigionando membri del sinedrio, facendo stragi, crocifissioni torture, dopo aver ghettizzata la popolazione giudaica in un settore di un solo quartiere e il più piccolo.Ma una parte del giudaismo la più numerosa è salva: il prefetto si serve di essa che è tra i notabili della città in quanto è pars ellenizzata aristocratica sacerdotale, oniade, di cui fa parte Filone,la sua famiglia quella di suo fratello Alessandro, quella di tutti i discendenti di Onia IV ( come i discendenti della famiglia di Boetho suocero di Erode il grande) che formano l élite di Alessandria, costituita da uomini dell alta finanza (trapezitai), da capitalisti (poristai), da armatori (naukleroi) e da grandi commercianti (emporoi), dominatori dei due porti alessandrini, ben collegati con gli argentarii romani, congiunti perfino con Antonia minor, la nonna di Caligola.Anche questi avevano i loro informatori che facevano conoscere la situazione romana e la politica internazionale caligoliana: Filone quindi conosceva quello che conoscevano i caporioni e lo stesso Flacco, ma Filone in In Flaccum fa l apologia del giudaismo e dice quello può dire, marcando tutta la sofferenza giudaica: la sua ambasceria a Gaio consisteva infatti nel racconto di ciò che aveva sofferto l ebraismo (a epàthomen) e nella dimostrazione della legittimità dei diritti giudaici (dìkaia).E tra questi diritti egli ricorda che Flacco lese quello sinedriale, quello di fustigazione e quello della sospensione delle pene al momento della celebrazione del compleanno di Caligola, il 31 agosto.Prima di quella festa, Flacco ordinò ai soldati facendo quindi un operazione militare, non più solo popolare, la perquisizione delle case giudaiche nei quartieri per ricercare le armi che non erano state trovate ma che erano state trovate precedentemente tra gli egizi e tra i giudei egizi, quelli delle case sequestrate.Filone ci tiene a precisare sulla illegittimità delle azioni di Flacco e precisa che il Sinedrio era stato istituito da Magio Massimo (Flac,74) quando era governatore per la seconda volta, su ordine di Augusto che riconosceva i diritti già accordati dai Lagidi. Magio dopo che era stato governatore tra il 3 e 10 d.c. fu di nuovo governatore dopo Aquila (Ant. giud, XIX,283), che aveva governato l Egitto dal 10 al 12 e perciò Augusto autorizzò formalmente il funzionamento del sinedrio nel 13 , confermando la carica del genarca-etnarca, probabilmente quella del padre di Filone, nelle sue funzioni amministrativo-giudiziarie e religiose, poi riconfermato da Gaio Galerio (Seneca, ad Helviam matrem, 19,4-6) che governò per 16 anni.Dalla lettera di Aristea (oggi riconosciuta come opera del II secolo av.C.(310) da Antichità giudaiche (XII,108 e XIV, 117 in cui si riporta un passo di Strabone che parla delle funzioni amministrative giudiziarie ed archivistiche, propria dell alabarca) si evince che gli oniadi avevano anche una funzione religiosa, data la carica sommo-sacerdotale del primogenito della stirpe degli oniadi, celebrante nel tempio di Leontopoli.Inoltre Filone precisa che la fustigazione in uso era di due tipi : quella della flagellazione degli egizi, fatta con frusta particolare e da esecutori diversi e quella degli alessandrini sia greci che giudaici con spate e fatta da agenti di polizia alessandrini (spatafori) in quanto cittadini liberi.Filone inoltre precisa che era norma per un governatore durante il genetliaco di un elemento della domus augusta non punire alcun condannato ma dedicarsi solo alla festa; Flacco, invece, oltre a punire chi non era colpevole, punì anche durante la festa, anzi ne fece uno spettacolo di festa, senza rispettare la santità del genetliaco.Infatti dall alba per tre o quattro ore della mattinata senza concedere l ammistia di un giorno, senza far togliere i morti dalla croce, organizzò la festa facendo appendere altri vivi dopo averli fatti flagellare in pieno teatro e torturati col fuoco e col ferro davanti a spettatori , che godevano dapprima della vista di giudei fustigati, impiccati, messi alla ruota, brutalmente sfigurati e portati alla morte, passando attraverso l orchestra e poi dell esibizione di danzatori, mimi flautisti e di attori teatrali in genere.Filone però parla solo di ebrei che vivevano nei due quartieri separati, che dovevano essere filopalestinesi e collegati con parenti della Giudea: su questi e sulle loro case si sorvola e solo in occasione delle perquisizione delle case dei nobili, non toccati dalla atimia si parla della ricerca di presenza di armi nelle case, dove non potevano essere, data la loro filoromanità.L atimia, dunque, toccò solo i giudei che avevano diritto ad una cittadinanza di semplice alessandrino,quei giudei, cioè, che vivevano da tempo in Alessandria con diritti di residenza propria degli egizi alessandrini, non greci.Nessun governatore poteva azzardarsi a toccare l aristocrazia giudaica alessandrina ellenizzata, iscritta perfino nelle tribù e nei demi cittadini,da decenni: l atimia, perciò, colpisce solo i giudei alessandrini non ellenizzati indiziati e perseguiti anche per il sospetto di tenere le armi nascoste e di essere collegati con lo zelotismo palestinese.L intervento finale di Flacco, infatti, fu militare e questa volta sulla pars aristocratica, sulle abitazioni non sequestrate: i militari di Casto cercavano armi che non furono trovate ma poi come suole accadere quando ci sono di mezzo i soldati, ci andarono di mezzo le donne non solo quelle giudee ma anche altre donne di altra etnia che portate nell agorà, furono distinte dando loro da mangiare carne di maiale e punite quelle che non la mangiavano.Da Filone, che pur legge con animo di parte, ci vengono date indicazioni sul modo di procedere di Flacco e dei capi popolari alessandrini che avevano promesso al governatore di salvarlo dalla inimicizia di Gaio.Il cambiamento, dunque, di Flacco appare netto: non è più un giudice imparziale ma un giudice dispotico, caligoliano, che condanna senza processo, assumendo contemporaneamente le vesti di accusatore, di nemico, di testimone, di giudice, di esecutore della condanna.I tre capi popolari sembrano condizionare Flacco, visto ormai governatore degradato, non più padrone del campo; essi appaiono come i manovratori della situazione mentre Alessandria appare città non più governata, in preda a stragi di cittadini; questa Alessandria doveva essere per Filone la patrona del suo governatore!.Filone bolla Dionisio come demagogo, Lampone come scribacchino e ladro, Isidoro come intrigante arruffapopolo, ed, insieme, li considera un branco di malfattori.La descrizione dei responsabili dei mali giudaici è tipica della narrazione satirica giudaica ora smodata, nonostante i tentativi di compostezza e di misura, propri di uno che vuole essere spoudaios , asteios. kosmios, ma è incapace di contenere la propria eccitazione e il proprio disgusto, di fronte a tanta barbarie.Lampone è ben delineato , caratterizzato nella sua personalità di scriba corrotto che probabilmente scoperto in seguito come cancelliere, era stato accusato da Flacco stesso di frode contro lo stato che era un crimen maiestatis in quanto perpetrato contro i beni e la persona dell imperatore poiché l Egitto era un bene familiare imperiale.Nel processo di due anni Lampone si era trovato a mal partito dovendo pagare gli avvocati e perciò aveva denunciato, in momenti in cui la causa era a suo favore, che lui era stato rovinato nel suo patrimonio dal fatto di essere stato costretto ad assumere la funzione di Gimnasiarca, che comportava molte spese per rifare i ginnasi, ricostruire le palestre pagare i gumnastai e i tanti operai che svolgevano lavori di manutenzione, in una giustificazione della sua tirchieria o a dimostrazione della sua non floridezza finanziaria. Egli adduceva come pretesto che non possedeva averi sufficienti per svolgere quel compito che richiedeva tante spese, eppure,prima del processo, aveva sempre manifestato di essere molto facoltoso anche se nella dokimasia (nella verifica dei beni che si faceva prima che qualcuno svolgesse una funzione statale), era risultato non ricchissimo, ma che si era arricchito con azioni illegali.Egli come grammatokuphoon, scriba, a contatto diretto con i governatori durante i processi registrava le accuse e, come avente tale funzione, le presentava. Egli aveva così l opportunità di cassare le cose dette o di ometterle a suo piacere, non inserendo termini e, se possibile, cambiare le lettere su e giù per il testo, facendo operazioni di trasformazione, di cambiamento , rovesciamento, correzione e in relazione a quanto fatto, si faceva pagare per lettera o per apice, adulterata.Per questo il popolo lo chiamava calamosfactes (colui che uccide con la penna) in quanto uccideva moltissimi con le lettere che scriveva , rendendo così i vivi più disgraziati dei morti.Infatti quelli che potevano vincere e godersela, a causa sua, invece, subivano la sconfitta e la povertà, poiché i loro avversari pagavano lui che capovolgeva la situazione, dando i beni altrui a buon mercato.Ciò era possibile perché i governatori non potevano ricordare quanto scritto, data la mole delle pratiche sbrigate in una provincia così grande dove le cause si accatastavano le une sulle altre, e considerata la varia natura causidica e il computo dei tributi e delle rendite, il cui esame richiedeva più di un anno. Lampone così sfruttava la lungaggine delle procedure e la dimenticanza dei giudici e scriveva tra i vinti coloro che dovevano vincere e faceva risultare quelli che dovevano perdere tra i vincitori, dopo aver preso somme di denaro.Isidoro è anche lui ben tratteggiato nella sua funzione di agitatore di masse e di sindacalista sempre pronto a favorire e a parteggiare o per le masse, specie greche o, ma anche per quelle egizie e delle minoranze etniche residenti ed avventizie.Egli non era un funzionario effettivo, ma era anche lui un uomo dell entourage del prefetto o meglio individuo utile al suo servizio, senza carica ufficiale.Egli era per natura malvagio e facinoroso, molto abile a creare tumulti e rivoluzioni, se non c erano, e a fomentarli e ingigantirli, una volta scoppiati.Egli amava circondarsi di una moltitudine disordinata e confusa in cui convivevano elementi vari di origine servile organizzati secondo la simmoria.Era questa una organizzazione tipicamente ateniese, poi divenuta tipica di ogni città del Mediterraneo di tutte le città greche dell impero romano, compresa Alessandria.Ad Atene si soleva formare gruppi di 1200 uomini, suddivisi in corpuscoli di 20 membri (due ogni tribù) di 60 uomini ognuno. Ad Alessandria, dove la popolazione era molto eterogenea, forse il numero era doppio o triplo, a seconda delle classi.Forse Filone propende per un numero di 2400 unità ( anche se non si può scartare un numero di molto superiore a quello delle simmorie ateniesi (Flac. 143 ).In effetti si formavano squadre di migades (misti greco-egizi, o di varia etnia) e di sugkludes (plebei di norma egizi) oltre forse a greci puri, sempre pronti agli ordini di Isidoro.Questi gruppi, comunque, erano dominati da Isidoro che li gestiva manovrando l associazione come voleva, subordinandola a volte anche ai piani del prefetto.Egli aveva questa opportunità in quanto la città era piena di thiasoi , che lui controllava in ogni senso.Il thiasos in epoca ellenistica era una comunità, tipo le nostre confraternite, di fedeli di uno stesso dio,di norma Dioniso, che celebravano con danze, sacrifici, processioni e riti.
Siccome si riunivano periodicamente in sinodi (concili, assemblee , club) che formavano anche una corporazione e che stabiliva i riti da farsi, le cerimonie, le feste, le date e siccome ogni cerimonia si concludeva con banchetti, in cui non c era niente di buono, per un ebreo, ma solo vino schietto, dove c erano ubriachi, insolenti e violenti, i thiasoi venivano visti negativamente dai giudei, anche se erano occasione di integrazione sociale e di comunicazione, seppure con qualche violenza.L angolazione di Filone è quella di De Vita contemplativa (75 ss) dove vengono comparati questi thiasoi ( sinodoi e clinai) dei greci ed egizi con la sinagoga greca e con cena giudaica.In queste riunioni e banchetti Isidoro era il capo, salutato con vari nomi (sumposiarckhos, klinarches, taracsipolis) ed era obbedito da tutti quelli che facevano quanto egli ordinasse.Isidoro era personaggio compromesso con il governatore, che aveva organizzato perfino le accuse allo stesso Flacco da parte degli spalmatori degli atleti e degli addetti alle pulizie probabilmente in combutta con Lampone.Isidoro, che inizialmente era in una qualche considerazione, vistosi non più stimato, si era messo in contrapposizione .Perciò assoldò uomini che ungevano gli atleti e che facevano i banditori e li convocò al ginnasio, avuta l autorizzazione di Lampone, facendo riferimento ad Elicone, fece accusare variamente il governatore.Mi sembra che questa operazione sia gestita dagli agitatori popolari ma in effetti sia concordata col prefetto, che così viene discolpato pubblicamente dell eccidio giudaico: certamente il prefetto garantisce loro l incolumità in qualche modo e li paga per l ulteriore servizio.Flacco, però, forse non sapeva che questi erano al soldo di altri, come Elicone e Pallante (Dione Cassio, St.,LX,30,6b), che sapevano che la sorte di Flacco ormai era segnata.Il governatore, allora, saputo che la città era sdegnata e che mal sopportava che il nome di Alessandria fosse disonorato, convocò i magistrati cittadini e tutto il popolo.Vennero i capi (tra questi l élite giudaica) ed anche tutta la cittadinanza greca, meno quella che doveva essere inquisita per i tafferugli, i latrocini , le distruzioni, le stragi giudaiche.Flacco fece disporre su tribune tutti i provocatori e quelli che avevano fatto la protesta contro di lui in modo che fossero ben visti,Interrogati davanti a tutti; ed essii confessarono che l autore di ogni cosa era stato Isidoro, che li aveva assoldati.Dopo che Isidoro fu riconosciuto colpevole si discusse sulle proposte fatte contro di lui o di privazione dei diritti civili o di esilio o di morte: all unanimità Isidoro fu condannato a morte.Egli però si sottrasse all arresto con la fuga e Flacco lo lasciò andare convinto che così non ci sarebbero stati in città lotte e sedizioni.Quando Flacco, poi, viene arrestato e portato a Roma davanti all imperatore, ha come accusatori proprio Lampone ed Isidoro: le loro accuse erano ininfluenti alla già premeditata condanna che Caligola aveva inflitto al suo nemico, delatore della sua famiglia.Filone può allora di nuovo vedere il disegno divino rilevando la nuova peripeteia: due sudditi accusatori del loro prefetto, due servi contro il padrone.Lo scrittore giudeo è veramente un interprete, un ermeneuta che legge sempre oltre la lettera e vede come in Dio tutto si armonizzi e che il piano provvidenziale si compie inesorabilmente.L eccidio di Alessandria, voluto da Flacco, che aveva sfruttato i caporioni greco- alessandrini, divulgato dalla fama portata dai marinai e dai trapezitai, dalle navi alessandrine, accese un incendio in tutto il Mediterraneo, sia in Occidente che in Oriente.Isidoro era stato l untorello manovrato dal governatore che credendo di salvarsi facendo la volontà di Caligola, anticipatamente, e dando all opinione pubblica il capro espiatorio, sperava in una totale assoluzione per i servizi allo stato.I giudei, oltre alle perdite umane, erano rovinati nelle attività finanziarie e bancarie e nel commercio; la loro secolare tendenza ad isolarsi e separarsi non era bastata ad Alessandria a quella pars giudaica, zelante di fede.I giudei della medio-bassa borghesia cittadina pagarono anche per quei fratelli che erano invidiati, data la loro immensa ricchezza, dai greci alessandrini, che volevano equiparare i loro diritti e le loro forze con l etnia giudaica predominante in Alessandria, inattaccabile perché ellenizzata, romanizzata, probabilmente spregiudicata ed atea come i sadducei.I giudei credenti e zelanti di fede, non potendo partecipare alla vita delle sette dionisiache, orgiastiche, per espressa proibizione della legge, guardavano con sospetto e con apprensione ogni riunione e festa, da cui normalmente derivavano guai per loro che necessariamente erano guardinghi e sempre in uno stato di allerta.Nel 38 d.C. troppe forze concorrevano al loro male, non solo un governatore indiziato o in procinto di essere accusato dall imperatore stesso.Inoltre nel periodo seianeo (dal 23 d.C. al 18 ottobre 31 d.C. ) essi erano memori delle persecuzioni subite sotto Vitrasio Pollione, che aveva vietato di riunirsi in sinagoga e di fare proselitismo e proibito di santificare il sabato (Filone, de Somniis, II,123 ss).Perciò essendo permesse le riunioni alle altre etnie e vietate le loro, i giudei giudicavano moralisticamente le loro riunioni sante e quelle degli altri empie: una scarsa soddisfazione!Al di là dell impostazione moralistica filoniana, nell estate 38 (dalla morte di Drusilla alla festa delle sukkoth, inizio dell autunno) Flacco e i tre caporioni determinarono la strage dei giudei, propagandando nel mondo romano l antisemitismo e creando focolai di disordini e lotte cittadine in ogni città dell impero, che perdureranno anche con maggiore consistenza per tutto il regno di Caligola e che avrebbero dovuto avere come soluzione definitiva o l eccidio o la deportazione di tutti i giudei di Palestina.Per me c è sotto questi avvenimenti alessandrini qualcosa altro, un evento che si era verificato sotto Pilato e che aveva prodotto uno scompenso in tutto il mondo della diaspora: un giudeo prima di tutto ha come patria Gerusalemme e poi la città in cui è nato e vive, guarda e segue quanto avviene nella Città santa.La sconfitta dei nazirei e la crocifissione del loro capo avevano diffuso in tutto l ecumene l odio contro Roma anche dopo la pacificazione e l elezione di Giulio Erode Agrippa a re.Alessandria, la città con maggior numero di Giudei, con due diverse situazioni giuridiche è la prima a pagare, nonostante il formale atto di ossequio e nonostante la filoromanità della classe dirigente alessandrina giudaica.La morte di Caligola e l avvento al trono di Claudio riporteranno la concordia nel mondo romano e il ripristino dello statuto augusteo in Alessandria dopo il decreto imperiale all inizio del nuovo principato, conosciuto come lettera di Claudio agli alessandrini (Ant. Giud., XIX,278-291, Pap. Lond. 1912, in CPG- corpus papirorum iudaicorum-pubblicato da V.A Tcherikover, Arvad University Press I.1937).Se si legge attentamente la lettera di Claudio agli alessandrini si capirà che Claudio vuole chiudere gli occhi sui responsabili ed invita gli alessandrini nella loro totalità, greci, egizi ed ebrei (ortodossi e scismatici, di costituzione giudaico-egizia e greco-giudaica) alla omonoia (concordia) come se inviasse un monito ai greci alessandrini al fine di far loro rispettare la tradizione ebraica secondo il decreto di Augusto da lui confermato .In effetti, egli, pur riconfermando lo status giudaico precedente, dopo aver valutato i fatti e deciso in modo inappellabile il suo verdetto sulle due parti contendenti da lui ascoltate,restringe e limita il decreto augusteo.Infatti Claudio impone agli ebrei un divieto, quello di ellenizein ( di ellenizzarsi, cioè di diventare greci,di frequentare il ginnasio, di partecipare agli agoni presieduti dai gimnasiarchi) in quanto già godono di un loro politeuma e non devono andare oltre i loro diritti , che sono eccessivi, in quanto vivono in una città altrui (en allotria polei)Infine Claudio impone, temendo che in Alessandria aumenti la popolazione giudaica, che finisca l immigrazione proveniente dalla Palestina o da altre parti di Egitto.La conclusione è minacciosa: se gli ebrei non faranno così , li perseguiterò con ogni mezzo come propagatori di una malattia comune a tutto il mondo abitatoCosì ordina Claudio, amico e fratello di latte di Giulio Erode Agrippa, suo patrono ed elettore nei giorni successivi alla morte di Caligola, amico dell alabarca Alessandro, sommo sacerdote scismatico di Leontopoli, fidato procuratore dei suoi beni e di quelli di sua madre, forse il capo trapezita di Pallante, suo ministro .
Pazzesco Dizionario ragionato dell’italiano esagerato
Pressato da amici, mi sono sorbito, alla Palazzina Azzurra, come digestivo, per quasi un’ora, la presentazione di Pazzesco, un saggio linguistico- letterario, di Luca Mastrantonio e poi la premiazione dell’editor Jacopo De Michelis, insieme ad uno sparuto gruppo di uditori, disattenti.
Continua la lettura di Pazzesco di Luca Mastrantonio
Paradosis ( consegna) e l’endeicsis (denuncia) di Gesù Cristo
Dalle notizie evangeliche risulta che Gesù vive una vita misteriosa e nascosta fino a trenta anni e che, poi, si rivela facendo uno o più viaggi a Gerusalemme, dove, dopo denuncia e consegna ad opera del clero giudaico all autorità romana, viene ucciso.Viene celata (sembra) la regalità, una notizia, volutamente nascosta, sulla vita di Gesù, una figura di uomo, che non è descritta in modo completo, in quanto coloro che scrivono in epoca flavia, a distanza di oltre quaranta anni, hanno interesse solo a rendere saldo un culto e riti, già consolidati dalla pratica, e lasciano senza luce storica i fatti riguardanti il fondatore, che assume valore maggiore, proprio dall’ambiguità, dall’equivoco, dal muthos.Comunque, gli scrittori lasciano dei segni storici palesi perché non possono tralasciare due elementi della storia, che erano rimasti impressi nella collettività giudaica sia aramaica che ellenistica: il crimen contro l’impero romano del Messia e la paradosis con l’endeicsis all’autorità romana, da parte dei capi di Gerusalemme.
Nostro intento, Marco, è quello di far emergere la regalità, da una parte, mediante queste due verità celate, esaminate come risultanze evangeliche storiche e, da un’altra, rilevare l’impostazione dei vangeli canonici, all’ atto della scrittura, con il Kerugma con la predicazione della morte e resurrezione, congiunta con la giustizia del governo romano e con la perfidia giudaica: noi siamo interessati solo dalla falsificazione dei termini, non da scrupolo religioso.Noi cerchiamo di studiare i termini, che hanno diverso valore nell’epoca dei fatti, rispetto a quella dell’epoca di scrittura evangelica: insomma diciamo che c’è stata falsificazione, pur se si lascia intatto (o quasi) il segno linguistico come significante, che, però, è stato rivestito con referenze nuove, attuali, di un significato aggiuntivo, tipico di un altro tempo, rispetto a quello storico di accadimento.
Professore, essendo caduti gli ideali del precedente periodo, cambiati i valori di un malkuth (regno), conclusosi tragicamente, divenuto esemplare e per aramaici e per ellenisti, a seconda delle diverse letture interpretative, la missione stessa degli apostoloi (inviati), che ebbero il mandato di seguitare il compito, fu cambiata?
Certo tutto cambiò: non più la predicazione del messaggio di un prossimo regno, ormai impossibile ed irrealizzabile, ma di un‘attesa escatologica ed apocalittica di un regno messianico, predicato da un Gesù–dio, divenuto redentore del mondo e modello di humanitas. Su questa base, secondo la lettura paolina, i discepoli degli apostoloi distaccarono la sostanza del pensiero dalla storia e dalla vicenda reale e predicarono la morte e la resurrezione del Christòs insomma,passarono dal piano militare, ormai finito, al piano spirituale e morale, trasformando lo zelotismo in pratica religiosa con il Kerugma, separandosi dal giudaismo aramaico e perfino da quello ellenistico, occidentalizzandosi e romanizzandosi.
Ma per far questo ci vuole tempo, molto tempo, professore?
Questo è un processo lungo, che dura dall’ epoca flavia a quella antonina, mentre infuria ancora la lotta contro la romanitas in senso aramaico, che condurrà, dopo altre peripezie, dolorose, alla Galuth (all’esilio, alla cacciata, all espulsione dall’ impero), dopo la fine, tragica anch’ essa, dell’impresa di Simone Bar Kokba (134-35) .
Allora, professore, Il vangelo di Marco comporta una volontà di segretare fatti palesi, il preciso skopos di essere contraddittorio nel proclamare lo scandalo della croce con la rivelazione del Christòs, nel fare la volontà di Dio, che esige adesione di fede e sottomissione al mistero, sulla base del modello di Jesous Christos Kurios, re unto, ma vissuto, per suo volere, nel nascondimento, in modo umile, considerato come un romanizzato, trinome, espressione del nomos empsuchos (Legge vivente), legge scritta e non scritta?.
Certo. Il pensiero di Marco, autore popolare, levita, piccolo sacerdotale, di cultura aramaica, immaginoso, puerile, dal linguaggio elementare e dalla forma paratattica, propria di un non ellenizzato (o di uno appena alfabetizzato, che ha appreso i primi rudimenti della koiné), dissociato culturalmente e dai giudei ellenisti e dagli aramaici puri, è semplice: proclamare il Christos ucciso dai suoi stessi connazionali, secondo il dettato paolino ( la morte e resurrezione del Signore e lo scandalo della Croce).
La semplicità di Marco ha, però, professore, efficacia per l’immediatezza del racconto, per la stupefatta partecipazione, per l’adesione ai miracoli e alla divinizzazione del Christos ed attira il lettore proprio perché riduce tutto a narrazione apparente, senza meditazioni e senza polemiche?
Certo. L’evangelista è parabolicamente entusiastico, fedele, miticamente persuaso di avere la verità esemplata più nelle azioni, che diventano agrafa, parole non scritte, nuovo nomos, quasi un altro codice rispetto al nomos mosaico, un sistema paradossale teorico-pratico cristiano, da dare ai fedeli pagani e giudeo-cristiani, romani ed occidentali (modellato paradigmaticamente sul bios, mitico, di Abramo di Filone), basato sull esempio vivente di Jesous.Noi propendiamo nella individuazione dell’evangelista Marco per quel Giovanni Marco (Atti degli Apostoli, 12,12-25; 15,37), chiamato anche Giovanni (Ibidem,13,5-13) o Marco (15,39), conosciuto anche perché collaboratore di Paolo, da cui si separò (Ibidem, 15,36-39) per qualche tempo, per, poi, esserne di nuovo compagno a Roma ( Paolo, Col.,4,10; Filemone,24,9 e 2 Tim. 4,11) e come discepolo di Pietro, da cui è trattato familiarmente , e filiarmente (I Pietro, 5,13) .Siamo d’accordo con la tradizione di Eusebio, che, riprendendo Papia, vescovo di Ierapoli, (Storia Eccl.,III,39,15) dice che fu interprete di Pietro e che scrisse con esattezza, ma senza ordine, tutto ciò che ricordava delle parole e delle azioni del Signore.Egli, secondo la testimonianza di Papia, non ci ingannò scrivendo quanto ricordava in relazione alla lezione di Pietro, che insegnava, adattandosi ai vari bisogni degli uditori, e non si curava di dare una composizione ordinata delle parole del signore (logia) .Anche Ireneo (Adversus Haereses, III.1,1) e Tertulliano (Adversus Marcionem, 4,5) e Clemente Alessandrino (Strom., 1) riportano che Marco scrisse come discepolo di Pietro.
Perciò Marco sottende,professore, da una parte, il pensiero petrino attualizzante, e da un’altra, quello paolino presentandosi come genuino e popolare nell’ inizio di ogni periodo con Kai euthus ( e subito) , scrivendo per latini a cui spiega il greco (non per nulla ci sono latinismi 12,42: la vedova gettò due lepta o estin ekodràntes/quadrante; e i soldati condussero Gesù nel cortile; eso tes aules, o estin praitorion/pretorio 15,16) o servendosi dell’aramaico, sua lingua naturale , dopo averlo tradotto in greco. Il gar di Marco – con cui si chiude il suo testo inconcluso ripetuto, stucchevolmente , secondo il parlato aramaico asindetico, deittico e ripetitivo, palese nei Talmudim, non solo ha valore di spiegazione dei fatti e dei detti al posto di una congiunzione dichiarativa, ma ha funzione di rendere l’affermazione personale conclusiva e sentenziale?.
E questo il metodo dell evangelista.Yohanan Marco, se è lui lo scrittore del tipo di Shimon Pietro, Shaul Paolo, Levi Matteo, Iosip Flavio, uomini di cultura mista, la cui convinzione apparentemente semplicistica è meditata ed è data in relazione all’utenza, si avvale,comunque, del contributo di uomini di mestiere, di grammatici e retori, scaltriti nell’ uso dei termini e quindi di un’area letteraria flavia, connessa con quella dello storico (cfr. Commento al I libro di Antichità Giudaiche, www.angelofilipponi.com).
Inoltre, Marco forse è il kolobodaktulos, cioè il levita e sacerdote del tempio, che non volle servire e perciò si mutilò il pollice: è un uomo di parte e, quindi, capace di compiere azioni estreme, pur di salvaguardare il proprio pensiero e la propria fede; potrebbe essere un estremista, come Origene, che si autoevirò per essere tra i primi del Regno del Signore. Marco conosce quasi certamente La guerra giudaica di Giuseppe Flavio(VII,2,2) : non può essere un caso che ripeta leukous endiduske khitoniskous kai porphuran emperonesamenos khlamida (si avvolse in tunichette bianche e fermatovi sopra un mantelletto di porpora): egli adatta, aggiusta e contamina la cattura di Gesù con quella di Simone di Ghiora capo dei rivoluzionari insieme a Giovanni di Giscala. Marco conosce anche il gioco alessandrino di Karabas, descritto da Filone in In Flaccum come parodia della regalità giudaica da parte greco-romana.Marco è per noi acrimonioso nei confronti del confratelli giudaici aramaici, dai quali forse diverge per la strategia militaristica (12,10-11; 13 1-37; 14,57-72.) e perciò, dopo la distruzione del tempio ha possibilità di schierarsi in senso cristiano, libero dai giuramenti, e perfino da quegli ellenisti, specie alessandrini, che credevano solo nel vangelo di Giovanni Battista e nel suo battesimo.
Matteo, professore, ha altra cultura ed altra impostazione, quella teologica, filoniana, con riflessione biblica, comune anche a Marco, che è segnata nel Vangelo greco, ma doveva essere stato diverso in quella sua scrittura aramaica dei logia, ricordati di Papia nell’opera Esposizione dei discorsi del Signore pubblicata nel 110 d.C. ( Eusebio St. Eccl. III,38,16), da cui sorsero poi i vangeli cristiani.?
Levi Matthaios, era, Marco, un altro ellenista, un ellenizzato, tachigrafo, pubblicano, telones, che scrisse in dialetto ebraico-aramaico coordinando i logia (oracoli) del signore : ciascuno poi li interpretò come poté.Il termine logia sia per Filone ( in Vita di Mosé -specie nel III libro- è ricorrente logion) che per gli Atti (7,38 ) ha valore profetico mosaico e quindi connesso con la Torah, come oracolo legato alla legge di Mosè, non esterno alla legge, non nuovo, ma come forse commento scritto alla presenza del rab- maran, rimasto così fino a dopo il 70, in cui Marco e Matteo stesso, in una nuova situazione storica, aggiungono elementi e fatti, in relazione alle parole che, comunque, cambiano di significato.Il Kerugma matthaico, predicato per i connazionali aramaici e poi anche per i giudei ellenisti (Ireneo, Adv. Haer, III,1,1; Eusebio St.Eccl., III,24,6 , Clemente Alessandrino, Paedagogos, II,1,36 ) dopo viaggi apostolici in Ponto, Persia e forse India (dove Panteno alla fine del II secolo ritrovò i Logia originali) non è quello di Marco: è un contenuto, già predisposto in relazione alle lettere di Paolo e a tutto l’annuncio evangelico, secondo il canone, veterotestamentario, dei Settanta, già interpretato da Filone, secondo Sapienza e profeti, e secondo quello neotestamentario, esclusi Giovanni e Giacomo.Certamente i logia, nel testo matteano attuale, hanno grande rilievo e rivelano il Regno dei cieli quello zelotico, originario, ma essi hanno ben sotteso il regno messianico, a cui ogni uomo è chiamato a partecipare, inteso poi come Regno di Dio, secondo interpretazione sovrumana e celeste, distinto dal Regnum romano: essi infatti occupano i tre quinti del bios, mentre fatti e miracoli (2/5) fanno da contorno e a volte da spiegazione concreta all anima, costituita dai discorsi (5-7; 10;13; 18; 23-25;9) infarciti di salmi, di detti sapienziali, di oracoli dei profeti e specie di Isaia, (53) al fine della dimostrazione della necessarietà del patire del Christos non più re, ma uomo sofferente, agnello condotto al macello.L’autore, chiaramente ebraico, parla dei pubblicani, di farisei, e di tutte le caste sacerdotali, parla della casa ebraica, di città santa, di luogo santo, conosce usi, tradizioni, parole gergali e soprattutto collega la torah con la predicazione del Vangelo, cioè, mentre annuncia la venuta del Messia, figlio di David, rileva le varie predizioni, tramite la lettura dei profeti, ne mostra le ragioni per cui giustamente Gesù sia l’atteso, anche se rifiutato dai confratelli.Soprattutto i logia parlano espressamente di Il Regno dei Cieli, intendendo, però, non il Malkuth ha shamaim, cancellato, come pensiero, dopo la distruzione del tempio, ma il regno messianico, a cui ogni uomo deve partecipare, ed afferma la davidità del Messia , attraverso la Genealogia (I,2,16) dimostrando come il Christos compia le profezie, dando il via alla interpretazione del cristianesimo, come compimento e completamento dell’ebraismo, creando le basi per il Nuovo Testamento come punto di arrivo del Vecchio testamento il logion matthaico dell ultima cena e specie quello del sangue versato per molti risulta un aggiunta successiva quando al suo significato si dava l idea di universalità in relazione al pensiero di Paolo che trasforma il calice dell alleanza in un calice di nuova forma di alleanza (1 Cor. 11,25; 1 Corinti 10,16; col. 1,20; Ef.1,7 Rom.3,25 Ebr 5,13-20;10,19;12,14;13,12). D altra parte il testo di Marco 14,24 (touto estin to aima mou ths diathhkhs to ekkhuvvoimenon peri polloon ben connesso con Mt 26,26-29; Lc.22,15-20) non ha uper ton pantoon per (a favore di) tutti (pro omnibus) in quanto il sangue versato è per molti (Pro multis) e per voi (pro vobis) amici e discepoli.
Allora, professore, Gesù, che si sacrifica per i suoi, al fine di evitare la distruzione della città assediata, è un martus giudaico, come poi lo sarà Shimon bar Kokba col suo rabbi Aqiva (cfr Martire giudaico, Temi?.
Certo.Anche Origene in Principi tende a dare l idea di universalità al sacrificio di Gesù, martus. La sua consegna ai Romani invece ebbe un altro valore quello di risparmiare il saccheggio della città e quindi di salvare il salvabile: specie i discepoli che, consegnandolo, si sarebbero potuti salvare Egli, infatti, usa le espressioni: tutto questo avvenne affinché si adempisse ; così si adempì (1,22; 2.15; 2.17-23 ; 4.14 ed altrove): sua la colpa (o chi per lui rivide i suoi scritti, in seguito) di aver dimostrato la perfidia giudaica, di quei confratelli che osteggiarono il Cristo non volendolo riconoscere e nonostante i segni palesi, lo perseguitarono e lo uccisero, dopo averlo proclamato re.Da qui non solo deriva l’endeicksis con la paradosis di Gesù ai romani, ma anche e soprattutto la condanna ebraica alla reità della uccisione di un uomo-dio (27,25 Il popolo tutto quanto rispose: il sangue suo su di noi e sui nostri figli) e quasi l’assoluzione a Pilato, che si lava le mani dicendosi innocente del sangue di questo giusto ed ammonendo il popolo Ve la vedrete voi! Insomma, Matteo ha la colpa della secolare ed ingiusta persecuzione cristiana agli ebrei e della assoluzione dell’impero romano: ha rovesciato la storia, romanizzandola, grecizzandola, paganizzandola, da telones!
E Luca?,professore
Luca, invece, scrisse il vangelo per i pagani convertiti, in Acaia e Macedonia col proposito di contrapporre per i fedeli greci, la verità alle favole degli eretici, (Ireneo, Adversus Haer., III,1,1; Tertulliano, Adversus Marcionem IV,5 ; Origene, In Lucam Hom.1 ; Eusebio, St. eccl. II,4,4-6). Tutti, più o meno, convengono nelle stesse notizie, confermate anche dal Canone muratoniano e dal Prologo antimarcionita ambedue del primo decennio della seconda metà del II secolo.
Luca,professore fu siro antiocheno, un medico, compagno di Paolo, scrittore anche di Atti degli apostoli?.
Chiaramente il vangelo di Luca ha valore apologetico ed è paolino, come impostazione, in quanto ha cari i temi della giustificazione per fede e l’universalismo della salvezza (Cfr Qual è il sondergut di Luca e di Matteo ?).Senza prendere in considerazione il vangelo di Giovanni ,che è di epoca gnostica, e quindi lontano dai tempi Flavi, noi consideriamo solo le risultanze evangeliche sinottiche dei tre evangelisti, di cui abbiamo dato qualche indicazione.Perciò abbiamo diviso le risultanze di un lungo lavoro di esame in a. storiche e b. mitiche e poi ne abbiamo dimostrato la storicità e la miticità in opposizione anche alle varie teorie e alla formgeschichte e redaktiongeschichte .
Dai vangeli (Marco 14,15,16; Matteo 26,27,28, Luca \"1 22,23,24) si hanno le seguenti risultanze circa la figura di Gesù, un individuo conosciuto come Messia (Christos), del quale si cela un episodio caratterizzante, il regno, sul quale gira tutta la narrazione di un viaggio a Gerusalemme dalla Galilea, di cui si parla e per cui si parla.. I sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani, due giorni prima della Pasqua complottano contro Gesù al fine di prenderlo e di ucciderlo, dopo che ne hanno visto l’acclamazione regale da parte del popolo, la sua potenza, e la manifestazione autoritaria nel tempio.2.Essi trovano un suo discepolo, un certo Giuda Iscariota, disposto a tradirlo (Matteo 26,14-16; Luca 22,3-6;e Marco 14.10.11).
3. Gesù fu arrestato nell’orto dei Getsemani, fu legato e portato a casa dell’ex sommo sacerdote Anano, suocero dei Kaifas, sommo pontefice del momento.
Egli ebbe un processo sommario da alcuni membri del sinedrio la sera stessa; rispose alla domanda: Tu sei il Christos, figlio del benedetto? : io sono, aggiungendo una frase del salmo 110 (Mc 14,62 Mt. 25,65 Lc 22,69) vedrete il figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza e venire sulle nubi del cielo; gli inquisitori senza sentire altri testimoni, il mattino, lo giudicarono davanti al sinedrio riunito e poi, legato, lo consegnarono (paredokan) a Pilato, governatore di Giudea.Fu inquisito come re dei giudei da Pilato e fu beffeggiato dai soldati e poi condannato a morte e condotto alla crocifissione (insieme a molti dei suoi).Morì sulla croce di venerdì e fu sepolto in fretta e furia, comunque, con i dovuti onori funebri.Anche donne osservavano, da lontano, la crocifissione: Maria di Magdala, Maria madre di Gioseto e di Giacomo, e Salome.Il cadavere, regalato da Pilato a Giuseppe di Arimatea, euchemon bouleutes (un membro autorevole sinedriale), che ne aveva fatto richiesta, tratto già dalla croce, avvolto in un lenzuolo, fu deposto e messo in un sepolcro scavato nella roccia, al cui ingresso fu fatto rotolare un masso. Dai vangeli (stessi passi) si hanno altre risultanze di tipo concettuale non fattuale, collegate con l’episodio taciuto e con l’impostazione generale, delle tre opere congiunte, come se fossero state scritte per cucire insieme i dati mancanti e per dare sostanza ad un pensiero e ad un culto, già affermato nel corso di due generazioni, dopo la crocifissione del Messia, la cui figura viene necessariamente modificata, nei nuovi contesti:9 Il sepolcro, il giorno dopo il sabato, fu trovato vuoto.
Gesù fu visto come risorto.I suoi discepoli ebbero la missione di predicare (Kerugma) la morte e resurrezione del maestro.Egli fu assunto in cielo e si sedette alla destra di Dio.La comprensione del messaggio delle prime otto risultanze, a distanza di secoli, non è facile, come sembra, perché i riferimenti sono vaghi, perché si parla di un malkuth (basileia), già implicito in Meshiah (Christos) unto, cambiato da terreno a divino perché la generica paradosis (consegna) ed endeicsis (denuncia) di un giudeo, catturato e processato dal Sinedrio gerosolomitano, ad una autorità superiore, romana, che condanna alla morte per crocifissione, uno reo di un crimen, risultano strane in un ambiente, dominato dallo zelotismo, in uno stato di belligeranza permanente per quasi duecento anni.
La persona incriminata e la natura del crimen cambiano in relazione al contesto storico: il Gesù crocifisso con la triplice iscrizione del crimen sopra la croce in aramaico, greco e latino, è visto in modo diverso in quanto la lettura, all’epoca dei fatti, ha un altro valore, rispetto all’epoca della scrittura.
Ne consegue che la difficoltà è nel rilevare la precisa epoca dei fatti col crimen reale e con la reale figura del protagonista della storia, separata da quella interpretativa successiva: il come vissero la vicenda gli spettatori è una cosa, un’altra come la narrarono i discepoli di chi vide, dopo che il tempo aveva portato altre sofferenze, la distruzione e la fine del Tempio stesso e dopo che il patriottismo e l’integralismo erano stati vinti dalle armi romane e da Vespasiano e da Tito, che trionfarono sulla Ioudaea capta e costruirono il loro stesso principato su questa impresa.
Questo lavoro di ricostruzione deve essere essenzialmente storico perché il personaggio è storico, come la sua impresa, necessariamente lasciata da coloro, che hanno scritto, perché documento storico, a cui, però, hanno dato una alonatura e una sacrosantità, differente, in relazione al culto e ai riti ormai esistenti in epoca flavia, nell’accettazione, ora necessaria, dell’auctoritas imperiale della nuova dinastia, che traeva proprio dall’impresa giudaica la sua fortuna.
Perciò, noi operiamo, dapprima, nella fase storica e poi cerchiamo di leggere i testi evangelici dopo aver capito la storia, come era stata celebrata nella tradizione giudaica, come toledoth, in relazione al contesto giudaico palestinese aramaico e a quello ellenistico greco, in un momento giulio-claudio, specifico del regno di Tiberio, riguardante il periodo 32-36, dilatato poi fino alla fine del Regno di Giulio Erode Agrippa (agosto 44): infatti il lavoro è nella definizione dei fatti del crimen e della morte di Gesù, nella Pasqua del 36.
Tutto questo è da ritenersi parte integrante della storia ebraica e quindi di una vicenda realmente accaduta nel 36 al momento dei fatti avvenuti, registrati dalla toledot giudaica e da quella romana ed ellenistica (esemplare in tale senso è Flavio, storia giudaica, IV,4 discorso di Anano e di Gesù di Gamala, fatto molti anni dopo, – che mostrano i sadducei che convincono il popolo, in un momento di grave crisi, a consegnare gli zeloti, per salvare la comunità).
La comprensione del messaggio delle altre quattro risultanze è ancora più complessa perché alla morte accertata, dopo l‘episodio del buon ladrone, si fa seguire il ritrovamento del sepolcro vuoto dell’incontro di discepoli con un Gesù risorto, che conferisce la missione di predicare la sua morte e la sua resurrezione ad opera di Dio, prima di salire al cielo e di assidersi alla destra del Padre.
Questa parte appartiene ad un’altra tradizione, formatasi al momento della scrittura dei Vangeli, che noi già in altra sede abbiamo considerato scritti tra il 74 e 94 fra le due opere maggiori di Giuseppe Flavio, Storia Giudaica ed Antichità Giudaiche (Cfr prefazione a Giudaismo e Romano e al I libro di Antichità giudaiche www.angelofilipponi.com).
Queste altre notizie non sono dati storici ma aggiunte, interpretazioni, ricostruzioni tipiche di discepoli, che hanno mitizzato la storia della morte ed hanno apportato modifiche a figure esistite, trasformate ai fini di una maggiore credibilità del messaggio, in un nuovo contesto, a seguito di avvenimenti epocali, la distruzione del tempio e il trionfo flavio sulla Ioudaea capta.
I problemi, che ostacolano la comprensione di queste due parti e dei loro complessi enunciati, da noi così schematicamente sintetizzati, riguardano in una prima fase di lettura delle prime risultanze, la figura dell’ inquisito e degli inquisitori giudaici, quella del governatore romano, il luogo e il tempo, in cui avvenne la consegna, dopo la denuncia, da parte di ebrei, di un ebreo, chiamato Mashiah–Christos, a Pilato.
Se ricreiamo , Marco, la situazione reale, a partire dal punto situazionale dell’arresto di Gesù, dopo aver mostrato precisamente la Pasqua di un determinato anno, forse la lettura dei fatti e dei personaggi coinvolti, può essere più piana e facile.
Proviamoci , professore, io ascolto.
Da storici propendiamo- tu ben lo sai- per la Pasqua del 36, come anno di morte di Jehoshua, e per gli avvenimenti di quell’anno seguiamo lo storico giudaico Giuseppe Flavio (cfr.Vita, opera e pensiero in I libro Antichità Giudaiche www.angelofilipponi.com).
Secondo Flavio (Ant. Giud., XVIII, 90) Lucio Vitellio venne in Giudea, salì a Gerusalemme, dove si celebrava la festa della Pasqua.
Vitellio fu ricevuto fastosamente (megaloprepoos) in modo magnifico: mai nessun governatore di Siria veniva accolto con onori a Gerusalemme, solo Augusto e Vipsanio Agrippa avevano avuto onori da Erode il Grande, non dalla popolazione: Gerusalemme era vietata ad ogni occhio profano, il suolo sacro della città non doveva essere calpestato da piedi stranieri, da uomini non circoncisi, specie nell ‘area del tempio: su ogni porta minacciosa e solenne una iscrizione vietava l’ingresso nel vestibolo stesso: Medena allogene eisporeuesthai entòs tou peri to ieron truphaktou kai peribolu, os d’an lephthè, eauto aitios estai dià to ecsakolouthein thanaton/nessun straniero varchi la transenna di recinzione del tempio. Chi verrà preso, sarà responsabile per se stesso della morte, che ne seguirà. Flavio St. Giud, VI,124 e Cfr. E.J. BICKERMAN, The Warning Inscription of Herod’s Temple, \" J.Q. R.” XXXVII,1946-7).
Qui, invece, veniva condotto in processione Lucio Vitellio, dopo che fu scortato per oltre 30 stadi (mt. 5.550), con tutti gli onori come un vincitore, clemente: una simile accoglienza per un romano non c’era mai stata!
Megaloprepoos sottende l’idea di una folla festante che stende mantelli e rami di alberi, tagliati, per la via, e che canta salmi (cfr Mt., 21,1-9; Mc., 11,1-11; Lc.,19,29-38).
Vitellio ridusse del tutto le tasse dei prodotti agricoli a quelli, che abitavano intorno alla città e, soprattutto, concesse che fosse tenuta dai sacerdoti la stola e gli altri ornamenti sacerdotali, custoditi nella Torre Antonia, che era sopra il tempio.
Flavio è costretto a fare la storia della stola, ripartendo da Hircano II (che, poco prima del 63 a.C., aveva costruito una stanza per passare direttamente nel Tempio, già ornato, degli abiti sacerdotali),fino ad Erode.
Flavio aggiunge che nel frattempo Tiberio aveva ordinato a Vitellio di fare un trattato con Artabano, che aveva preso l’Armenia, e che lo aveva autorizzato ad avanzare ed osare di più, ma gli imponeva di non firmare il trattato, se non prima di aver ricevuto il figlio in ostaggio (Svetonio, Tiberio,4,1; Tacito Annales, VI,27; Flavio, Ant.Giud. XVIII, 88-126; Dione Cassio, St.Rom., LVIII,2).
Dalla notizia di Flavio si evince che Tiberio esige dal legatus una penetrazione offensiva al fine di imporre un trattato al re dei re, capo della federazione parthica.
E’ chiaro che l’imperatore vuole il ripristino dello status quo dopo aver spaventato il nemico con la potenza delle armi romane e che, dopo aver piegato Artabano, ci siano anche atti di formale omaggio all’auctoritas imperiale, da parte delle popolazioni limitrofe ciseufrasiche, che avevano tradito.
E’plausibile, dunque, ritenere che Vitellio doveva avere segni di filoromanità da parte del sinedrio gerosolomitano, dominato dai sadducei filoromani: la consegna del messia è l’atto dovuto di filoromani che, come segno tangibile di pacificazione e di amnistia, ebbero la riconsegna della stola con tutte le vesti sacerdotali, custodite nella torre Antonia, dove di nuovo veniva imposta una guarnigione romana di 600 uomini.
L’impresa di Vitellio aveva determinato l’entrata in Gerusalemme, che era stata un’azione romana antiebraica per ripristinare l’ordine nella città santa, turbato precedentemente.
L’entrata in Gerusalemme, pacifica, festosa aveva prodotto un nuovo orientamento del sacerdozio sulla scia della politica di Erode il Grande, che aveva potenziato l’edificio di Hircano II, adibito come camera per il rivestimento del sommo sacerdote, in una torre di sorveglianza sovrastante il tempio, con guarnigione romana, che aveva in sua mano l ‘arredo sacerdotale.
Erode aveva fatto costruire la fortezza Antonia perché temeva il popolo e le sue sedizioni, come d’altra parte, i sacerdoti filoromani che, anche loro, avevano paura della sedizione popolare, specie in occasione delle feste, in cui a Gerusalemme convenivano da ogni parte dell’ecumene romano e da quello partico, famiglie giudaiche, zelanti di fede ed integraliste, miste ad altre moderate, che però, venivano coinvolte, accese e condizionate dalla presenza armata romana, proprio sopra al Tempio.
Non per nulla Flavio volendo spiegare il motivo della riconsegna della stola, mostra la funzione della torre Antonia, quella di prevenire che il popolo non faccia stasis,( novitas secondo i latini), neoterismòs per i greci.
Flavio insiste per spiegare che Vitellio dà ordine al phrourarchos (il comandante della fortezza phrourion) di non ingerirsi nelle questioni religiose e quindi sulle modalità di uso, sui tempi di utilizzo della stola, sottendendo che c’è stato il ripristino del corpo di guardia, probabilmente ucciso e quindi assente per un periodo: a noi sembra che un nuovo epitropos dà un nuovo mandato ad un nuovo comandante e quindi instaura un nuovo clima di collaborazione con il sommo sacerdozio.
Flavio parlando di cose (fortezza) e di persone ormai non più esistenti, a persone che neanche sanno gli avvenimenti e neppure conoscono le tradizioni patrie, ormai finite, ha bisogno di precisare e di chiarire: per questo, da uomo di famiglia sacerdotale, fa la storia della stola e delle sue vicissitudini, convinto di fare la storia del sacerdozio giudaico e quindi dell’élite giudaica, scomparsa con la fine del tempio.
Nel tempo, sembra dire Flavio, in cui Vitellio entra in Gerusalemme, Tiberio ordina di fare guerra ad Artabano: de kai per noi diventano centrali per la nostra indagine. De kai hanno valore continuativo e quindi conclusivo, oppure esplicativo e rinforzativo se usati insieme per determinare un’idea precedentemente espressa o sottintesa, in forma ricapitolativa e, perciò, assumono significato di frattempo, inoltre, infine, dunque.
Noi diamo valore di frattempo in quanto leggiamo che già Vitellio aveva fatto qualcosa prima di quella azione in Gerusalemme, cioè il trattato sul ponte dell’Eufrate, conosciuto come Zeugma (che è quasi un isolotto dove erano i piloni portanti centrali del ponte –gephura-), da noi datato nella seconda metà di marzo del 36, considerato anteriore alla sua entrata nella città santa, arresasi prima della Pasqua, tardiva quell’anno (metà aprile). E’ probabile che, mentre Vitellio era sull’Eufrate, un suo legatus, avendo circondato Gerusalemme, ne abbia chiesto la resa, ottenuta al momento dell’arrivo del governatore di Siria in città.
Noi, seguendo anche Tacito, che ricapitola quae duabus aestatibus gesta coniunxi (Annales,VI, 38.1) l’impresa di Lucio Vitellio (Ibidem, 31-38), riteniamo che lo storico voglia sintetizzare, da una parte, quanto fatto da Vitellio secondo il mandato di Tiberio, che gli aveva ordinato di fare guerra ad Artabano e ad Areta e di ripristinare tutta quella zona in una volontà di ristabilire lo status quo armeno, turbato da Monobazo e da Izate, alleati di Artabano, e di ripristinare l’ordine in Ioudaea turbato da anni.
Forse Tacito nel fare il riassunto dipende proprio dai Commentarii di Lucio Vitellio che naturalmente sono scomparsi e di loro circola solo qualche notizia.
De kai, quindi, ha valore riassuntivo rispetto all’azione di conquista di Gerusalemme, forse ultimo atto di un’operazione di repressione e di ripristinamento giudaico costituzionale: per noi, infatti, si tratta di una entrata da vincitore da parte del procuratore di Siria, dopo che il sinedrio ha accolto un ultimatum di resa, secondo l’aut aut romano o consegna del capo della stasis (rivoluzione) o distruzione della città.
Per meglio entrare in merito all’assedio e alla resa di Gerusalemme ricordiamo l’exemplum di Antigono, a cui si rifanno gli evangelisti, che conoscono la storia giudaica e sanno come i romani puniscono chi si proclama re o chi è proclamato re dai parthi e quindi non ha il riconoscimento del senato e dell’imperatore romano.
L’episodio di Antigono, figlio di Aristobulo II, nominato re da Pacoro, figlio di Orode II re dei re della Partia, chiarisce il tradimento giudaico della pars aristocratica e la spietata esecuzione romana come prassi nei confronti di un usurpatore, sorto da una sedizione.
Antigono nel 37 a.C.morì ad Antiochia, dopo che era stato eletto maran dai parti, che lo avevano insediato a Gerusalemme, a seguito di una grandiosa spedizione di conquista di tutta l’area siriaca ed asiatica, assegnata ad Antonio, dopo il secondo triumvirato e poi, dal trattato di Brindisi (da Scodra, Illirico, fino all’Eufrate cfr. Appiano Guerra civile, 5,65).
Tutta questa area era in subbuglio perché c’era stata la guerra civile tra i cesaricidi e i triumviri, che si era risolta con la vittoria di Filippi nel 42 (3-23 Ottobre): due grandi eserciti fratricidi rispettivamente di 17 legioni e di 19 legioni, per un complessivo di 200000 uomini, si erano affrontati con quattro comandanti prestigiosi, Cassio e Bruto da una parte ed Ottavio ed Antonio dall’altra.
La pacificazione, comunque, non c’era stata: infatti c’erano scontri tra gli uomini dei cesaridi in fuga, riuniti da Tito Quinto Labieno, che, inviato dal re dei parti a chiedere aiuto, lo aveva ottenuto tardivamente.
Orode II aveva ritenuto opportuno entrare in merito alla guerra fratricida, dopo Filippi, persuaso da Labieno-meirakion euerethiston kai anoias pleres/ragazzo pieno di inventiva e di pazzia (Strabone, XIV)-, ad invadere la regione asiatica e la Siria perché ormai i romani si erano massacrati a vicenda: egli inviò suo figlio Pacoro, giovane filelleno, conosciuto per la sua praotes e per la dikaiousune, alla conquista dell’ area siriaca e dando mandato a Labieno di occupare la provincia asiatica in quanto il sovrano rivendicava l’eredità seleucide ed ora approfittava della debolezza della repubblica romana dilacerata da guerre intestine, ancora dopo la sconfitta dei Cesaricidi.
Infatti Sesto Pompeo si opponeva ai triumviri con successo in Occidente, essendo padrone del Mediterraneo e i parthi, già vincitori dei romani e di Crasso nel 53 a.C. a Carre, ora avevano, grazie anche al tradimento di Labieno, fondate ragioni di riconquistare tutta l’area orientale (cfr. Appiano, Ibidem; Dione Cassio, St. Rom., XLVIII,39-41; e XLVIIII ,19-21; Plutarco, Antonio, 35-36-37) ed avevano fatto una grandiosa propaganda, attirando dalla propria parte i greci ed anche i giudei che, d’altra parte, erano per lingua aramaici come loro, presso cui, inoltre, era una numerosa colonia.
Pacoro, dunque, grazie all’aiuto del romano Labieno e del parto Barzafane (cfr. A FILIPPONI, Giudaismo romano, cit.) aveva condotto prigioniero Hircano II, sommo sacerdote ed etnarca della Giudea, asmoneo filoromano, a Babilonia e aveva dato la corona ad Antigono, che quindi fu riconosciuto maran legittimo, in quanto asmoneo, ma era illegittimo per i romani perché senza autorizzazione senatoria, perché eletto dal popolo: i romani avevano come collaboratori e soci la classe sacerdotale e quella aristocratica.
Labieno, dopo i primi successi su Decidio Saxa, si era proclamato Imperator particus, ma fu ucciso da Ventidio Basso, che lo aveva vinto sul monte Tauro.
E Pacoro, che era venuto in suo soccorso, fu sorpreso dalla tattica del legatus di Antonio, che ripristinò l’ordine in tutta la zona orientale, mandando in giro per le città la testa di Pacoro, amato per il suo ellenismo (Dione Cassio, Ibidem 20; Flavio Ant. Giud, XIV, 468-486), seguito anche da tutte le città asiatiche e siriache, considerato un liberatore dai popoli, soggetti ai romani.
Il senato romano aveva considerato Antigono re illegittimo ed aveva eletto al suo posto re Erode, figlio di Antipatro, un epitropos idumeo (messo da Cesare come garante militare, protettore di Hircano II), che era fuggito da Gerusalemme ed era andato da Cleopatra e, grazie a lei, era venuto a Roma, a chiedere aiuto ed assistenza, a seguito dell’impresa di Pacoro.
Il Senato, grazie ad Antonio e ad Ottaviano, ora riappacificati, aveva non solo fatto re un privato, passando sopra i diritti legittimi della dinastia asmonea, ma aveva dato ad Erode il mandato di assalire Gerusalemme insieme a Sossio, legatus di Antonio: questi con imprecisate truppe di fanteria, con 6000 cavalieri ed auxilia (truppe ausiliarie provenienti dalla Siria) avevano assediato la capitale della Giudea, mentre già tutte le città dell’ Asia e della Siria si erano arrese a Ventidio Basso, a cui avevano tributato onori come delegato di Antonio, in attesa del triumviro e delle sue volontà (cfr. A. FILIPPONI, Giudaismo romano, cit).
I giudei, popolari, assediati, si difesero cercando di impedire il vettovagliamento ai nemici e lottando con accanimento, ma i romani, dopo aver disposto tre linee di terrapieni e portato le macchine d’assedio, cominciarono a scavare sotterranei.
I Giudei, pur assediati, circondati da così grande esercito, angustiati dalla fame e dalla mancanza di necessario, in quanto correva proprio allora l’anno sabatico, pur fiduciosi in Dio, subirono la conquista della città: dapprima entrarono nelle mura 20 uomini scelti, poi le centurie di Sossio: il primo muro fu preso dopo 40 giorni, il secondo in quindici, alcuni portici intorno al tempio furono bruciati; poi, presa la Città bassa, i giudei si erano ritirati nel recinto interno del tempio e nella Città Alta. Alla caduta della città ci fu una grande strage: furono scannati a mucchi sulle strade nelle case e mentre cercavano rifugio nel tempio: non ci fu pietà né per bambini né per donne né per vecchi; allora Antigono, senza tener conto del suo antico stato né del presente, discese dalla torre Baris e si gettò ai piedi di Sossio, che lo schernì e lo chiamò Antigona e poi lo tenne prigioniero.
Erode al vedere il saccheggio, preoccupato perché i romani volevano entrare nel tempio per dare uno sguardo al tempio e alle cose sacre, ma in effetti per depredarlo, supplicò, pregò i capi romani di non fare una simile azione empia e costrinse gli altri con le armi e con le minacce ad allontanarsi dall’area sacra.
Fece poi capire a Sossio che se i romani avessero svuotato la città della sua ricchezza e dei suoi uomini, lo avrebbero lasciato re di un deserto e che egli avrebbe considerato anche la sovranità di tutta l’ecumene una ben misera ricompensa di fronte all’ eccidio di tanti cittadini.
Sossio, da romano avido, volle che Erode pagasse di persona, allora, il mancato saccheggio della città: Erode accettò e pagò di borsa sua, diede splendidi regali ai soldati, fece doni ancora più grandi agli ufficiali e al comandante regali grandiosi .
La città era stata presa 27 anni dopo il 63, anno della prima profanazione romana ad opera di Pompeo, sotto il consolato di Marco Agrippa e di Caninio Gallo, nella 185 Olipiade, nel 37 a.C.
Anche la morte di Antigono ha qualcosa in comune con quella di Christos: Antigono fu portato ad Antiochia, capitale della prefettura di Siria. Erode, temendo che Antigono potesse giustamente rivendicare davanti al senato la sua dignità regale, essendo l’ultimo asmoneo, legittimo re, seppure riconosciuto solo dai parthi, pagò Antonio perché lo uccidesse e cosi fu fatto finire dopo 126 anni il potere degli Asmonei. Antonio pensava di tenerlo fino al suo trionfo, ma quando capì che la nazione giudaica, era dominata dal popolo, che era favorevole ad Antigono e non ad Erode, decise di ucciderlo, facendogli tagliare la testa, non conoscendo altro mezzo per tenere buoni gli ebrei.
La notizia è confermata da Strabone, che mostra l’attaccamento della nazione ad Antigono e la volontà di mantenerlo nello stato regale e di non considerare affatto Erode, neanche a costo di fustigazioni (Flavio, Ant. Giud., XV,I,1-8).
Lo stesso storico in Storia Giudaica aggiunge che mai un re fu trattato così dai romani (I,18,2), cosa confermata da Plutarco (Antonio, 36,4 ) e da Dione Cassio (St.Rom, XLIX,22,6) che parla di uccisione, dopo che fu legato ad un palo e flagellato pubblicamente (emastigosen stauro prosdesas ), e riferisce quasi le stesse parole dello storico giudaico (o medeis Basileus upo ton Romaion epeponthei ibidem 8).
Grazie, professore, per avermi ricordato questi avvenimenti.
Marco, Abbiamo voluto ricordare questo antecedente perché ci sembra che gli evangelisti lo abbiamo tenuto presente all’atto della scrittura e perché tutto era iniziato dall’invasione dell ‘Armenia ad opera dei Parti.
Dopo la vicenda di Pacoro le popolazioni dell’Armenia erano state risucchiate nell’impero romano ed avevano avuto una certa stabilità grazie all’intervento di eserciti romani, che avevano voluto e protetto la dinastia regnante degli Artassidi.
Già con Tigrane III, figlio di Artavaside/Artavaste II (fatto prigioniero da Antonio e giustiziato ad Alessandria d Egitto dalla regina Cleopatra nel 30) era cominciata una fase nuova di sudditanza ( Cfr. A.Filipponi, Giudaismo romano, cit.).
Il re venne portato a Roma dall Egitto e crebbe sotto la protezione di Augusto.
La dinastia degli Artassidi fu testimone di una altalena di vicende, di influenze, di ingerenze straniere ora da parte romana ora parthica: Artavaste II era stato emblema di questo continuo conflitto di interessi ed era rimasto sempre in bilico tra l’alleanza con Romani e con Parti, dovendo fare una politica camaleontica tanto da subirne tragiche conseguenze ad opera dei romani.
Tigrane III era al centro tra due partiti, quello filoromano e quello filopartico e a seconda del prevalere di uno si aveva l’ingerenza ora dell’impero romano ora di quello parthico.
L incoronazione di suo fratello Artaxias II fu il frutto dell ingerenza dei Parthi sul trono di Armenia e della vittoria del partito filoparthico che subito fu ribaltata da quella romana che lo elesse re d Armenia, dopo l uccisione del fratello.
Ottaviano in questa precisa fase del conflitto fra Romani e Parthi, per il controllo dell Armenia, pensò di risolvere l instabilità del regno insediando un sovrano legittimo locale, che, però, fosse fedele al volere di Roma, ritenendo Tigrane, un candidato di rilievo, perché cresciuto a Roma.
Ottaviano incaricò Tiberio, di insediare Tigrane IV, nel 20 av. C., dopo una sommossa locale.
La politica augustea , che favoriva i sovrani legittimi, non diede al regno alcuna stabilità: dopo Tigrane III anche suo figlio Tigrane IV e sua sorella Erato non ebbero fortuna.
A seguito di relazioni coi Parti il regno di Tigrane IV segnò il fallimento della politica romana di stabilizzare e garantire il proprio potere in Armenia tramite la protezione di una dinastia legittima .
Il fallimento era dovuto parzialmente alle continue ingerenze, dirette e indirette, dei Parti, rivali di Roma, che contendevano al dominatore romano il controllo dell Armenia e del suo territorio.
Esso segnò anche, con la fine della dinastia degli Artassidi sul trono del regno d Armenia, la fine stessa del protettorato di Roma, interessata a contrapporsi all’impero parthico, impegnato a difendersi dall espansionismo romano.
destituire suo fratello Tigrane III, per porre sul trono un cugino di Tigrane, col nome di Artavaste III.
Erato e Tigrane IV, favoriti da Fraate III, sobillarono i nobili ed il popolo armeno contro il nuovo sovrano, insediandosi nuovamente sul trono per un brevissimo periodo (dal 2 a.C. all 1 a.C.): Augusto, allora, dopo aver fatto il I trattato di Zeugma, con Gaio Cesare insediò sul trono un nobile di origine Meda di nome Ariobarzane di Atropatene, e alla morte del nuovo sovrano dopo breve tempo, come suo successore venne eletto suo figlio, con il nome di Artavaste IV.
Questo, essendo straniero, non fu ben accolto dalla nobiltà armena che ordì una congiura e dopo breve tempo uccise il giovane.
Ad Augusto non restò che abbandonare la tattica di insediare una nuova dinastia, non autoctona, e fece eleggere nuovo sovrano d Armenia un presunto discendente della dinastia legittima Artasside, con il nome di Tigrane V.
L equilibrio, peraltro mai stabile, con la nobiltà armena, era ormai spezzato ed una nuova sommossa permise ad Erato di tornare al trono come legittima erede della dinastia nazionale Artasside nell’ 11 d.C. per breve tempo, fino al 12.
Ci fu però una nuova sommossa, nazionalistica, per cui Erato perse il trono, allora Roma decise, in nome di una politica nuova di alleanza tra Romani e Parti, per cui si concordò di affidare il regno d Armenia a Vonone I, figlio del sovrano di Parthia, secondo le norme stabilite nel trattato di Zeugma, firmato da Fraate e da Gaio Giulio Cesare, figlio di Agrippa, erede al trono di Augusto.
Alla morte di Orode III, Vonone fu eletto re di Parthia ma a lui fu opposto dalla aristocrazia parthica (che rifiutava un re romanizzato, vissuto a Roma, con costumi ellenistici) Artabano, un principe arsacide di parte materna, che conquistò il potere nel 10 d.C., dopo una guerra civile.
Vonone andò in esilio in Siria nel 12 d.C., col suo tesoro, e, protetto dai romani visse come un sovrano finché, pur essendo sotto la protezione di Gneo Calpurnio Pisone, non fu ucciso.
L’impero romano fu per oltre un secolo impelagato, dunque, nella soluzione del problema armeno, in quanto la zona era altamente strategica, punto di passaggio e di confluenza, che metteva in comunicazione due mari e che bloccava le migrazioni delle popolazioni barbare e semibarbare delle steppe (iberi, albani, alani, sarmati, sciti, saci).
Anche Artabano aveva lo stesso problema che era stato proprio del regno parthico e che aveva necessità di controllo di quella regione dominata dagli artassidi.
Si era, perciò, stabilito forse nel trattato di Zeugma (Velleio Patercolo, Storia, II, 94) per una tacita convenzione, sulla base dello status quo del momento, che l’Armenia Maior fosse parthica, appannaggio del principe ereditario del re dei Parti, mentre l’Armenia Minor fosse romana.
Tiberio all’inizio del suo impero, aveva cercato di stabilizzare la zona, dando un potere speciale (cfr Velleio Patercolo, Storia, II, 94,4), a Germanico, fatto tornare dalla Germania, dopo avergli tributato il trionfo, per risolvere definitivamente il problema armeno, ora di nuovo insoluto per le mire di Artabano.
La possibilità di insediare sul trono d Armenia Zenone, figlio di Polemone del Ponto uno dei sovrani più fedeli di Roma, sembrò una soluzione perfetta.
Tiberio e Germanico credettero di aver trovato una soluzione formando una nuova dinastia, che avrebbe potuto garantire la presenza di un re, capace di reggere uno dei punti cardini dell’Oriente.
Come Vonone, che si trovava in esilio, Zenone di Ponto, cioè Artaxias III, era un giovane cresciuto in modo ellenistico, amava i modi tipici della cultura romana (caccia, libagioni, lusso) e perciò era divenuto popolare in Armenia ed era stato accettato anche dal re dei Parthi, vincolato dal trattato con il legatus di Tiberio.
Germanico incoronò personalmente il giovane Zenone nel 18 d.C. nella capitale Artashat, acclamato dal popolo armeno.
L elezione di Artaxias III fu anche il frutto di un preciso accordo tra Germanico ed i parthi.
Germanico aveva concordato con Artabano che i Parti non avrebbero più dovuto interferire con la politica interna del regno d Armenia, se veniva esiliato Vonone I.
I due accettarono il patto e Germanico inviò in esilio Vonone, nemico di Artabano, in Cilicia, presso Silano Cretico (parente dello stesso dux), dove morì nel tentativo di fuggire.
Sotto il regno di Artaxias III l Armenia visse finalmente un periodo di prosperità e di stabilità per ben 16 anni, ovvero fino alla sua morte nell anno 34 d.C..
Morto Artaxias, Artabano, rotti gli accordi stipulati con Germanico, impose sul trono d Armenia Arsace, suo primogenito portando a termine il suo disegno di destabilizzazione romana, iniziato dopo le incursioni di Monobazo di Adiabene in territori armeni, sotto pressioni del Gran Re.
Artabano si era interessato all’ Armenia e ai problemi della Palestina, subito dopo la morte di Germanico, quando aveva favorito l’elemento zelotico contro i romani e contro Erode Antipa e Filippo, tetrarchi filoromani, finanziando i gruppi eversivi e organizzandoli anche grazie alla politica di fratellanza giudaica: l’impero parto aveva una grande colonia giudaica e nella confederazione parthica c’erano re giudaici come Monobazo ed Izate e capi giudaici di grande valore come Asineo ed Anileo.
Artabano, perciò, aveva favorito la rivolta antiromana, secondo Tacito: egli aveva destabilizzato l’impero romano nell’area siriaca e in Armenia, dopo la morte di Artaxias II, ed aveva rivendicato perfino il tesoro di Vonone (Annales, VI,31).
Professore mi trovo in difficoltà . mi può precisare?
Per capire ,Marco, il pensiero di Tacito, bisogna integrarlo con quello Velleio Patercolo, di Flavio e di Svetonio, oltre che con Dione Cassio, dai quali possiamo comprendere che le 4 legioni, di stanza al confine, erano tenute in scacco da Arsace, figlio di Artabano, che aveva preso il potere in Armenia, dopo avere riunito la Minore con la Maggiore, favorito da Monobazo re di Adiabene, iniziando in effetti le ostilità con Roma.
Il problema armeno era diventato difficile, ma, solo dopo la morte di Artaxia III, nel 34 d.C. si complicò ulteriormente perché i tentativi romani di stabilizzazione erano falliti a causa delle ingerenze parthiche.
Il problema era stato sempre difficile fin dagli inizi quando i romani si scontrarono con Tigrane I alleato di Mitridate.
Le due regioni armene avevano avuto un regno unitario grazie a Tigrane I, ma con l’arrivo degli eserciti di Lucullo nel 68 a.C. e poi di quello di Pompeo nel 66 a.C. l’Armenia era stata suddivisa nel corso della guerra mitridatica, in cui Roma aveva affermato la superiorità delle sue armi, già chiara dal periodo sillano.
L’Armenia maior e minor erano due regioni Causasiche: la prima ad ovest dell’ Eufrate era delimitata a nord dalle catene parthiche e a sud dal Tauro armeno e andava dall’Azerbaijian ad est fino al litorale sud-occidentale del Caspio (Mare Hircano) , la seconda ad est dell’Eufrate, giungeva fino al Caucaso era popolata da grandi città greche (Nicopoli, Sebastia) e da genti armene della regione Hamshen.
Tutta la regione nel suo insieme aveva grande importanza strategica, essendo posta tra i due mari e facendo da cuscinetto tra le popolazioni nordiche barbariche degli Alani, Sarmati, Iberi Albani e Sciti e i due imperi (quello romano e quello parthico), che si congiungevano alla base della regione armena.
Questi, ambedue, aspiravano al suo controllo non solo per ripararsi dalle incursioni barbariche ma anche per ulteriori conquiste territoriali: l’impero parthico con la conquista dell’Armenia, dopo la morte di Germanico, svincolato da ogni trattato con Tiberio, si salvaguardava dalle incursioni barbariche e si proteggeva anche dall’ impero romano.
Questo, invece, senza l’Armenia era a contatto diretto con l’impero parthico e con le popolazioni scitiche, di cui temeva le penetrazioni in Siria e in Asia, anche se aveva ottenuto il controllo del Mar d’Azov, grazie ai trattati col Regno del Bosforo cimmerico.
Ora, Artabano, dal 25 d.C., aveva avuto come interlocutore un ministro di Tiberio, quel Seiano che aveva fatto la politica Orientale e poi il suo sostituto Macrone e Tiberio sembrava disinteressarsi di tutta quella ampia regione e delle sue ripercussioni, specie nel 33-4, anno della morte del Governatore di Siria Pomponio Flacco.
Perciò Artabano nel periodo 31-36 cercò di destabilizzare ulteriormente l’impero romano, favorendo una politica filogiudaica e mettendo in subbuglio il giudaismo, in quanto a Seleucia aveva imposto Asineo ed Anileo due giudei (Ant. Giud., XVIII, 310-379) contro la stessa nobiltà persiana, e aveva inoltre, invaso anche l’Armenia Minore.
Quando Artabano si era divisa l’Armenia minore con Monobazo di Adiabene, Tiberio non ebbe neppure una reazione, a detta di Svetonio, che parla dal lato militare diretto: l’imperatore, non potendo inviare un consolare, specie dopo la morte del governatore di Siria, in effetti, diplomaticamente, aveva agito in quanto gli aveva contrapposto per la riconquista della regione, Mitridate re degli Iberi, dopo averlo riconciliato con Farasmane suo fratello.
E nel frattempo Artabano diede forze necessarie per la riconquista ad Orode, altro figlio, che doveva impedire il collegamento degli avversari e impedire la loro avanzata entro il territorio parthico.
Tiberio favorì il collegamento di Farasmane con gli Albani e con i Sarmati e con il loro aiuto attaccò gli armeni, impedendo il congiungimento con le forze parthiche, il cui arrivo fu rallentato anche dalla stagione estiva e dalle inondazioni causate dai venti etesi (Ibidem, 33).
Ne derivò che Farasmane, appoggiato da ausiliari, provocava a battaglia Orode, privo di alleati, quelli inviati in ritardo da suo fratello Arsace; e poiché questi cercava di evitarlo, lo molestava, minacciava con la cavalleria il suo campo, disturbava i foreggiatori e spesso lo accerchiava con postazioni armate, assediandolo, finché i Parthi non avvezzi a tollerare provocazioni, si strinsero intorno al principe, invocando il combattimento. Tutta la loro forza era nella cavalleria; Farasmane, invece, aveva anche valide fanterie …Ci fu uno scontro tra albani ed iberi e Farasmane da una parte e Orode e i parthi dall’altra; ci fu perfino un duello tra i due capi: Artabano avrebbe voluto punire Farasmane e si accingeva a farlo, ma Vitellio, raccolte le sue legioni, fece spargere la voce che anche lui avrebbe invaso la Mesopotamia.
Artabano temendo una guerra con i romani, avendo ostili i popoli della sua confederazione ed essendo insicuro nella sua stessa corte, in quanto Sinnace trascinò alla rivolta anche suo padre Abdagese ed altri, che maturavano quel disegno in segreto e che i continui disastri avevano incoraggiato all’azione (Ibidem 36,2), pensò bene di fare il trattato con Tiberio.
Egli, secondo Flavio, accortosi che molti parenti ed amici erano stati corrotti da Vitellio ed attentavano alla sua vita e convinto che la congiura sarebbe riuscita perché il numero di traditori aumentava, fuggì verso le satrapie superiori (Ant. Giud., XVIII, 99-100).
I romani avevano tentato di sostituire lo stesso Artabano con un re della stirpe di Fraate su richiesta della nobiltà medo-persiana detentrice del potere interno: Tiberio, ora libero nella sua azione, grazie alla risoluzione del problema dinastico e, dopo la fine dei processi di lesa maestà contro i seianei, ordinava a Lucio Vitellio (padre del futuro imperatore) di ripristinare l autorità romana sull area.
Su questo trattato c’è incertezza sia sull’anno che sul rappresentante partho: da Tacito sembra che Vitellio abbia avuto rapporto diretto con Tiridate, non con Artabano; gli altri storici invece parlano di un incontro a Zeugma del legatus con Artabano stesso.
Flavio, Ant Giud., XVIII, 97-98 spiega che alle offerte di denaro di Tiberio ai re degli Iberi e degli Albani per indurli a muovere guerra ad Artabano, questi diedero agli alani (altri popoli caucasici) il libero transito per le loro terre aprendo le porte del Caspio…Così l’Armenia fu di nuovo tolta ai parthi e nel loro paese si estese la guerra: morì la migliore nobiltà e tutte le loro cose si rovesciarono; il figlio del re cadde ucciso con molte decine di migliaia di uomini…
Il trattato per Tacito, comunque, fu fatto: Vitellio condusse il nerbo delle truppe e delle forze ausiliarie all’Eufrate, fece dei sacrifici come anche Tiridate (sacrificò un cavallo) si costruì un ponte di barche e si fece passare l’esercito dei parti: c’erano anche Ornospade, che era stato (haud inglorius auxiliator, Annales, VI, 37,3) aiutante di Tiberio, da cui aveva avuto la cittadinanza romana nella guerra dalmatica (Svetonio, Tiberio,9) , Sinnace e Abdagese.
Vitellio impose il trattato, secondo Tacito, mostrando la superiorità delle armi romane ed ammonì Tiridate e i capi a non dimenticare di aver avuto come avo Fraate e di essere stato allevato da Cesare, duplice titolo di gloria per lui; ammonì gli altri a non tralasciare l’ossequio verso il re, il rispetto verso di noi, l’onore personale e la fedeltà alla parola data (Vitellius ostentasse romana arma satis ratus monet Tiridaten promoresque, hunc Phraatis avi et altoris Caesaris quae utrubique pulchra memenerit, illos, obsequium in regem, reverentiam in nos, decus quisque suum et fidem retinerent -Ibidem, 37,4-).
Giuseppe Flavio (Ant. Giud.XVIII,101-3) parla, invece, di Vitellio e di Artabano che si incontrano: Vitellio ed Artabano si incontrarono sull’Eufrate., Si gettò un ponte sul fiume ed Artabano e Vitellio si incontrarono al centro, ognuno con la sua guardia del corpo. Giunti al termine degli accordi, il tetrarca Erode diede una festa sotto la tenda, fatta innalzata da lui in mezzo al ponte con grande spesa, Artabano inviò suo figlio Dario a Tiberio, come ostaggio, e con lui molto doni, tra cui un uomo alto sette cubiti, di stirpe giudea, di nome Eleazar, il quale per la eccezionale statura era detto Gigante. Sistemati questi affari, Vitellio tornò ad Antiochia ed Artabano a Babilonia.
La campagna, dunque, condotta brillantemente da Vitellio, si concluse con un completo successo, ben valutato anche da Tacito, che, poi, da un giudizio negativo sulla sua successiva vita da cortigiano nel periodo di Caligola e di Claudio.
Artabano, di nuovo, fu attaccato dai suoi nemici di corte, fu abbandonato dai suoi sostenitori, e dovette fuggire ad Oriente.
Dobbiamo pensare che la situazione parta fu per qualche mese incerta e caotica per la presenza di due sovrani, ma la situazione si precisò ben presto.
Tiridate, una volta preso possesso del regno, non potè rimanervi a lungo, a causa della rivalità con i nobili, per la sua sudditanza a Roma.
Infatti egli non piacque né a Tiberio né ai suoi alleati persiani: si era attirato l’inimicizia non solo di Tiberio, ma anche di Sinnace e di Abdo (Flavio, Ibidem).
Egli, d’altra parte, era un romanizzato come già Fraate, inviato da Tiberio e morto prima ancora di prendere il regno, odiato dai nazionalisti, che favorirono Artabano che ebbe così modo di riappropriarsi del suo regno, valendosi dell aiuto di un esercito, composto essenzialmente di uomini della tribù dei Dahan, ottenendo l approvazione dei Parthi.
Flavio, probabilmente, segue questa tesi che cioè i parthi lo accolsero dopo i primi contatti tra Vitellio e Tiridate che fece un pretrattato in cui il Legatus considerava il romanizzato come un sovrano semindipendente e perciò lo cacciarono e richiamarono Artabano per un foedus aequum tra due stati di pari grado.
La posizione di Artabano nei confronti di Roma rimaneva, comunque, estremamente precaria, in quanto sebbene non avesse inizialmente incontrato resistenza dalla parte avversa (essendo Tiridate fuggito in Siria), non era, comunque, in grado di intraprendere con successo una campagna contro Vitellio, dopo l’invasione degli Iberi e delle altre popolazioni barbariche e la perdita della Armenia.
Perciò Artabano concluse quindi, di lì a poco (nel 36) il trattato di Zeugma , nel quale rinunciava alle sue mire espansionistiche, avendo un peso internazionale diverso rispetto a Tiridate, re fantoccio.
Poco dopo, tuttavia venne deposto nuovamente, in quanto la nobiltà non aveva accettato il trattato in cui la supremazia romana era di nuovo imposta e fu proclamato re un certo Cinnamo.
Artabano si rifugiò presso un suo vassallo, il re dell Abiadene, Izate (Ant Giud, XX,54) grazie al quale ritornò definitivamente al potere facendo amnistia anche allo stesso usurpatore, che gli si era arreso spontaneamente e regnò fino alla morte ancora per quasi due anni fino al 40 d.C..
Professore ora capisco perché nessuno ha affrontato questo problema. E veramente complesso e difficile inserire la consegna di Gesù ai Romani!
Questi fatti , Marco, sono letti da Flavio in modo disordinato e confuso, come abbiamo rilevato in Giudaismo romano (Cfr. A. GARZETTI, La data dell’incontro all’Eufrate di Artabano III e Lucio Vitellio legato di Siria, in Studi in \" onore di Calderini e R .Paribeni” Vol. I 1956 pp 211-229) specie per quanto riguarda le congiure interne al regno di Parthia.
La relazione dell ‘impresa di Vitellio fu fatta e dal procuratore di Siria e da Erode Antipa, che come tetrarca, alleato, aveva seguito il governatore fino all’Eufrate, come abbiamo visto.
Non sappiamo vedere la funzione di Erode Antipa accanto all’esercito e al governatore di Siria: probabilmente si era mosso per la morte contemporanea di Artaxias III e di suo fratello Filippo, tetrarca dell’ex regno di Lisania, forse partendo dalla roccaforte di Macheronte o di Masada.
Il tetrarca della Galilea e Perea non doveva essere solido nel suo regno in una terra in cui era stato proclamato il Malkuth ha shemaim subito dopo la presa dell’Armenia da parte di Artabano, prima dell’arrivo di Vitellio, che dovrebbe essere arrivato a Cesarea marittima, non prima dell’ estate del 35.
Gesù era Galileo ed Erode poteva essere stato allontanato dalla capitale Tiberiade da un’ insurrezione popolare: Il regno dei Cieli avrebbe potuto comportare anche un rivoluzione in Galilea, da cui il messia era partito per la conquista di Gerusalemme: il tetrarca si era salvato, dopo l’eccidio della guarnigione di Cafarnao, e si era rifugiato in una delle roccaforti erodiane, come aveva fatto Pilato stesso, che si era arroccato a Cesarea Marittima, dopo la presa probabile della torre Antonia e la strage della guarnigione romana.
Erode Antipa con le legioni romane aveva fatto il viaggio fino all’Eufrate, lungo oltre 500 km, portando un suo esercito, insieme a quello di altri reguli, al fine di imporsi nell’ex tetrarchia di Lisania o per sé o per la vedova Salome sua figliastra e pronipote, sposata da suo fratello Filippo, poco prima di morire, oltre che per ripristinare l’ordine in Armenia e in tutta la zona.
Inoltre Erode Antipa, che conosceva il doppio mandato di Vitellio e contro il re di parti e contro Areta IV, pensava forse di potersi vendicare di quest’ultimo con cui aveva questioni di confine e per problemi a seguito del suo ripudio dell’ ex moglie Dasha, figlia del nabateo, la cui dote traconita doveva essere riconquistata.
In questo contesto storico e politico il messaggio di Il regno dei cieli è vicino è vincente in terra giudaica e a Gerusalemme tra il 32 e il 36: i giudei partici e quelli palestinesi già collegati ora hanno anche l’appoggio dei moderati ellenisti, che pur convivono con i greci e col sistema imperiale romano e ne traggono notevoli benefici commerciali. L’avvento del Regno dei cieli e la consacrazione del Messia uniscono il mondo ebraico, anche quello diasporico: l’anima giudaica rimane indelebilmente giudaica sempre, perché è spirituale.
In ogni parte del mondo si trovi il giudeo, guarda a Gerusalemme specie nel momento della realizzazione delle profezie messianiche.
Pilato, prefetto di Ioudaea (Giudea, Samaria e Idumea) e il tetrarca di Galilea e Perea e quello di Iturea avevano sempre temuto l’ingerenza militare di Artabano, ma in quel tempo messianico tutto l’assetto romano è naufragato.
Professore,in una tale situazione come si comportò Pilato?
Pilato (governatore dal 26 d.C) era stato sempre un perfetto prefetto, inviato da Seiano, probabilmente contrario al partito giulio (di Agrippina e di Caligola) a volte perfino era andato oltre il mandato tiberiano ed era stato inflessibile e duro contro i Giudei, coadiuvato da Erode Antipa, ma la sua azione più dura e repressiva, la fece contro i samaritani, poco prima della Pasqua del 36.
Noi riteniamo che a Pilato era sfuggita del tutto la situazione dopo il 32, la Pasqua, in cui Gesù si proclamò maran, e costrinse il prefetto a rinchiudersi a Cesarea e ad abbandonare al suo destino la torre Antonia, come già aveva fatto Erode Antipa con la guarnigione di Cafarnao: Gesù dovette tenere solo la Giudea e forse anche porzioni della Galilea e il controllo parziale della Perea, ma la Samaria era rimasta sotto i romani, perché dall ‘epoca di Erode, Sebaste, la città capoluogo della regione, era stata sempre filoromana, ma, in quei cinque anni di potere regale di Gesù, forse i samaritani si volevano riunire ai Giudei, favoriti da una politica unitaria messianica e perciò, furono sorpresi da Pilato, che ne fece una carneficina a Tirathana.
La situazione, dunque, in Palestina tra il 32 e 35 doveva essere caotica: l’inerzia di Tiberio era mal valutata da tutti i greci di quell’area e la ribellione della Giudea era diventata un focolaio per tutti gli altri che aspiravano ad avere l’indipendenza, ma la presenza degli eserciti romani, seppure senza capi e senza mandati ufficiali, impedivano la riunione delle singole parti: era aumentato il caos dopo la morte di Filippo e quella di Artaxias e di Pomponio Flacco, per la maggiore congiunzione di forze tra Artabano III ed Areta IV, i nemici di Tiberio.
La venuta di Vitellio in Giudea, quindi, fa pensare ad un ristabilimento dell’ordine e ad una ristrutturazione della politica precedente: insomma Tiberio aveva deciso di ripristinare l’ordine nella provincia di Siria e nella sottoprovincia di Ioudaea e di punire la politica di ingerenza di Artabano e quella di Areta IV di Petra.
La classe sommosacerdotale sadducea, gli erodiani e gli scribi sono filoromani e quindi gestiscono il potere e la ricchezza del tempio, avendo la maggioranza nel sinedrio; all’arrivo di Vitellio sia che venisse da Nord o da Sud, con le truppe congiunte di Pilato o con quelle Siriache il malkuth del maran illegittimo è finito, e la ribellione interna sadducea determina la fine, che si verifica all’atto dell’ultimatum romano, sotto le mura di Gerusalemme, assediata.
Giuseppe Flavio ci descrive l’assedio di Gerusalemme nel quinto libro di Storia Giudaica e le sue notizie collimano con quelle di Tacito (Hist.,V,12,3); da queste possiamo comprendere la preoccupazione da parte degli giudei assediati, convinti dell’impossibilità di sfuggire alla punizione romana.
Nella primavera, prima della Pasqua, dunque, del 36 la città si arrende e consegna il suo maran ai romani: era la soluzione migliore in quella situazione ormai favorevole ai romani in tutta l’area armena, siriaca e palestinese.
Tutte queste notizie ci spostano in un altro orizzonte, utile ai fini della nostra indagine e ci aiutano a meglio capire il motivo di una accoglienza ad un nemico, così festosa.
Noi riteniamo che nella Pasqua del 32 Gesù era entrato a Gerusalemme dopo una marcia trionfale iniziata dalla Galilea accolto dalla popolazione festante che lo aveva acclamato re, in quanto già riconosciuto Meshiah-Christos, figlio di David.
Questo antefatto comporta un’altra spiegazione in quanto da quasi un secolo i giudei palestinesi (popolo, piccolo e medio sacerdozio, leviti e farisei) aramaici, conformati al pensiero escatologico ed apocalittico, credevano nella venuta di un Messia, che avrebbe sconfitto il popolo romano e avrebbe stabilito il patto eterno nuovo con Dio nel tempio.
I giudei, convinti che il tempo era venuto grazie ad eventi grandiosi nel quadro dell’impero romano diviso in partes, in lotta fra filogiuli e filoclaudi, dopo la conclusione tragica della vicenda del potente capo pretoriano Elio Seiano, inquisito ed ucciso, avevano proclamato il malkuth ha shamaim e si erano ribellati alla autorità romana, sostenuti da Artabano, re dei parthi.
Proprio quando l’impero romano attraversava la grave crisi a seguito della sventata congiura antitiberiana in un momento difficile per la lotta alla successione tra Caligola e Tiberio Gemello, sostenuti il primo dall’esercito e dal popolo e il secondo dal senato ed equites (cfr. A Filipponi, Caligola il sublime, Cattedrale 2008 e Giudaismo romano, opera inedita, www.angelofilipponi.com).
La reazione tiberiana non ci fu, subito, contro il mondo giudaico e siriaco perché l’imperatore era impegnato nella conservazione del potere imperiale prima e, poi, nel difficile compito della successione.
Egli fu duro ed inflessibile nei confronti prima dei seianei e poi del partito giulio dopo il 18 ottobre del 31, morte di E. Seiano, capo pretoriano, che era riuscito a salire tutti i gradi degli honores fino ad avere la tribunicia potestas e l’imperium proconsulare maius per l’Oriente tanto da determinare una politica antigiudiaca, di cui Pilato era stato espressione violenta.
Siccome il potere di Seiano era stato grandissimo (Cfr Inizio acefalo di In Flaccum di Filone Alessandrino, www.angelofilipponi.com ), Pilato e lo stesso Erode Antipa, essendo sue pedine, avevano agito secondo le sue direttive, esasperando l’elemento non solo giudaico antiromano, ma perfino quello, da decenni filoromano, samaritano, che forniva truppe sebastene ausiliarie. Tiberio, ora, era sotto l’influenza di Macrone, nuovo capo dei pretoriani, e di Caligola (cfr Caligola il Sublime, cit.): questi furono esautorati e tenuti in disparte in attesa di giudizio mentre, nel frattempo, era morto, Pomponio Flacco per morte naturale, fedelissimo governatore, tiberiano, di Siria.
Impegnato nella feroce repressione in Roma e nell’impero, Tiberio tralasciò il problema siriaco e giudaico e non diede mandato al pur nominato Elio Lama (cfr.Angelo Filipponi, Giudaismo romano cit., cfr. Tacito Annales VI,28,2), per cui la Palestina e la Siria rimasero sotto l’influenza di Artabano, che aveva autorizzato Monobazo di Adiabene ad occupare l’Armenia Minore, avendo dato auctoritas regia a suo figlio Arsace.
In effetti Tiberio sembrava che avesse trascurato il problema, ma aveva già tessuto relazioni diplomatiche con Alani,Sarmati, Sciti, Iberi, Albani, facendo concessioni e regali come abbiamo visto.
Tiberio aveva atteso tempi migliori per un intervento,come era nel suo stile di dux prudens, mentre a Roma deplorava che dovesse pregare consolari a mettersi a capo di legioni contro Artabano.
Anche la politica interna al suo stato nel settore orientale siriaco e palestinese, essendo affidata a Pilato, dopo la morte di Flacco, si era rivelato un disastro tanto da essere fortemente irritato contro di lui (Filone, Legatio ad Gaium) che seguitava in una lotta di provocazione contro il giudaismo secondo l’impostazione ricevuta precedentemente da Seiano, ora forse suggerita da Macrone.
Quella zona aveva davvero bisogno di essere ristrutturata, a partire dall’Armenia Maior e Minor; l’azione antiromana di Artabano era stata sapiente dalla morte di Seiano ed aveva più o meno connesso tutta la regione caucasica, ciseufrasica e transeufrausica, la Celesiria e la stessa Palestina nella sua orbita, approfittando del fatto che quelle popolazioni parlassero la stessa lingua, aramaica ed erano della stessa tradizione medico-persiana, collegata anche da numerosi gruppi giudaici che erano entro i confini dell’impero romano e in quello parthico.
Gesù un davidida, un architetto, conosciuto non solo per la sua ablità tecnica e per i thaumasia (miracula) un discepolo di Giovanni il Battista (un goes, famoso per la sua singolare vita e per i suoi numerosi discepoli, armati, dopo il battesimo, ucciso da Erode Antipa), eletto mashiah dagli esseni, riconosciuto universalmente dal mondo giudaico aramaico ed ellenistico, provocò un’ondata nazionalistica così grandiosa da sconvolgere l’assetto mediorientale dell’impero romano, favorito da Areta IV (che aveva debita di gratitudine nel salvataggio della figlia, ripudiata da Erode Antipa e che era un fedele credente in Giovanni e nella sua missione e poi in quella del discepolo) e da Artabano III, e forse da Asineo, satrapo di Mesopotamia, oltre che da Monobazo ed Elena di Adiabene.
Professore, mi può dire esattamente cosa pensa di Gesù re?
Quello, che noi chiamiamo Gesù, si autoproclama re, maran e dopo una marcia di 10 giorni, durante la quale manda messaggeri alle città e ai sinedri chiedendo di essere accolto e quindi l’autorizzazione a passare indisturbato nei territori, giunge a Gerusalemme e viene accolto trionfalmente.
Dopo la purificazione del tempio, che sottende la presa della fortezza Antonia e quindi la strage dei romani, probabilmente segue il rituale purificativo di Ezra e viene ristabilito il nuovo patto con Dio, mentre aiuti finanziari e militari giungono da ogni parte del mondo sia parthico che ellenistico: la realizzazione del malkuth dovette essere un evento di valore mondiale e quindi di immensa risonanza.
La venuta del Messia e la concreta realizzazione del Malkuth ha shemaim impressionarono il mondo intero anche perché il giudaismo tendeva di nuovo a Gerusalemme da ogni parte dell’ecumene, in un ritorno alla patria, terra dei padri ora libera ed autonoma sotto un re davidico: noi abbiamo come confronto solo l’episodio di Zevì Shabbatai (1626-1676), e quello della odierna attesa della ricostruzione del tempio di Salomone, come inizio di tempi nuovi: il clima di speranza che si accende, diventa una mania irrefrenabile che comporta un esodo da ogni parte per ritornare alla terra santa, un vendere le proprie cose, un lasciare le proprie città, un portare con sé i propri averi, riconvertiti in oggetti preziosi, per essere presenti al fatto gerosolomitano per partecipare all’instaurazione del malkuth: 2.500.000 di ellenisti e 1.000.000 di aramaici partici, oltre quelli dispersi fuori del mondo conosciuto, in Seria, in India a Ceylon, in Nubia, sono coinvolti in questa impresa, sconvolti da questa impresa, che prelude alla Apocalisse e prepara l’escata, le ultime cose in cui Dio crea il regno messianico: pentimento–teshuvah, manifestazioni di gioia, digiuni, bagni rituali, ogni forma di preghiera, diventano normali inizi di una purificazione, partenze da ogni porto occidentale e ondate di ritorni da ogni terra orientale ed occidentale: tutti in una frenesia generale, vogliono favorire il Messia, combattere ed essere presente nel giorno del Signore: la lotta con le forze del male (Arconti di Paolo, le qelippot), deve essere unitaria; in ognuno è la convinzione che l’esercito messianico, avendo l’aiuto divino, è invincibile!.
C è professore euforia con enthousiasmos?
Certo, Marco , dovunque:e nel mondo romano e in quello parthico e in ogni altra parte del mondo dove ci sono colonie ebraiche.I cives dell’impero romano stessi sono sconvolti da questo esodo in quanto molte città si dimezzano perché i giudei si separano nettamente dai gerim e goyim, lasciando tutto, abbandonando le loro attività, case ed ogni altro bene immobile: i porti occidentali ed africani furono presi di assalto e le stesse strade romane erano piene di carovane, di gruppi di uomini alleluianti che tornavano in patria: il fenomeno non poteva essere fermato dai governatori locali, data la consistenza numerica dei giudei.
Sul piano politico, grazie all’aiuto del re dei Parthi, si ricrea la situazione del periodo di Antigono (favorito dall’impresa di Pacoro, figlio di Orode, conclusasi con la vittoria di Ventidio Basso e con l’uccisione del re ad opera di Marco Antonio ad Antiochia nel 37 a.C.), ma sul piano morale non si ha altro precedente: l’evento dovette rimanere nella mentalità giudaica a lungo, se poi i giudei attenderanno la parousia del Signore, insieme con i Cristiani, fino al 70 e poi da soli con i nazirei, giacomiti, crederanno nel suo ritorno fino al 135 d.C. ed oltre, considerato che la famiglia di Gesù è inquisita fino a Conone sotto Decio (249-251d.C.).
Il meshiah, quindi, creato un nuovo sacerdozio, quello essenico, protetto dalla finanza alessandrina, probabilmente, e dai sussidi di tutti ellenisti ed aramaici, adottato il calendario solare, riconsacrato il tempio col rito di purificazione, fatta una solenne adunanza per la lettura della legge, compiuta una cerimonia espiatoria, purificò e riconsacrò il tempio e quindi, il quattordicesimo giorno del mese Nisan, celebrò la prima Pasqua nel 32 d.C., in Gerusalemme, libera dai romani (cfr. Giudaismo romano, cit ).
Egli potè governare per tutto il 32 , 33, 34, 35 e solo nel marzo del 36 con l’arrivo di Lucio Vitellio tutto si capovolgeva e la Giudea tornava in fibrillazione perché si riaccendevano le speranze dei sadducei, degli erodiani e degli scribi che, erano rimasti senza autorità e con i diritti limitati, simili a quelli dei leviti, ridotti di rango nell’ attività templare.
Infatti nel 35 Tiberio avendo risolto i problemi imperiali e fatti cessare i processi di lesa maestà, aveva anche concluso le stragi dei giuli e quindi, con la doppia adozione di Caligola e Tiberio Gemello, aveva così fatto tacere i lamenti del partito giulio, accontentato, perché aveva seguito il mandato di successione augusteo, che imponeva un elemento della famiglia di Germanico come successore accanto a quello della linea claudia (cfr. Caligola il Sublime, cit.).
Inoltre, il vecchio imperatore invia in Palestina con un doppio mandato Lucio Vitellio contro Artabano III e contro Areta IV, convinto che una volta, debellati gli antagonisti maggiori, i re locali sarebbero caduti facilmente a causa delle fazioni avverse, opposte.
Vitellio facendo pressione, grazie alla diplomazia tiberiana, già attiva tra gli albani e i Saci, sulle popolazioni scitiche al nord, nella zona del Kurdistan attuale li spinse con la forza e con il denaro contro il confine parthico; Artabano inviò un esercito comandato da Arsace suo figlio con 100000 uomini, ma fu sconfitto.
La disfatta costrinse il re dei re al trattato di Zeugma in cui dovette pagare indennizzi di guerra e dare ostaggi e sgombrare dall’area cisufrasica facendo ripristinare lo status quo (come abbiamo visto).
Il piccolo regno di Gesù, in quanto sottoprefettura di Ioudaea, ora è ricaduto sotto la diretta amministrazione romana, come prima del 32, e Gerusalemme, assediata, subisce l’ultimatum romano: o si arrende concedendo i capi della sedizione o sarà distrutta con la strage della popolazione.
In questa situazione tragica, di capitolazione e di resa, si verifica l’entrata in Gerusalemme di Vitellio: il governatore di Siria viene accolto festosamente dal popolo, che è ora dominato dai sacerdoti sadducei dagli erodiani e dagli scribi, che hanno formato un nuovo sinedrio, il quale probabilmente ha decretato, pur con grande dolore e tra contrasti, la paradosis del Christos all’autorità romana.
I vangeli mostrano Gesù arrestato e portato di fronte ad Anano I e alla sua famiglia, di sera e poi al sinedrio, di mattino: ciò sottende un’operazione all’insaputa del popolo e quindi contro la volontà dei più ardenti seguaci.
Nel processo contro la sua azione messianica non gli furono trovate colpe, nonostante gli accusatori e i delatori, ma il sinedrio decise la paradosis di Gesù Christos, un uomo giusto, all’autorità romana dopo che sommo sacerdote, scribi ed anziani avevano complottato al fine di prenderlo ed ucciderlo, pur timorosi di una sommossa del popolo (Mc. 14,1-2 thorubos tou laou).
I Vangeli, così dicendo, condannano lo stesso Sinedrio, responsabile della paradosis e della enedeicsis, ingiusta, eppure avevano già detto che Gesù era entrato già a Gerusalemme, salutato come un re ed era stato accolto in un tripudio di festa popolare e che aveva dimostrato di avere anche una ecsousia profetica, dopo aver cacciato i profanatori dal tempio.
Probabilmente il sinedrio che denuncia e consegna è diverso da quello che accoglie e che festeggia il Christos in Gerusalemme: ora, se la Pasqua è quella del 36 i componenti del sinedrio sono nuovi perché quelli del precedente sono stati esautorati ed arrestati, come fautori del Messia.
Questi, nuovi, a maggioranza, hanno considerato decaduto Gesù come re e quindi hanno deciso di prenderlo e di ucciderlo, consegnandolo ai romani dopo denuncia, cioè dopo aver decretato l’illegittimità della sua azione, della costituzione del malkuth ha shemaim.
Ora noi sappiamo tramite Filone (In Flaccum inizio acefalo e Legatio ad Gaium ) che il Sinedrio di Alessandria si comportò in modo solidale con gli zeloti, fuggiti ad Alessandria. Infatti furono nascoste le loro armi e furono protetti col silenzio, mentre i romani cercavano le armi e i fuggiaschi da Gerusalemme, seguaci del Malkuth, scampati alla sommaria giustizia di Pilato e di Vitellio.
Da Flavio sappiamo, poi, che, nel dopo settanta ad Alessandria, si verificò la stessa cosa ma gli alessandrini, coscienti delle cose che avevano patito nella dura reazione caligoliana, ebbero un diverso comportamento: il sinedrio votò contro gli zeloti e i sicari, ne favorì la cattura e li consegnò alle autorità romane che li torturarono e li uccisero, mentre gli altri giudei soffrivano di aver dovuto, per salvarsi, fare la delazione (cfr. Giudaismo romano,cit; Caligola il sublime,cit.; e commento al XVIII libro di Antichità giudaiche, oltre la traduzione di In Flaccum e Legatio ad Gaium).
Perciò, sulla base della esemplarità della situazione alessandrina, riteniamo che la minoranza sadducea, scriba ed erodiana tenuta in soggezione nel periodo del Malkuth trionfante, riprese il potere, all’arrivo degli eserciti romani e destabilizzò il regnum del maran e decretò la festa per l’arrivo del procuratore di Siria, dopo averlo accolto in città (che, come compenso, secondo la clementia, fece concessioni favorevoli ai sacerdoti, come abbiamo detto, e ripristinò lo status quo) determinando con quell’atto la morte del Messia, ora rinnegato.
Tutto ricominciò come prima della impresa di Gesù, come era avvenuto nel 6-7 dopo Cristo come era avvenuto nel 4 a.C. alla morte di Erode: l’impero romano ristabiliva il suo ordine e la sua giustizia, dando rilievo ai sadducei, agli scribi e agli anziani e tenendo soggetto il popolo.
L’élite giudaica aveva fiutato i tempi nuovi della romanitas: l’avvento di Caligola, l’ordo nuovo, il Regno saturnio, una nuova era di pace e di benessere, assicurata dal figlio di Germanico: ormai Tiberio malato era prossimo alla morte e lo stesso Vitellio non avrebbe portato a termine neppure l’impresa contro Areta IV.
Lo stesso governatore si era mostrato ancora di più filogiudaico, accogliendo perfino le proposte dei capi di non passare nella loro terra sacra con le insegne, ma di deviare per le terre samaritane e perciò, l’anno dopo, Gerusalemme, conosciuta la morte di Tiberio e la salita al trono di Gaio Caligola, di nuovo accolse il governatore di Siria che da Gerusalemme mandò un segnale di pacificazione generale per tutto l’ebraismo non ancora, ripresosi dalla sconfitta e dagli aneliti messianici, propagandando il regno saturnio caligoliano.
Ora, dunque, due propagande si avvicendano una valevole per tutto l’impero, quella del tempo suturnio, a contrapposizione dell’ideale messianico ormai frantumato e annichilito, specie nel clima di una perenne felicità, instaurata dal regno di Caligola, l’altra solo per i giudei increduli di fronte alla realtà dei fatti, alla morte del Christos, impegnata nella interpretazione dei segni, secondo la lettura di Isaia.
JHWH stesso parla: non ha bellezza, né splendore / perché lo ammirassimo / né amabile aspetto né prestanza/ Oggetto di sprezzo e reietto dagli uomini / uomo di dolori sperimentato dalla sofferenza / e come uno davanti a cui ci si nasconde la faccia: / spregevole, nulla, lo stimammo / portò i nostri dolori, noi l’abbiamo stimato un percosso,/un colpito da Dio ed umiliato / Ma egli è stato trafitto a causa delle nostre colpe / è stato fiaccato a causa delle nostre iniquità! il castigo esemplare che ci rende la pace è su di lui / e per mezzo delle sue piaghe ci è data la guarigione / noi tutti come pecorelle ci sviammo / ci volgemmo ognuno alla propria strada / e JHWH fece cadere su di lui, l’iniquità di noi tutti. / Fu angariato e lui si umiliò e non aprì bocca/ come agnello fu condotto al macello / e come una pecorella davanti ai suoi tosatori / è muta e non apre bocca… (53. 1-13)
L’interpretazione essenica e teraupetica del passo fu quella del Servo di Dio, (in seguito sarà quella del lamed vau, del trentaseiesimo destinato a morte per dare vita agli altri), di chi, offrendosi in espiazione per i peccati altrui, sarà coronato di trionfo (11-12) e sarà il capo dei credenti per sempre: perciò gli attribuirò le moltitudini delle genti / e dei possenti dividerà le spoglie / per il fatto che si sacrificò fino alla morte / e fu annoverato tra gli scellerati quando egli sopportava il peccato delle moltitudini / e supplicava per i trasgressori.
Mentre subito dopo la morte di Jehoshua tutti aspettavano il suo ritorno, chi in un modo chi in un altro a seconda della cultura di appartenenza, qualcuno cominciò (come Paolo) ad applicare i versi successivi della Nuova Gerusalemme (Isaia, 54) alla Chiesa.
Da qui il cambiamento di lettura e di impostazione tra i seguaci di Christos, tra gli aramaici e gli ellenisti: gli uni erano fiduciosi in un ritorno, parousia del maestro-re, che sarebbe venuto con forze ultraterrene e che avrebbe sterminato i romani, costituendo la Nuova Gerusalemme, eterna; gli altri attendevano il suo ritorno alla fine dei tempi, quando Gesù, uomo dio, che si era caricato il peso dei peccati umani e che aveva redento col suo sangue tutti, ebrei e non ebrei, avrebbe distinto dopo il giudizio i buoni dai cattivi, dando premi e castighi a seconda delle azioni conformi o non conformi al suo exemplum.
Sono due diverse letture ed interpretazioni di uno stesso brano di Isaia: Giacomo, il fratello di Gesù (Mc., 6,3-4; Mt. 13,55-56; Galati, 1,18-19; 2,9; Atti degli Apostoli, 1,14 12,17; 15,13;21,18; Flavio, Ant. Giud., X,200; Eusebio, St. Eccl.,1, 12,5; 2,23,25) e i seguaci del Malkuth, seguitando a vivere, seguendo le orme terrene e militaristiche di Christos, sarebbero rimasti nella via della clandestinità, in una segreta preparazione alla guerra; gli altri, invece, si sarebbero separati lentamente dai confratelli, distaccandosi dal ceppo giudaico, pur rimanendo attaccati alle radici del nomos ebraico e dopo il settanta, con la costituzione di un preciso canone evangelico, kerigmatico, avrebbero creato il cristianesimo, come noi oggi lo viviamo, secondo la tradizione romano-ellenistica, in un rifiuto totale e categorico del giudaismo ormai senza tempio e destinato alla Galuth.
La chiesa (non è qui il caso di lavorare sulla nascita di questo termine) è Nuova Gerusalemme decisa a conciliare humanitas con misticismo filoniano-platonico-paolino, pratica e teoria classica, secondo la methodos ellenistica giudaica sincretistica, adattata alla risultanza di moralitas romana occidentale, pagana, nella scelta della centralità dell’eredità di Roma, dopo la separazione dalla Sinagoga.
A distanza di secoli noi non siamo in grado di ricreare quel clima, formatosi dopo la morte di Gesù Cristo, né di seguirne le vicende fino al momento della scrittura evangelica, che fu una nuova evangelizzazione in epoca flavia connessa con la fine del tempio, legata da una cooperazione con la Romanitas e ad un rifiuto della stessa origine ebraica.
E’ quasi impossibile ricostruire quel clima in cui, i cristiani, dopo il trauma della distruzione del tempio, uomini, abituati a convivere seppure con notevole differenze, coscienti di essere uniti dalla comune base giudaica si separarono definitivamente dal giudaismo, di cui erano una setta ereticale.
Ancora più arduo rilevare la separazione dai nazirei, fratelli nati dalla stesso parto, seguaci e parenti del Messia, che ne seguivano la storia, non lo spirito, ormai larve pure di una comunità destinata alla fine, esangue a causa della selezione degli eletti, davidici e giudaici di stretta osservanza, aramaici, e specialmente a causa della sede stessa gerosolomitana, ormai periferica, dopo la fine del tempio, all’ecumene!.
Possiamo, però, rilevare che le risposte sono diverse a seconda della lettura di quella morte: i primi, giacomiti, fedeli ai principi mosaici, giudaici, anche loro vivono l’evento dell’attesa del Signore e del suo ritorno (cfr. Il vangelo di Giacomo in Jehoshua o Jesous?, Maroni 2003); i secondi, che poi si chiameranno cristiani, ellenisti, accettando l’interpretazione del servo di Dio di Isaia, attendono il ritorno di Cristo, sempre più assimilato al Logos e a Dio, e formano una nuova religione.
All’ euforia dei giudei ellenisti per l’ elezione di Gaio Caligola, segno di una nuova era per il mondo romano occidentale e per quello romano ellenistico segue lo sgomento della nuova persecuzione antigiudaica, feroce, estesa a tutto l’impero ancora più acuta sul territorio giudaico, quando è palese l ‘ektheosis imperiale con la neoteropoiia, la nuova politica.
Questa fase vissuta da entrambi gli schieramenti nell’angoscia di un possibile annientamento della radice giudaica di qualsiasi credo, di sradicamento della pianta giudaica in ogni parte del mondo è resa da Filone in Peri Areton ( nelle due opere susperstiti di questa opera, che doveva constare di cinque libri).
Filone mostra la grande illusione ebraica ellenistica dopo la bufera del periodo 25-31, del 32-36 e del phobos mortale dell ebraismo di fronte alla divinità di Caligola: la varie gradazioni di spavento fino al terrore e alla certezza della fine dell’ethnos sono perfettamente rese da Filone, che precedentemente ne aveva esaltato la figura e lodato la grandezza.
Lo scrittore alessandrino sa rendere quell’iniziale momento magico e divino, sublime, del Kronikon bion (Legatio ad Gaium, 13) , che pur doveva essere contrapposto al regno messianico: quel tacere sui fatti gerosolomitani e sull’illusione messianica, quanto male ha fatto! (ma Filone ha veramente taciuto oppure gli è stata messa la museruola! ed è stato addomesticato successivamente!).
Chi non si sarebbe meravigliato, e sorpreso, vedendo Gaio, che, dopo la morte di Cesare Tiberio, aveva preso l’impero della terra e del mare, che era in un periodo di grande tranquillità e che aveva un buon ordinamento?
Chi vedendo l’impero unito in ogni parte in un consenso universale a settentrione e a meridione, ad oriente come ad occidente – essendo d’accordo la stirpe barbarica con la greca, e quella greca con quella barbarica, convivendo amichevolmente soldati e cittadini, per un comune possesso e godimento della pace – (questi e quelli in reciproca pace godere insieme di rapporti e commerci) non sarebbe stato ammirato e sorpreso?
Chi non sarebbe stato ammirato e sorpreso di una fortuna così grande e appena narrabile, accumulatasi grazie ad un’unica eredità, di beni infiniti, di tesori zeppi d’oro ed argento, in parte come materiale grezzo (puro e non lavorato), in parte segnato come moneta, in parte come ornamento vistoso per coppe ed altri utensili che sono utili per l’ostentazione?
Chi, inoltre, non sarebbe stato ammirato e sorpreso per le milizie di fanteria, di cavalleria, navali e per le rendite che affluivano come da una fonte con un perpetuo tributo e per il potere non su moltissime ed essenziali parti dell’ecumene , di tutto il mondo propriamente detto abitabile, limitato da due fiumi, Eufrate e Reno, separante il secondo dai Germani e da feroci altri popoli e il primo dai Parti e dalle genti sarmatiche e scitiche, che non sono certo meno miti di quelle germaniche ma, per la terra, per così dire, quella da oriente ad occidente, bagnata dall’Oceano e comprendente alcune parti oltre Oceano?
Il popolo romano godeva le proprie feste in pace con tutta l’Italia e con tutte le province europee ed asiatiche… Tutti erano compiaciuti non perché speravano che avrebbero avuto possesso ed uso dei beni pubblici e privati ma perché pensavano di avere già la pienezza di una fortuna che era in attesa della felicità. Se ciò talora prima era accaduto sotto qualche imperatore, allora in effetti sembrava che i romani non già avessero speranze, ma tenessero l’usofrutto dei beni pubblici e privati.
Dunque, era possibile vedere per le città solo altari, vittime, sacrifici, uomini vestiti di bianco, coronati, sereni, mostranti bontà nei volti ilari, dovunque, feste, celebrazioni solenni nazionali, gare musicali , corse ippiche, feste orgiastiche, feste notturne, con flauti e cetra, diletti, condoni di debiti, tregue e divertimenti vari per ogni sensazione.
Allora non c’era nessuna distinzione tra ricchi e poveri, né tra illustri ed umili, né tra creditori e debitori, né tra padroni e servi perché il tempo pareggiava i diritti tanto che si credeva che si fosse verificato quel secolo di Saturno, descritto dai poeti come favola mitica: così grande era l’abbondanza, così fortunata la raccolta annuale, così eccezionale la felicità e sicurezza, che erano in tutte le famiglie e in tutta la popolazione, di notte, come di giorno, che si verificarono in modo continuato ed ininterrotto nei primi eterni sette mesi.
Filone (Ibidem,8-13) mostrando, dopo la morte di Tiberio, il sorgere di una nuova epoca, rivela la nuova illusione da parte degli ellenisti, quasi un cambiamento epocale, durato, però, per sette, otto mesi, grazie all’avvento al trono di Gaio Caligola figlio di Germanico: i giudei di Gerusalemme per primi conoscono l’inizio del suo regno e lo festeggiano sacrificando a Dio insieme a Vitellio, che fa la nuova entrata a Gerusalemme ad un anno di distanza, dopo che è stato sollecito ad accettare le richieste giudaiche di non passare nel loro territorio, sacro, ed ha fatto deviare per la pianura di Samaria, le aquile e i segni imperiali, seguendo il consiglio del Sinedrio gerosolomitano.
Filone mostra la delusione subito dopo la malattia dell’imperatore e il terrore, con cui il mondo intero attende le fasi dell’acuirsi della malattia, del suo esaurirsi e l’immensa gioia popolare per la guarigione: l’impero tratteneva il respiro nell’attesa dell’evento della guarigione dell’imperatore, giovane Augusto, salvatore del mondo: solo il giudaismo aramaico non partecipa ma è costretto a dare segni di passiva accettazione, mentre quello ellenistico è preso dalla illusione dell’ideale principe, venuto a redimere il mondo romano, a dare stabilità ad ogni essere, a creare un nuova età dell’oro.
All’ottavo mese, però, Gaio fu colpito da una grave malattia perché aveva mutato il razionale vitto, di cui si serviva con una certa frugalità sotto Tiberio, e che, perciò, era piuttosto salutare in un lusso smodato: infatti beveva vino in quantità, cercava ghiottonerie, non placava il desiderio neanche a ventre pieno.
Si aggiungevano, inoltre, bagni poco opportuni e poi vomiti e di nuove bevute, piaceri del ventre e di quelli sotto il ventre: egli faceva ginnastica erotica con donne e ragazzi e prendeva ogni altra cosa atta a distruggere il corpo e l’animo e i legami esistenti in ambedue.
La paga della temperanza è la forza con la sanità, dell’ intemperanza, invece, la fiacchezza con la malattia, che porta alla morte.
La fama di questa malattia si divulgò, quando ancora il mare era adatto alla navigazione; infatti era l’inizio dell’autunno, che è quasi l’ultima navigazione per chi ritorna ai propri porti e rade, da tutti gli empori, specie per quelli che non amano svernare in terre straniere- subito tutti, partecipi, mutarono quella vita serena precedente in tristezza ed improvvisamente tutte le case e città si riempirono di preoccupazione e di tristezza, eguagliando la tristezza la letizia di prima, e passando così all’opposto.
Infatti insieme a lui erano malate anche tutte le province e, direi, in modo più grave di quella che aveva colpito Gaio: quella di cui languiva lui riguardava solo il corpo, quella di quelle, invece, era totale e di ogni tipo, di vigore spirituale, di pace, di speranza e di possesso e di godimento di beni.
Veniva alla memoria quanti e quali mali nascessero dall’anarchia: carestia, guerre, tagli di foreste, devastazioni territoriali, espulsioni di coloni, confische dei beni, imprigionamenti, timore di schiavitù o di morte, pericoli di cui non c’era nessun medico e si aveva un solo rimedio, che Gaio riavesse la salute.
Pertanto, quando la malattia cominciò a diminuire, in breve seguirono le manifestazioni di congratulazioni provenienti perfino dagli estremi territori -niente è infatti più veloce della fama- ogni città, era in attesa, sospesa, avida sempre di notizie migliori, finché non ricevette la buona notizia che Cesare si era ristabilito del tutto: e come se essi stessi avessero riacquistato la salute, tutti gli abitanti del continente e delle isole, ritornarono di nuovo alla gioia. Nessuno infatti ricorda che mai ci fu una così grande gioia di un qualsiasi popolo o regione per il recupero della salute del proprio principe, quanta allora ci fu per la salute di Gaio in tutto il mondo, appena riprese il comando e si cominciò a riprendere dalla debolezza.
Essi che non conoscevano la verità, godevano come se allora per la prima volta incominciassero a mutare la vita selvaggia e naturale in sociale e civile e a migrare dal deserto, dalle tane, dalle falde dei monti alle città fortificate e dopo una vita passata senza maestro, ad obbedire sotto un prefetto, ad un pastore e mandriano di gregge migliore.
La mente umana, infatti, vede male, né comprende che cosa sia veramente utile potendo servirsi di più dell’immagine e del vaticinio che della scienza. Pertanto non molto dopo, subito quello sperato salvatore, beneficentissimo, che avrebbe dovuto inondare l’Europa e l’Asia con nuove fonti di felicità, destinate a giovare privatamente, ciascuno e pubblicamente tutti, a cominciare dalla propria casa secondo il proverbio”a cominciare dal lare\" (dal focolare domestico), sfociò in crudeltà o piuttosto mostrò chiaramente quanto fino ad allora aveva dissimulato…
Il giudaismo, secondo Filone (Ibidem, 14-24), scopre la nuova realtà dell’impero giulio-claudio ostile, ferocemente ostile non solo agli aramaici ma anche agli ellenisti: la coesione tra un prefetto inquisito, connesso al popolo alessandrino, e l’imperatore, determina il pogrom alessandrino e con esso inizia un graduale sistema di distruzione dell’ethnos, colpito al cuore con la voluta installazione del colosso di Caligola nel tempio di Gerusalemme (dopo l’avvenuto insediamento nella grande Sinagoga alessandrina, capace di contenere 100.000 fedeli) e nel decreto imperiale antigiudaico di annientamento dei palestinesi, in caso di rifiuto.
Questa mirata azione, connessa con la soluzione del problema della successione. grazie alla morte di Tiberio Gemello e con lui la distruzione del senato, dei cavalieri, adombrata con la morte di Giunio Silano e di Macrone (cfr Caligola il Sublime, cit), favorisce l’inventio della pazzia di Caligola, la cui azione già doveva essere letta negli ultimi atti, compiuti da Vitellio in terra palestinese.
Già l’azione contro i samaritani (che avevano appoggiato probabilmente Jehoshua), i quali erano stati puniti da Pilato, su mandato di Vitellio, che ne fece una strage e rese possibile il passaggio delle truppe e la deviazione dalle terre giudaiche, è opera di Macrone e di Caligola: Tiberio, che ordinò che Pilato fosse inquisito e condotto a Roma per essere giudicato per mal governo compì, con questa azione, uno dei suoi ultimi atti imperiali, dal letto di morte, sotto la spinta del successore.
La situazione non era mutata in terra palestinese, se non marginalmente: a Gerusalemme, in Giudea Samaria ed Idumea, che costituivano la Ioudaea, dopo un anno, fatta eccezione per Kaifas destituito da Vitellio: tutto era ancora stabile in Perea e Galilea, sotto Erode Antipa, anche lui, però, incerto nel potere perché minato già da suo nipote–cognato Erode Agrippa, che inizia la sua ascesa regale, essendo stato fatto da Caligola re di Iturea e zone limitrofe nell’ex tetrarchia di Filippo, nonostante le lamentele del tetrarca (cfr. Caligola il sublime, cit).
Caligola, finito il periodo delle feste, caduto malato e poi guarito, cominciò una progressiva azione di riforma dello stato, i cui obiettivi erano l’abbattimento della ‘élite senatoria e l’annientamento della organizzazione economico- finanziario-religiosa giudaica.
Nel disegno di Caligola il giudaismo aramaico doveva essere annientato, data la sua recrudescenza periodica e considerata la differenza culturale con gli integralisti giudaici e con esso quello ellenistico doveva essere, prima limitato nel suo potere finanziario ed economico, stroncato nel suo proselitismo e distrutto nel suo impero commerciale: il giovane imperatore, dopo avere fatto fuori Macrone, suo suocero Silano e suo cugino-figlio, per consolidare il suo principato, ritiene opportuno destabilizzare i senatori e il senato e gli equites sostituendoli con i ministeriales, liberti che già operavano alle dipendenze della domus giulio-claudia, come magistri (servi) addetti alle corrispondenza, alle finanze, alla economia e alla diplomazia, a capo di ministeri già funzionanti in epoca tiberiana.
Dopo la prima fase, molto dispendiosa, per accattivarsi il favore militare e popolare, il principe cambia totalmente politica e diventa fiscalissimo e in questa attività colpisce i giudei che, grazie all’aiuto ininterrotto di Augusto e di Tiberio, avevano creato col proselitismo una rete finanziaria e commerciale, che copriva l’intero ecumene.
Caligola, colpendo gli equites, colpiva anche i giudei e le loro molteplici attività distruggendo il loro capitalismo, incentrato sul sistema bancario.
La sua azione parte da una inquisizione sulle armi in Alessandria, iniziata da uno zelante Prefetto come Avillio Flacco, un perfetto governatore tiberiano, che, temendo di esserre inquisito da Caligola perche delatore della madre, non avendo più il sostegno di Macrone, di Silano e del suo partito tiberiano, appoggia l’elemento greco di Alessandria contro i Giudei, e li priva, col tacito consenso di Caligola, dei loro diritti civili, facendoli precipitare da cives –politai ad inquilini csenoi epeludes.
L’atimia determina la fine del commercio giudaico, prosperato per decenni dal periodo di Cesare e e poi di Antonio e Cleopatra, divenuto grandioso fenomeno con Augusto ed anche con Tiberio pur con qualche limitazione e condanna.
Il processo antigiudaico era iniziato nel periodo seianeo 26-31, era poi rimasto latente, fino alla morte di Tiberio ed era riesploso nella primavera del 38 ad Alessandria per poi seguitare fino alla morte di Caligola: questo quindicennio è segnato da persecuzioni, quella di Seiano, Flacco e di Caligola di cui Filone ha rilevato tragicamente i momenti con la sua opera Peri aretoon, di cui ci sono rimaste solo In Flaccum e Legatio ad Gaium.
La ricostruzione di quest’opera composta di cinque libri in cui sono trattati i fatti capitati ai giudei (a epathomen/quelle cose che noi soffrimmo), probabilmente divisa in modo da rilevare il crescendo di tragedie culminate con la volontà di sterminio totale da parte di Caligola, che impone l’erezione del suo colosso nel tempio di Gerusalemme al governatore di Siria Petronio Turpiliano, come atto di profanazione della santità templare e come sua personale manifestazione divina dopo la sua ektheosis, autorizza il collegamento tra i fatti di Palestina e la costituzione del malkuth, con l’impresa di Vitellio, con l’agitazione e sommessa di tutto il mondo giudaico della diaspora al momento della creazione del regno messianico e della sconfitta e morte del Christos e quelli alessandrini, permettendo congiunzioni politiche proprie della neoteropoiia caligoliana(Cfr. Caligola il sublime, cit).
La neoteropoiia, tolta la pazzia caligoliana, una storiella ridicola, costruita dalla propaganda giudaica congiunta con quella senatoria ed equestre antigiulia, ripresa poi dalla dinastia flavia ed antonina, ai fini di una propria giustificazione di potere, è una politica di straordinario valore innovativo, basato sull’adesione popolare e militare, grazie ai meriti militari del domus giulia (Cesare, Augusto, Druso, Germanico), tesa alla ektheosis, dopo la distruzione del ceto senatorio ed equestre, e dopo la sostituzione ai vertici amministrativi provinciali con un gruppo di liberti amministratori pubblici, a seguito della costituzione di un sistema fiscale, che sopprimeva quello erariale e quindi considerava eguali tutti i cives, isonomici, dopo l’ eliminazione di ogni privilegio sia di classe che di stirpe, che di religione (Cfr. Caligola il sublime, cit).
Il giudaismo, che usciva da una delusione così profonda della falsificazione del suo Christos, non ancora ripresosi dallo stordimento della fine del malkuth, incapace di reagire, specie quello palestinese, di fronte al pericolo della profanazione del tempio, ha una supina accettazione, basata sulla cessazione dei lavori agricoli e sull’esodo composto, rituale: esso va in processione, a sei file a Tiberiade, ben guidato da elementi moderati, come i sadducei, rimettendosi alla clemenza dell’imperatore e del suo rappresentante, il nuovo governatore di Siria, Petronio Turpiliano (Flavio, Ant.Giud., XVIII, 261) preferendo la morte collettiva alla profanazione del tempio.
Quello diasporico, visto naufragare il proprio impero emporico e finanziario, dopo l’atimia, cerca una difesa in Dio, consapevole, inoltre, della volontà di Caligola di trasferire la propria capitale ad Alessandria e quindi di gestire l’impero proprio dalla capitale del giudaismo, sede della centrale finanziaria giudaica, già compromessa.
In questa situazione di estremo pericolo per il giudaismo universale, ben temeva Petronio le congiunzioni tra i tre giudaismi (quello palestinese, quello aramaico parthico e quello diasporico), la ricchezza della finanza giudaica ellenistica che, se messa al servizio del militarismo aramaico, avrebbe potuto sconvolgere il mondo e determinare un nuovo conflitto con la Parthia e rivoluzioni interne all‘impero romano stesso, data la consistenza numerica in ogni città dell’elemento giudaico.
ll giudaismo ellenistico aveva mostrato non solo potenza finanziaria ed economica per il patrimonio bancario e per il dominio sui porti del Mediterraneo, specie di Alessandria, e per le connessioni e ramificazioni in ogni centro anche piccolo di tutto l’Occidente e l’Oriente, ma ora essendo congiunto con quello aramaico minacciato nella sua sede centrale di Gerusalemme, poteva innescare un batteria di rivolte, capace di minacciare l’ordine e rompere l’eirene stessa dell’impero romano.
Il pogrom dell’estate del 38 e la difficile situazione antisemita mantenuta per tutto il regno di Caligola fino alla sua morte, nonostante l’azione di difesa di Erode Agrippa, divenuto anche re di Galilea e di Perea,determinano uno sconvolgimento nell’impero, generale, reso ancora più tragico dal clima di felicità, inaugurato nel periodo saturnio dal regno di Caligola.
Solo la morte di Caligola salvò dalla punizione di esilio in massa per il rifiuto di portare il colosso nel tempio e fece cessare le agitazioni in ogni città in quanto i greci vincitori, insicuri degli eventi e sulla successione rimasero perplessi di fronte alla mostruosità dell’uccisione del sovrano e quindi le Boulai cittadine non ebbero tempo di votare le acquisizioni indebite, gli espropri e quindi di incamerare i beni giudaici.
Con la nomina di Claudio ad imperatore e quindi con la non interruzione dinastica, i greci frenarono la loro azione antigiudaica e gli ebrei respirarono in attesa di un editto imperiale di ripristino della situazione precedente, fiduciosi in un atto di clemenza del nuovo imperatore, che doveva seguitare nella linea economica della sua domus secondo i prostagmata lagidi, accettati da Augusto.
Se, da una parte, la situazione cambia, resta, per, la necessità di non seguitare nel proselitismo, altrimenti l’imperatore punirà il giudaismo (Editto di E. Retto o lettera agli alessandrini cfr. Giudaismo romano, cit. e Legatio ad Gaium, cit.), ritenuto come peste dell’impero.
Il giudaismo ellenistico respira, mantiene il suo status nel periodo di Claudio e di Nerone anche per la protezione di Poppea, ma, dovunque, nelle singole città, ricorrentemente si verificano scontri tra greci e giudei: Antiochia e Cesarea Marittima mostrano come il sistema di vita ellenistico non più protetto, ma solo parzialmente assicurato dall’autorita centrale romana, sia, ora, privato di auctoritas locale e perciò vulnerabile, specie dopo la morte di Erode Agrippa I (Cfr Caligola il sublime, cit e Giudaismo romano, I parte,cit).
Alla sua morte, infatti, essendo ripristinato il vecchio statuto sulla Giudea e data la prefettura a Cuspio Fado e quella di Siria a Cassio Longino (Flavio, Ant. Giud., XX, 1-14), ci furono ribellioni in Perea e la questione della veste sacerdotale, che di nuovo fu appannaggio dei romani.
Fado e Longino si accordarono, facendo un patto con i sacerdoti, che tumultuavano insieme col popolo e chiesero che, se essi davano ostaggi, potevano inviare una commissione ed ambasceria a Claudio per la richiesta della veste.
Claudio, per amore del figlio di Agrippa I (Agrippa II ) e dei suoi fratelli Erode ed Aristobulo, permise che la veste fosse in mano giudaica e specificamente di Erode re di Calcide, che ottenne l’autorità sul tempio, sul vasellame sacro e sull’elezione del sommo sacerdote (Ibidem, 16).
Gli episodi di Cesarea e di Antiochia sono esemplari in questo senso ed evidenziano la stato di rappresaglia nell’interno di città proprio a causa della presenza giudaica: la situazione in Ioudaea divenne tragica alla morte di Erode Agrippa nell’agosto del 44, anno in cui fu acuta la carestia (Cfr. Flavio, Giudaismo romano, cit.)
Professore, La nuova costituzione per la Iudaea è un altro segno del buon governo romano?
Non scherzare, Marco! Specie in un momento di grave crisi economica, Claudio sa contenere l ira imperiale, ma ha le stesse idee del nipote, che voleva estirpare il cancro giudaico!. La Ioudaea, con parte della Perea e della Galilea , ora, è di nuovo sotto il potere diretto di Roma: Claudio non ha voluto dare a Agrippa II il potere neppure di una parte del regno paterno, vista la giovane età (17 anni), gli concede solo parziale potere su zone ituraiche, mentre a Erode, fratello di Agrippa I venne dato il regno di Calcide (poi concesso, alla sua morte, al figlio di Agrippa I)!
Con la nuova costituzione la Iudaea va ormai verso la sua distruzione totale, prima templare ed infine gerosolomitana e nazionale!
Della Philosophos Istoria di Porfirio si conoscono alcuni frammenti, tratti da Cyrillus contra Iulianum.( 4,11-12, 14, 18-22) per il quarto libro.Per la conoscenza degli altri tre libri dell opera, però, siamo debitori principalmente a Suda (framm.2,3,7- per il I e II libro) a Teodoreto (framm. 13,15-16 e 11-12 ) per il terzo Anche Eusebio dà il suo contributo (frammenti 25-29 ) al fine di conoscere l opera di Porfirio, ma come già gli altri autori cristiani per tracciare un profilo negativo della filosofia porfiriana
Continua la lettura di Cirillo e Porfirio
Girolamo e la traduzioneLa lettera LVII di Girolamo a Pammachio è un vero trattato sulla traduzione.Essa si divide in 13 paragrafiLa lettera è tipica espressione di un’artificialità retorica, in cui è facile rintracciare la formazione di Girolamo, discepolo di Apollinare di Laodicea e di Gregorio di Nazianzo e quindi indirettamente della scuola origeniana del Didaskaleion di Alessandria. Girolamo è inficiato, quindi, di apollinarismo!La sua opera risente della theoria apollinarista, che seppure condannata in Oriente, in Occidente, ha qualche sua applicazione!.Gli apollinaristi affermano che Gesù Christos non ha un anima razionale come l uomo, avendo nell incarnazione il Verbo assunto un corpo senza l anima, per cui le manifestazioni della vita intellettiva dell anima in Cristo sono dovute unicamente al Verbo. Polemizzando con gli ariani, Apollinare, nell uomo distingue, secondo il pensiero platonico di Plutarco (Il volto della luna, a cura di D. Del Corno, Plutarchi moralia selecta, Adelphi 1991) il corpo/soma o Hule, l anima sensitiva /psyché e l anima intellettiva /nous, rilevando che il Verbo divino assume della natura umana soltanto il corpo e l anima sensitiva ma non l anima intellettiva. Apollinare ritiene che nell unione di due nature, in sé perfette, quella umana e quella divina non possono rimanere integrali, altrimenti verrebbe diminuita la natura divina. Perciò, è necessario che nell unione sia mutilata la natura umana che risulta imperfetta in quanto senza anima . Infatti secondo Apollinare, in un uomo completo esiste il peccato, che deriva dalla volontà, dallo spirito. Se si vuole salvare l impeccabilità di Cristo, è necessario eliminare l anima intellettiva! a mio parere Girolamo all epoca è origeniano e, quindi, segue ancora l indirizzo di Gregorio di Nazianzo, razionale, pur nella dimostrazione, e retorico in ogni sua affermazione.
Precisato questo, per dare un segno paradigmatico della retoricità dell’opera di Girolamo, mi sembra opportuno rilevare il sistema di semantizzazione della conclusione, connessa con la grammaticizzazione: da una parte -anche se in una porzione limitata -si capisce il sistema operativo del grande interprete e da un’altra la sua logica apocalittica.
Continua la lettura di La traduzione e Girolamo
Nifo o Machiavelli?
Nel corso del mio lavoro di storico mi sono incontrato in tante conclusioni astoriche, in tanti giudizi assurdi, tirati col senno del poi da uomini considerati esperti.
Ho considerato, perciò, i tanto stimati esperti solo parolai e i grandi comunicatori di massa affabulatori e non seri operatori della storia.
Per me fare storia vuol dire ricostruire esattamente un epoca in ogni settore di vita e perfino riprodurre la quotidianità in modo da veder scorrere la regolarità di normale flusso vitale come in un corpo vivente.
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Filone, pur conoscendo Gesù Cristo, non ne parla nella sua monumentale opera.Neppure è possibile avere la sicurezza che Filone e il Christos si conoscano perché l opera Peri Toon Aretoon, in cui il theologos avrebbe potuto parlarne, ci è giunta priva di tre libri, e specificamente di quello dove probabilmente avrebbe dovuto trattare del bios del Signore.Noi cristiani, inoltre, abbiamo fatto christianos Filone, e nemmeno abbiamo preso in considerazione che Christos potesse essere stato filoniano, cioè uomo seguace del pensiero legalistico oniade e perfino capace di realizzarlo secondo la prospettica scismatica emporistica, comunitaria propria dei discendenti di Onia IV.Al di là di come è andata effettivamente la storia cristiana, a noi si propone il problema dei motivi per cui Filone non parla di un evento così importante per il giudaismo in epoca tiberiana.
Continua la lettura di Filone cristiano o Cristo filoniano? Ta kata Seianon
Il mio essere anthropos e il cristianesimo dei miei amici e parenti.
Per almeno quaranta anni mi sono proposto come paradigma operativo, come exemplum di un vivere quotidiano faticoso, tormentato, proprio di chi ricerca un autenticità personale e, contemporaneamente, un Dio nascosto la cui presenza ha rasserenato il mio iter-.Ho cercato vie alternative, facendo tortuosi percorsi ed ho girovagato, prima di orientarmi verso una salita zigzagata, facendo, però, un apparente, inutile, fatica sisifea, degna, comunque, di essere ripetuta in quanto prodotto di una reale esperienza.Non ho, quindi, pretesa alcuna di essere profeta e non credo di avere una missione sacerdotale e nemmeno una funzione, ma solo ho coscienza di poter indicare una methodos, un altra via.
Continua la lettura di Agli amici e parenti, cristiani
Ho cercato per anni di ricostruire la situazione ebraica della Pasqua del 36 d.C. e quella del settembre del 1666 per capire come un popolo di grande spiritualità possa essere rimasto, di fronte ad un episodio di morte o di apostasia del proprio Messia.Quale sentimento possa essersi provato, quale delusione dopo tanti anni, decenni, secoli di attesa, proprio quando si è giunti alla liberazione, alla redenzione!.
Continua la lettura di Il messia mancato
Apokatastasis ed OrigeneE’ possibile ipotizzare razionalmente un kosmos ordinato secondo regole razionali, secondo logos in un’ oikonomia divina?La phusis è figlia di Dio unigenita, dicono i platonici e gli stoici (o meglio il figlio unigenito del theos è h phusis ).Bene.Ma c’è veramente ordine nel Kosmos, nell’uomo e in ogni vivente? oppure to pan è un insieme in cui esistono forze contrapposte o parallele o miste ed è geneticamente quello che è, cioè un magma indefinito, una materia /Ulh che si riproduce sempre identicamente a se stessa, secondo un processo causale e casuale, ma anche secondo un proprio sistema di genomi, secondo leggi fisiche chimiche, biochimiche elettrochimiche?
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La morte di un DioFlavio (Ant. giud., XIX,211) dopo aver parlato della congiura e della morte di Gaio Caligola, conclude dicendo che il sovrano aveva trattato con amore e rispetto i suoi amici Agrippa ed Antioco turannodidaskaloi, poi era diventato demokraticotatos molto democratico e si era allontanato dalla sua stessa paideia e docsa, nobiliare, propria del perfetto Basileus/re ei suoi amici, perciò, volta l’amicizia in odio, tramarono e l’uccisero.
Continua la lettura di La morte di un Dio
Da un intervista del 1978 di Mario Gorini ad Angelo FilipponiProfessore, non le sembra strano che in una società acculturata, si parli di nuovo di analfabetismo?A livello superficiale può sembrare paradossale che nelle società di rapido acculturamento, di alto benessere economico, democratiche, ci sia analfabetismo di ritorno, ma se si esamina il fenomeno, a livello profondo, si rileva che sono pochi coloro che detengono il potere culturale e che molti sono dipendenti e che gli uni hanno abilità di lettura e di decisionalità in situazione e gli altri ne sono privi.
Continua la lettura di L Italia dell analfabetismo
Ad Iammia, tra il 70 e 94 d.C., si decise il testo della Bibbia masoretica ( quella che oggi diciamo Bibbia Stuttgartensia, cioè la versione a stampa del codice masoretico di Leningrado redatto tra il VI e IX d.C. dai custodi della masorah tradizione della scuola di Tiberiade che succede a quella di Johanan Ben Zaccai) e si rifiutò quello dei Settanta, che era in lingua greca, usato dagli ellenisti.Come sacre scritture furono considerate dagli ebrei:Torah ( Pentateuco: Genesi, Esodo, Numeri, Levitico, Deuteronomio);Nevi im (Giosué ,Giudici, Samuele I-II, Re I-II, Isaia. Geremia. Ezechiele, 12 profeti minori);Ketuvim (Agiografi: Salmi di Davide, Proverbi, Giobbe, Cantico dei cantici, Rut, Lamentazioni, Ecclesiaste, Ester, Daniel, Esra, Nehemia Cronache I-II ).
Continua la lettura di I due canoni
1. PremessaFare luce su Jesous Christos Kurios per me è stato l assillo della vita da quando bambino recitavo le preghiere e non capivo ciò che dicevo in latino, da quando mi dissero che Dio si riposò il settimo giorno ed avevo la domenica come giorno festivo e non il sabato come era scritto nella Bibbia, da quando mi parlarono di un Gesù falegname che, però, era rabbì, e predicavano un Dio Veterotestamentario creatore crudele e selettivo e un Dio Neotestamentario Padre buono e misericordioso, da quando mi facevano cantare Deus Sebaoth/ dio degli eserciti, poi cambiato in Dio dell’universo.
Continua la lettura di Premessa a Ma,Gesù chi veramente sei stato?
Scuola come officina-meccanica per la formazione di persona creativa.
Perché non vendere tutti gli istituti scolastici? sono vecchi e non funzionaliPerché col loro ricavato non si inizia la costruzione di nuovi complessi, polifunzionali in aree agricole? costano poco o nienteLo stato guadagnerebbe di certo tra vendita di aree ed edifici urbani ed acquisti di aree agricole da convertire in aree edificabili per edilizia scolastica!Necessita una legge regionale? si faccia al più presto!La nuova scuola potrebbe dare un nuovo volto all Italia, spinta al rinnovamento culturale e ad una nuova politica, grazie anche ad una ripresa economico-finanziaria !
Continua la lettura di Nuova scuola
Nonno, mamma e papà sono andati a visitare Mont Saint Michel, in Normandia, e so dell importanza di questo arcangelo, divenuto anche santo nel Medioevo, venerato anche in Val di Susa e nel Gargano, oltre che in Irlanda, in Cornovaglia e in Umbria a Ferentillo!. Vorrei chiederti qualcosa su di lui, ma tu fai questioni teologiche e filosofiche: io, ragazzo, amo solo i racconti e i cammini come quello di Santiago o dei Romei; io sono curioso di conoscere luoghi nuovi e leggende! Se devi proprio parlare di teologia, fàllo almeno solo all inizio e poi raccontami ed io ti seguo, come sempre.
Mattia, cercherò di non pesarti e di non annoiarti! ti parlerò prima, di S. Michele arcangelo garganico, che ha il culto più antico, rispetto a tutti gli altri: la sua venerazione inizia con le sue apparizioni al vescovo di Siponto (Manfredonia), leggendarie, Lorenzo Maiorano un ultra centenario vissuto dal 440 al 545, un nobile parente dell imperatore di Oriente, Zenone (474 -486) da lui inviato in Puglia e eletto prelato da papa Gelasio I protagonista del Liber De apparitione sancti Michaelis in Monte Gargano, opera scritta nel XII secolo.
Quindi, Nonno, iniziamo con il racconto delle apparizioni nella grotta di S Michele, non lontana dal santuario di S. Michele garganico, attuale, dove viveva il santo vescovo? il culto dell arcangelo, diffuso in Europa, deriva dalle prime apparizioni sul Gargano!
Certo. Mattia! il monaco bizantino soleva rifugiarsi nella grotta per pregare ed aveva le visioni dell arcangelo, considerato il protettore degli uomini contro le insidie del demonio, tentatore, Lucifero- Satana, anche lui un tempo un angelo. Monte Saint Michel in Normandia e La Sacra in Val di Susa sono due località in cui viene anche celebrata l apparizione dell arcangelo, ma in epoche successive, quando il mito di S. Michele ormai ha radici profonde in tutta Europa. La via francigena dopo che i visitatori pellegrini arrivano a Roma procedendo lungo due direzioni, una lungo l Appia e l altra lungo la Salaria fino all Adriatico, costeggiandolo fino al luogo santo della grotta garganica, (diventata punto di incontro e di raccolta per la meta finale di Gerusalemme, specie dopo il proclama della I crociata fatta da Urbano II, papa francese, nel decennio 1088-1099), risulta una via per la Terra Santa.
Nonno, dunque, il culto di S Michele diventa internazionale dopo il proclama del grande papa di riconquista del Santo sepolcro, e di Gerusalemme da secoli, sotto il dominio, comunque, pacifico musulmano.
Mattia, Urbano II segue il disegno teocratico di Gregorio VII, tipico dei Pierleoni, giudeo-cristiani, stanziati nella isola tiberina, favorito da Matilde di Canossa e dalla sua famiglia, dopo la vittoria sull imperatore del Sacro romano impero Enrico IV, a seguito dei viaggi in Italia meridionale e di quelli in Francia, dove, a Clemont -Ferrand, ha indetto la I crociata. Il culto dell arcangelo ha funzione politica e ricuce lo strappo tra Occidente ed Oriente dello scisma del 1054, collegando le aspirazioni cluniacensi di riforma cristiana con le idee di grandezza della chiesa romana, che, avendo la solidarietà dei popoli e dei duchi in senso antimperiale, anche nel Meridione di Italia e in Sicilia, zone considerate feudo pontificio, ha dato potere ai normanni in Puglia e in Calabria, nominando Roberto il Guiscardo duca e servendosene per un servitium antibizantino ed antisaraceno. Il papa, poi, avendo accolto anche il grido di soccorso di Alessio Commeno, imperatore bizantino impegnato contro i turchi, ora ha possibilità concrete di riunificare la chiesa cristiana cattolica con quella ortodossa e di riconquistare, con forze latine, Gerusalemme.
Quindi, nonno, il culto di s. Michele serve a questo proposito ed è utile nella lotta tra cristiani coalizzati, bizantini e germanici, contro i musulmani, in quanto si dice che le milizie di Dio lottano contro quelle demoniache.
Certo, Mattia, per il papato, l arcangelo guida i soldati cristiani, segnati con la croce e da essa purificati contro le forze del male maomettane!. Così facendo e facendo propaganda Urbano II scatena un guerra religiosa, convinto che il Dio degli eserciti sia favorevole ai buoni! In questo modo la feccia di Europa specie i figli della nobiltà, cadetti, militari arroganti e senza terra, morti di fame, avidi di nuove terre,- va alla conquista dell Oriente e dei mercati orientali in nome di Dio, favorita da Venezia e dalle altre repubbliche marinare, ha la funzione della difesa della fede, ed ha la benedizione papale: in caso di morte, ogni morto è celebrato come eroe e martire, e se, invece sopravvive, ognuno si conquista un regno per sé e la famiglia! Anche è benedetta l impresa di riconquista della Sicilia di Ruggero I, fratello di Roberto, modesto signore di Melito in Calabria. Infatti il papa usurpa le funzioni del potere imperiale, assumendo potestas ed auctoritas, impropria per il sacerdotiun /ierosousune , e nel suo viaggio nel meridione italiano, prima a Melfi, poi a Bari durante la celebrazione dell arrivo delle reliquie di S. Nicola di Mira, concede benefici e un insperato mandatum ai due fratelli normanni : al duca di Puglia e Calabria riconosce le funzioni egemoniche e concede al fratello l autorità di governare la Sicilia, strappata ai musulmani con l aggiunta di un beneficio pontificio cosa negata gli imperatori di Germania- di nominare vescovi, di raccogliere le rendite della chiesa, riservandosi il diritto della decima da inviare successivamente a Roma, e di svolgere interventi anche in questioni di materia religiosa, d accordo coi vescovi locali sottoposti, comunque, alla autorità laica dei normanni, devoti e pii fideles Sancti Michaelis, e di trapiantare in Sicilia coloni lombardi.
Nonno, che significa il termine Michele e qual è il suo grado nella corte celeste?
Mikha-el significa uno che è come Dio, un essere, purissimo, asessuato, che è vicino al trono divino ed è suo rappresentante, in quanto svolge la funzione di comandante delle truppe angeliche, divise in tre classi, in relazione alla vicinanza con Dio, come mostra anche il nostro Dante nel Paradiso.
Quali?
La Terza classe, quella inferiore, più lontana da Dio, è composta da angeli, arcangeli e principati; la seconda, media, da potestà virtù e dominazioni; quella, superiore, da Troni, Cherubini e Serafini secondo Dionigi aeropagita, un presunto discepolo ateniese di S. Paolo , che invece è un filosofo neoplatonico del V secolo legato a Damascio che ha lasciato un complesso corpus aeropageticum, di cui fa parte il liber De coelesti Hierarchia/la celeste gerarchia
E lui che parla degli angeli, allora?
Certo Mattia. E un autore dello stesso periodo di S. Lorenzo Maiorano, bizantino, che tratta della maestà del trono di Dio e delle gerarchie angeliche, di cui parla diffusamente, mostrando una celeste theoria, derivata da Aristotele, da una parte, come imitazione del reale e, da un altra, da Platone, come specchio della realtà, fondando un estetica basata sulla bellezza sovrumana secondo canoni basilari di semplicità, di armonia, di simmetria, di regolarità ricorrente e di lucentezza, in relazione all uomo- dio Christos, figlio, Verbo del Padre, dal cui reciproco amore deriva lo Spirito Santo.
Grazie, nonno, per aver brevemente parlato teologicamente e per avermi fatto capire che S. Michele è il comandante degli eserciti divini, in quanto il migliore dei serafini, loro capo e quindi condottiero delle nove gerarchie angeliche (angeli, arcangeli, principati, potestà , virtù, dominazioni, troni, cherubini e serafini) colui che ha il mandato celeste di combattere il male, il tentatore Satana -Lucifero, il ribelle!
Bravo Mattia . Hai buona memoria come me! Hai capito che Michele è il principe di tutti gli angeli, nonché uno dei quattro arcangeli ( con Gabri- el/dio forza , Rafha-el /dio cura, e Uri- el/ dio luce) che presiedono rispettivamente ai quattro punti cardinali- cfr Giovanni Apocalisse est, ovest, nord e sud, come protettore della terra, in ogni direzione, con la propria influenza benefica.
Nonno, non è strano che un essere, angelico possa essere venerato come un uomo e santificato?
No. Mattia. Può apparire singolare che un essere celeste si umanizzi come anche che un essere umano si divinizzi. E un fenomeno, detto muthos, che si verifica quando la sfera di azione dell elemento estraneo al suo contesto , diventa usuale in un ambiente non proprio, tanto da essene parte significativa. Le continue apparizioni con volto umano diventano come reali manifestazioni dell arcangelo nella grotta garganica e rendono umane le sue azioni, come se quelle divine si fossero atrofizzate in quanto lontane ormai dalla sfera di corte divina.
Nonno mi dici cioè che accade quanto noi rileviamo nella divinizzazione della figura umana di Gesù, che, essendo considerato figlio di Dio, ipso facto, partecipa della natura e funzione trinitaria e quindi è maestro sapiente e sapienza stessa!
Ciò avviene, però, in specifici momenti storici in cui si afferma il muthos, per cui accade di trovarsi di fronte ad un doppio culto, sebbene predomini la forma ibrida di angelo-uomo nelle fantasia umana, specie in epoca barbarica. I primi infatti a creare un culto umano-divino sono i Longobardi.
I longobardi?
Si Mattia . I longobardi di Alboino, scesi in Italia nel 568 e divenutine padroni, con la costituzione del Regno di Pavia e dei due ducati di Spoleto e di Benevento si irradiano lungo la dorsale appenninica, lasciando le coste adriatiche e quelle tirreniche, oltre le isole, Sicilia Sardegna e Corsica, all impero bizantino, che pur aveva riconquistato tutta l Italia, con Giustiniano nei diciotto anni di guerra gotica (535-553). Sembra che si possa dire che con Teodolinda si attua la cattolicizzazione dei longobardi nel 589, per cui pare che con Cuniperto la grotta diventi parte del Ducato di Benevento, e quindi sia meta di pellegrini, anche se già precedentemente è attestato un viaggio di papa Gelasio (492-496). Allora il culto dell angelo e del santo cresce anche perché la venerazione dei longobardi per S.Michele si fonde con quella di Odino/Wotan e seguita coi franchi, loro vincitori e poi, coi normanni tanto che papi come Leone X, Urbano II, Alessandro III, Gregorio X e Celestino V giungono alla grotta come pellegrini, seguiti da imperatori e nobili e popolani, intenzionati a partire per la Terra Santa Ludovico II ed Ottone III, Matilde di Canossa e perfino, s. Francesco vi arriva, senza entrarvi, nel 1216-.
Grazie, nonno. Mi hai fatto capire il mito di S Michele senza troppe questioni!
L ascensione al cielo del Christos è, professore, un fatto reale storico o un invenzione teologica di esaltazione divina, successiva alla presunta morte e resurrezione di un uomo? E un dato di fatto personale o evento propagandato, da una comunitas di seguaci che si costituisce come ecclesia apostolico- romana, a seguito della galuth adrianea, secondo il genus letterarium/ genere letterario dell Ascensione al cielo di un eroe nazionale, destinato a sedere alla destra del Padre? E un servizio greco e greco ellenistico, strumentale, della retorica per dare rilievo al presente, mediante il passato, per legittimare ogni tipo di situazione abnorme, ogni forma pragmatica e soluzioni future, possibili, di attesa? E proprio un modus ellenistico di mettere insieme spatium mitico e spatium storico, indefiniti temporalmente, di una cultura ebraica, confusi da opposti indirizzi di uomini, capaci di collegare mito e storia, favole con storia persiana? Esemplari in tal senso sono Erodoto, Platone e Plutarco?!
Marco, non hai mai fatto una domanda tanto complessa e tanto difficile così da obbligarmi a fare sintesi per darti una decente risposta, anche se sostanzialmente chiedi solo se l Ascensione al cielo del Christos rientra in un genere letterario tipico del II secolo d.C., che sovrappone il piano della genealogia mitica con quello della storia reale, il cui telos è dare certezza fideistica all ignoranza di un popolo che, in una grave situazione di epidemia, cerca una solidarietà fraterna universale. Comunque, mi sembri deciso a conoscere realmente i fatti, dopo la presunta morte e resurrezione del Christos vivente! Ti dico quel che so. Se Erodoto inserisce nel sistema multinazionale persiano la paideia greca, Platone parla di un fabulistico racconto di vecchie a bambini in Ippia Maior 285 mostrando Ippia che si vanta che gli spartani apprezzano le sue mitiche storie genealogiche umano-eroiche e le fondazioni di ecisti anche se Socrate considera il sofista uomo di scienza rozza nel Fedro (229e ), utile, comunque, per una società popolare, in un processo di razionalizzazione storica-!. Plutarco, infine, nel mito di Romolo, scomparso improvvisamente, insiste sulla necessità di razionalizzare la nebbia della storia per una verità, opinabile, mostrando il processo degli storici, nello studio del passato, simile alla visione nebulosa degli indovini per il futuro!. La cultura greca di fronte alla sparizione di un corpo, perplessa, si affida alla retorica al mito e giustifica secondo il dogma trinitario! A Dio niente è impossibile!
Professore, mito e storia non hanno confini precisi e non avendo limiti tra loro in quanto non hanno spatium temporale determinato, risultano campi nebbiosi, in cui ogni cosa può essere vera!.
Marco, se leggiamo insieme Plutarco (Romolo,29 ), possiamo capire qualcosa, facendo riflessioni circa la scomparsa del re all età di 54 anni, dalla vista degli uomini/ eks anthroopoon aphanistheenai. Sentimi bene!. Plutarco afferma che Romolo di fatto aveva limitato i senatori ad ascoltare in silenzio i suoi ordini/ sighi prostattontos hkrooonto ed aveva destabilizzato la loro auctoritas, avendo distribuito, a suo arbitrio, le terre ai soldati e restituiti gli ostaggi ai Veienti, per cui alla sua scomparsa in modo insolito, poco tempo dopo, sul senato ricaddero sospetti e calunnie/eis upossian kai diabolhn enepese paralogoos aphanisthentos autou met oligon khronon Ibidem 27. Lo storico, dopo un exursus sulla morte strana di Scipione l Emiliano nel 129 a.C., in casa sua, dopo pranzo, sospetta,- morto non si sa se per via naturale o per veleno o per strangolamento!- rivela che il suo corpo fu esposto al pubblico ed i dubbi rimasero, mentre quello di Romolo, scomparso all improvviso, non si poté mai più vedere né alcuna parte del corpo né un lembo della veste ibidem -.
Plutarco aggiunge che, sulla sua scomparsa, non si può dire nulla di sicuro né sapere nulla che appaia attendibile, tranne la data nel mese di Quintilio (Iulios, oggi), alle none/Il 7, e che non bisogna meravigliarsi, nonostante le celebrazioni successive.
Lo scrittore precisa: alcuni pensano che, perciò, i senatori, rivoltatosi contro di lui nel tempio di Efesto, lo avessero ucciso, spartendosene il corpo e portandosene via ciascuno una porzione, occultata nel grembo .altri invece dicono che non nel tempio avvenne la morte, ma che lui avesse convocato l assemblea, fuori città, nei pressi dello stagno, chiamato della capra, e all improvviso si avvicendarono nel cielo fenomeni eccezionali ed indescrivibili, a parole, e cambiamento di tempo incredibile: infatti la luce del sole si eclissò e calarono le tenebre ovunque, non foriere di pace e tranquillità, ma piene di tuoni terribili e di soffi di vento, che arrecavano tempeste da ogni dove.
E cosa succede in una situazione dominata da fenomeni atmosferici, molto simili a quelli della morte del Signore?
Avvenne che in tale situazione tempestosa, straordinaria, la moltitudine -non vi erano solo senatori ma anche altri, convenuti come per una festa- si sparpagliò, chi da una parte, chi da un altra e i senatori si raccolsero tra loro. Finita la tempesta, tornato il sole, i più ritornarono al luogo dell assemblea e si misero a ricercare il re, ma i senatori non permisero di impicciarsi della scomparsa ed ordinarono a tutti di onorare e di venerare Romolo/timan pasi kai sebesthai Roomulon come se fosse stato assunto in cielo, fra gli dei, e, da ottimo re, si fosse trasformato in Dio benevolo nei loro confronti/ oos anhrsparmenon eis theous kai theon eumenh genhsomenon autois ek khreestou basileoos ibidem .
La folla, per lo più, credette a quanto detto e perciò se ne andò, dopo aver pregato ed essersi prostrata, piena di speranza, ma alcuni che sopportavano a malincuore l accaduto e con rancore, screditavano i senatori- che erano preoccupati ed inquieti!- perché ritenevano che in realtà quelli avevano ucciso il re e con parole avevano abbindolato il popolo sciocco/ oos abeltera ton dhmon.
Forse per qualche giorno la cosa rimase in sospeso, Professore, ma, poi, successe altro?
Secondo Plutarco, tutto cambia quando un giorno, un uomo, originario di Alba, Giulio Proculo si presenta al foro e fa giuramento solenne su quanto di più sacro e santo ha, affermando di aver incontrato Romolo, apparso a lui, che camminava per strada.
Professore, certamente Plutarco precisa la figura del personaggio!
Certo, Marco. Chi vede il re, non è una donnetta- che non ha diritti civili,- come la Maddalena nei Vangeli, secondo la tradizione cristiana, che fa testimonianza! E un uomo che lo incontra frontalmente, un patrizio, un notabile /prootos hthei per costume, amico intimo e fidato di Romolo/ te dokimotaton autooi te Romuloioi piston kai suneethee!.
Professore, non è sospetto che proprio un Ioulios faccia un solenne giuramento, un antenato della stirpe fondatrice dell impero a Roma?
Certamente i giuli, Cesare ed Ottaviano (ed anche Claudio) sono interessati alla vicenda di Romolo e alla sua morte, in quanto a loro è cosa gradita accostare un loro antenato al re morto e divinizzato, come poi, avviene per Giulio Cesare! all epoca di Romolo, però, i giuli erano agroikoi di Alba, venuti a Roma, solo sotto Tullo Ostilio!
Quindi, professore, il dato di Plutarco è notizia di storici di epoca successiva, un aggiunta giulia, della propaganda imperiale giulia del periodo cesariano, in cui viene utilizzata l ektheoosis di Cesare, poi, celebrato nella divinizzazione alessandrina di Gaio Caligola -cfr.Filone, Legatio ad Gaium,76-93 !
Marco, è una leggenda successiva, rispetto al periodo mitico di Romolo, che definisce Giulio Proculo, già come patrizio intimo del re!.
Comunque sia, mi dica cosa lo scrittore greco scrive del racconto di Proculo, e dello scambio di parole tra un vivo e l eroe vivente, anche se scomparso!
Marco, Plutarco racconta che Giulio Proculo incontra Romolo kalos men ophtheenai kai mega oos oupote prosthen oplois de lamprois kai phlegousi kekosmeenos /bello a vedersi e grande, come non mai in precedenza, ricoperto di armi lucenti e scintillanti, e parla con lui!
Ecco il testo: oo basileu, ti dh pathoon h dianoetheis, hmas men en aitiais adikois kai ponerais, pasan de thn polin orphanan en muriooi penthei proleloipas?/ o re. cosa ti è successo? perché hai voluto abbandonare noi patrizi ad accuse ingiuste e terribili e la città in un immenso dolore, rendendola orfana?
La risposta è questa. O Proclo, agli dei è parso giusto che passassimo un certo tempo fra gli uomini e, dopo avere fondato una città destinata a divenire potente e prestigiosa, tornassimo ad abitare in cielo, da dove eravamo venuti. C è, Marco, anche il commiato, augurale! Addio e dì ai romani che, dimostrandosi saggi e valorosi raggiungeranno il culmine dell umana potenza!. Per voi io sarò il benevolo dio Quirino/ theois edocsen, oo Procle, tosouton hmas genesthai met anthroopoon khronon,kai polin ep archhi kai docshimegisthei ktisantas , authis oikein ouranòn, ekeithen ontas. Alla khaire kai phraze Roomaiois oti soophrosunhn met andreias askountes epi pleiston anthroopinhs aphicsontai, dinameoos . egoo d umin eumenhs esomai daimoon Kurinos.
Dopo le parole, credute, data la figura morale dell uomo, i romani, presi da entusiasmo ed ispirati dagli dei, fatti cadere ogni sospetto e calunnia, pregarono Quirino e lo invocavano come Dio/ euchesthai Kurinooi kai theoklutein ekeinon.
Professore, lei sta parlando a lungo di questo episodio ed ha un preciso scopo, quello di mostrare come per Plutarco l esempio di Romolo dia opportunità di trattare del problema dell anima e della sua immortalità di cui lei ci ha parlato in altre occasioni- in quanto ha di mira anche la dimostrazione della non morte e della non resurrezione del Christos, apparso ai discepoli, non come fantasma ma come vivente, celebrato secondo due diverse tradizioni, una aramaica farisaica ed una greco-ellenistica, cioè quella gerosolomitana di Giacomo e Simeone, e quella antiochena di Pietro e Paolo!
Complimenti! Mi conosci bene! Le due tradizioni, in relazione al rapporto con la romanitas, hanno avuto diverso rilievo nella storia, la prima quella del Regno dei cieli, sconfitta, insieme all esercito di Shimon bar Kokba, può avere, oltre alla diceria popolare della visione da parte della Maddalena, di un sepolcro vuoto, anche la propaganda dell Ascensione al cielo, quella sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme, mentre la seconda, già nel II secolo, fa circolare la leggenda di morte e di resurrezione del Cristo vivente, congiunta con l Ascensione gerosolomitana e con l onore del nuovo Dio che siede alla destra del Padre, di matrice aramaica.
Professore, lei mi vuole dire che le due tradizioni si sono sovrapposte specie dopo la galuth adrianea, già in epoca antonina e, poi confuse in quella costantiniano-teodosiana?
Marco, le fonti cristiane, di matrice giudaica, e Plutarco, un ierofante pitagorico-platonico, hanno in comune la celeste provenienza delle anime e l ascensione al cielo di quelle dei buoni eroi, tipo Ercole e Romolo, che, però, coincidono con la tradizione aramaica delle Ascensioni di Isaia e di Enoch, biblici personaggi, ascesi al cielo, secondo la testimonianza ebraica propria della fine del I secolo, di epoca flavia, dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme.
All epoca , dunque, professore, l ascensione al cielo è un topos comune a pagani e naziroi aramaici e ai giudeo-cristiani ellenistici?.
Marco, questo mi risulta e questo ho capito dopo tanti anni di studio e di traduzioni. Io ti voglio mostrare come, all epoca, un seguace giudeo- ellenista possa leggere la figura di Gesù, un galileo, la cui impresa messianica era fallita, ma la sua memoria, cfr. Bios di Ponzio Pilato- era rimasta, dopo il martirio, mentre la sua ascensione al cielo era divenuta leggendaria tra i suoi naziroi, sconfitti anche loro da Adriano, tanto da circolare ancora in Alessandria nel didaskaleion di Clemente e di Origene. E mia intenzione farti rilevare come l ascensione pagana e quella giudaico-aramaica e quella giudaico-ellenistica siano paradigmi di una stessa concezione letteraria, mitica!.
Quindi, professore riprendiamo da Plutarco e teniamo presente la sfera terrestre, il cui piano orizzontale centrale terreno è quella della vita per i viventi, mentre quello celeste, oltre il cielo, è quello degli eroi, e quello sotterraneo dell Ade, è quello delle ombre dei morti e dei demoni cfr. Luciano, Dialoghi degli dei, Dialoghi dei morti, una Vita vera, I patiti della menzogna/Philopseudeis ecc. o Plutarco, Moralia, specie il De anima, pur frammentario, e il De facie in orbe lunae.
Bene, Marco, devo aggiungere solo che per i giudei aramaici centrale è Gerusalemme e perciò da lì deve partire il Christos per la sua ascensione al cielo, come, poi, anche Maometto, seppure in luoghi diversi, ma sempre gerosolomitani. A parte questo, procediamo con Plutarco che, trattando dell ascensione al cielo di Romolo, mostra la sua theoria delle anime e la loro provenienza dal cielo, in cui hanno una tensione (genetica) a tornare, portando l esempio di Aristea di Proconneso e di Cleomede di Astipalea.
Sono, Marco, due personaggi noti, il primo, grazie ad Erodoto (St., IV,13-15 ), come un taumaturgo dell epoca di Creso e il secondo come vincitore di gare olimpiche nel 492 a.C., che, impazzito per la rabbia del mancato riconoscimento del suo valore, distrusse le scuole della città, determinando la morte degli allievi. Comunque, ambedue gli uomini, ritenuti degni di memoria e di celeste fama, come Alcmena, di cui non si vide mai il corpo, perché portato in cielo da Hermes, in quanto amata Zeus, gli aveva concepito Heracles/Ercole, secondo la tradizione pagana, sono politai ouranoi!. Plutarco, da ierofante, giunge perfino a coniare una proverbiale massima.- misconoscere la natura divina della virtù sarebbe empio e vile, ma mescolare la terra al cielo sarebbe stolto /apognoonai men ounpantapsi thn theiothata ths arethaanosion kai agennes,ouranooi de meignuein ghn abelteron!. La sua conclusione infine è pindarica: sooma men oantoon epetai thanatooi peristhenei/ zoon d eti leipetai aioonos eidoolon/to gar esti monon ek theoon/ il corpo di un uomo insegue la morte irresistibilmente, ma lascia dopo di sé una scia di eternità. Solo questa, infatti, viene dagli dei!
E un grande Plutarco non solo per Vite parallele ma anche per Moralia, scrittore capace di condensare tutto il sapere spirituale/ pneumatikos greco-ellenistico!.
Marco, lasciamo, quindi, cadere tutta la trattazione sull anima /h psuchh, che viene dal cielo e che lì torna, ma non col corpo. Anzi, all epoca la teoria più celebrata è quella di Eraclito, per chi crede che l anima solo quando si separa e si allontana dal corpo, divenuta pura e priva della carne e casta, allora si stacca come la folgore da una nube/ oosper astraph nephous!. Anche Seneca, un secolo circa prima, con Apokolokyntosis / Lusus de morte Claudii, gioca sull ascensione al cielo dell Imperatore, condannato, poi, da un giudizio celeste, nonostante la difesa di Giano e di Augusto, ad essere relegato, al pari degli altri mortali, comuni, nell Ade, dove Eaco lo concede come schiavo ad un liberto, che lo fa giocare eternamente con dadi, tratti da un barattolo senza fondo!
La conclusione plutarchiana, comunque, è questa: non bisogna far salire contro natura i corpi dei buoni in cielo, ma bisogna senz altro pensare che le loro virtù e le loro anime, secondo natura e secondo legge divina, passino dallo stato di uomini a quello di eroi e da quello di eroi a quello di demoni/ ek men anthroopoon eis hroas, ek d hroooon eis daimonas, e da demoni a dei /ek de daimonoon eis theous, non in base alle leggi della città, ma secondo verità e una logica plausibile. raggiungendo il traguardo più bello e felice, ma solo quando le anime si sono purificate e santificate, come nei riti di purificazione, dopo essersi sottratte del tutto alla loro natura mortale e sensibile ibidem 28-.
Professore, questo si verifica tra i pagani, ma tra i giudei quando si può parlare di un ascensione al cielo di un eroe, come Gesù?
Marco, bisogna distinguere se parliamo di giudeo-aramaici o giudeo-ellenisti ?
Nel primo caso si deve pensare che a Gerusalemme, dopo la distruzione del Tempio, dopo il ritorno da Pella dei naziroi, forse si comincia a parlare di un Messia, asceso al padre, mentre tra i giudei ellenisti la cosa potrebbe essersi verificata dopo la galuth adrianea, a seguito anche della teologica speculazione alessandrina ed efesina sul Christos logos/Verbum e sulla Trias/trinità quando l aramaico Gesù viene assimilato al logos-verbum ed, allora, viene celebrata l ascensione gerosolomitana!.
Simeone e gli aramaici, avendo una cultura biblica, seguono la tradizione dell ascensione di Enoch e di quella di Isaia, i cui autori, d altra parte, copiano l exemplum di Elia e l episodio del carro di fuoco, portato da cavalli, pure di fuoco, tra un turbinio di luce (cfr. II Re, 2.11) intorno all 850 a.C.!
Per lei, quindi, sono importanti i paradigmi giudaico- aramaici, divenuti utili agli inizi del II secolo ,che celebrano l ascensione del profeta Isaia, salito al cielo, dopo il martirio ad opera del re Manasse, il suo passare attraverso i sette cieli, di cui si rileva l apocalisse, con la celebrazione congiunta della morte resurrezione ed ascensione al cielo del Messia stesso christiano!. A noi sembra un recupero mitico del profeta morto nel settimo secolo con una connessione con Gesù, nuovo martire, da parte della cultura cristiano- ellenistica mediterranea, che ingloba l antico passato con la storia recente, adrianea, di una desertificazione del territorio stesso gerosolomitano!
Quindi, professore si può dire che noi riteniamo che vi siano influenze nel testo dei vangeli di Marco e di Giovanni e in quello di Luca, oltre che negli Atti degli apostoli a causa della galuth adrianea e della funzione nuova del Christos-Logos specie in Efeso e in Alessandria?
Marco, questo, certamente, penso, dopo operazioni su morte resurrezione e ascensione del Christos, ma in concreto mi piace precisare che i testi cristiani, parlando di Gesù, dànno per certo la sua morte e resurrezione, come dato acclarato, e scrivono stranamente, in modo univoco, tanto che, però, se si legge, senza pregiudizio, si rileva solo la presenza di una figura di vivente, che partecipa della vita stessa delle persone vive, cui si manifesta uno, dotato di corpo reale: il nuovo vedere (cfr. Oralità e scrittura dei Vangeli ) diventa espressione di un altra conoscenza, che risulta riconoscimento di un essere già noto, per precedenti atti significativi!.
Mi spieghi professore, meglio! lei parla di un altro vedere, allegorico e mi vuole dire che, se leggiamo il testo evangelico e quello degli Atti degli apostoli, si ha l impressione di un reale incontro tra persone viventi e non di un episodio straordinario di epiphaneia miracolosa!.
Marco, voglio dire che il miraculum è nella lettura letterale di un incontro tra un Gesù morto e risorto, destinato ad ascendere al cielo e sedere alla destra del padre- e i discepoli, incerti sulla figura di uno, comparso improvvisamente, a loro ignoto, che è vivente! all univoca scrittura dei testi evangelici c è sottesa un ambiguità nel contenuto del messaggio!
Leggiamo i testi, professore, e mi faccia comprendere!. Io ascolto e spero di poter aprire gli occhi e stappare le orecchie!
Marco, leggiamo da un altra angolazione, quella non di un Gesù morto e risorto, ma di un Gesù vivo, salvatosi grazie a lunghe cure mediche, desideroso di farsi riconoscere dai suoi, che lo credono morto e sepolto. Da questa angolazione si rileva l humanitas di chi appare, conscio di destare sorpresa, sbigottimento e timore in altri che, di fronte alla presenza di uno da identificare, a prima vista, sconosciuto, entrano in panico!
Leggiamo l episodio dei due discepoli di Emmaus (Luca, 24.31) da me mostrato già in Il messia mancato: I due, parenti oltre tutto, hanno fatto cammino con un un viandante senza riconoscerlo e solo allo spezzare del pane, gli occhi dei due si aprirono e lo riconobbero, ma egli disparve dai loro sguardi! . Luca professore, è contraddittorio per quanto riguarda il tempo e lei ne ha già parlato. Comunque, seguiti nella sua dimostrazione con la lettura di Marco e di Giovanni e poi riprenderemo Luca!.
Secondo Marco, gli apostoli, non avendo creduto né alla Maddalena né ai due di Emmaus, timorosi di rappresaglia, sono chiusi nel cenacolo e lì improvvisamente Gesù si presenta, agli Undici, che sono a tavola, e li rimprovera per la loro incredulità e durezza di cuore, rispetto a quelli che lo hanno visto risorto, per poi dire, prima di concedere loro i carismi (cacciare i demoni, parlare lingue, prendere i serpenti per mano, imporre le mani ai malati e guarirli) , essendo in procinto di ascendere al cielo: andate per tutto il mondo, predicate il vangelo, ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, chi non crederà, sarà condannato!. L evangelista, teso a mostrare la missione data dal maestro ai discepoli, chiaramente fa la sintesi di quanto avvenuto dopo la morte del Signore e non dà possibilità per un oggettivo calcolo della durata temporale, stabilita da altri invece, in 40 giorni di permanenza del risorto che fa apparizioni ancora in terra, da vivo.
Per Luca l apparizione di Gesù agli apostoli è questa: Gesù apparve in mezzo a loro e disse la pace sia con voi 24. 36-49.
Professore, ai discepoli, sbigottiti, che credono di vedere uno spirito/ un phantasma e sono pieni di timore Gesù dice: Perché siete così turbati e perché nei vostri cuori si levano questi pensieri? Guardate le mie mani e i piedi: sono proprio io; palpatemi e osservate: uno spirito, infatti, non ha carne e ossa come vedete, che ho io. E, dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi.
Ti ricordi bene il passo di Luca!. Ti aggiungo ancora che Luca mostra un Gesù, che per vincere la esitazione dei suoi e far superare lo stato di meraviglia, chiede cibo da mangiare: avete qui, qualcosa da mangiare ? Luca dice per fornire la prova concreta della presenza di un uomo, vivo: essi gli presentarono del pesce arrostito ed egli ne prese e ne mangiò alla loro presenza- ibidem-.
Se Marco non dice niente come tempo, Luca non dà possibilità reale di capire quanti giorni (anni?) dopo, ci sia incontro tra maestro e discepoli! La prova, fornita dell humanitas presente del Christos nel cenacolo, è utilizzabile solo allegoricamente se traduciamo 40 giorni con quaranta anni! Infatti Luca parla di Gesù che si conforma a quanto detto biblicamente e scritto nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi, al fine di far gli apostoli, testimoni di resurrezione dai morti al terzo giorno e di far loro comprendere la necessità di predicare, in suo nome, la penitenza e la remissione dei peccati, a cominciare da Gerusalemme!
Professore, Luca aggiunge un altro dato: Ecco, mando sopra di voi il Promesso dal padre mio, ma voi rimanete in città fino a quando non sarete rivestiti di potenza dall alto. Sembra che lo faccia per meglio mostrare la resurrezione del Christos, che, destinato a scomparire, lascia la ecclesia sotto la protezione divina! Lei ce ne ha parlato, ma non ci ha mai precisato questo punto!.
Marco, anche io non ho capito bene le parole di Luca anche dopo anni di studio, perché non comprendo esattamente la situazione in cui l evangelista parla. Penso che l evangelista alluda alla partenza definitiva di Gesù, che è fiducioso nella venuta di un promesso del cielo (Spirito Santo?!) che favorisca la costruzione di un Ecclesia, anche se non indica le modalità e i tempi. Comunque, sembra definitivo il distacco di Gesù vivo dalla terra e da Gerusalemme, descritto poi come ascensione al cielo, di cui Giovanni ci dà ulteriore testimonianza concreta, però, in Galilea, e non a Gerusalemme, dove si mostrò loro di nuovo /ephaneroosen.
L evangelista parla di pescatori, intenti alla pesca che, all alba, (prooias de hdh genomenhs), vedono, sulla riva, uno sconosciuto che chiede loro di mangiare, a cui dànno una risposa negativa perché hanno pescato invano tutta la notte. Allora lo sconosciuto consiglia di gettare la rete dalla parte opposta rispetto a quanto fatto prima, infruttuosamente, ed essi eseguono l ordine e fanno una pesca miracolosa.
Questo episodio, comunque, professore, è finalizzato principalmente al primato di Pietro che, per primo, riconosce il signore, che, dopo aver perfino preparato i carboni e pane, invita i pescatori a mettere pesci sopra, per mangiarli insieme .- 21.1-13-.
Professore, se Giovanni tende alla dimostrazione di Pietro, capo di ecclesia, cosa per noi molto successiva ai fatti, comprovata anche dalla volontà di mostrare la veridicità del suo scritto evangelico apostolico, circa le azioni e i detti del Signore, in quanto la sua testimonianza è vera alhthh autou h marturia estin, bisogna pensare che Gesù salga al cielo dopo quaranta giorni dalla sua resurrezione!.
Lei, professore, ci ha insegnato che secondo il processo allegorico, 40 giorni equivalgono a 40 anni -e che quaranta in realtà sono 25 anni per gli aramaici che hanno un calendario lunare cfr . A. e M. Filipponi, Vita di Giuseppe ebook 2016- .
Di conseguenza, si deve pensare che Gesù sia scomparso nel 61 d.C., poco prima della morte di suo fratello Giacomo/Jakobos, ad opera di Anano II, a Gerusalemme: non si sa se per morte naturale o per destinazione ignota (India?!).
Tutti i vangeli, compresi quelli di Marco e di Matteo, all epoca non esistono, se non come parti orali di una tradizione parziale aramaica, e solo più tardi in epoca flavia cominciano a comparire in greco singolarmente anche gli Atti degli apostoli- e solo quello di Giovanni sembra essere di epoca postadrianea -cfr. Giovanni 21. 18-23 Avvenire di Pietro e Giovanni (se voglio che egli resti, finché io ritorni, che te ne importa seguimi!)
Da qui sembra che derivi la diceria popolare sulla non morte del discepolo prediletto.
Per questo, professore, potrebbe essere indicativo il prologo di Atti degli apostoli circa l Ascensione al cielo ?
Potrebbe, ma di certo non si può dire niente. Dunque, riepilogando e sintetizzando, se Marco è scheletrico nel famoso controverso epilogo marcino- il signore Gesù dopo aver parlato, si elevò al cielo e siede alla destra di Dio-con l aoristo di elevarsi e col presente di sedersi (in qualche testo epilogo lungo marcino- c è ekathisen aoristo!) , e se Luca evangelista dà indicazioni temporali e locali, propri di una tradizione aramaica (li condusse fuori verso Betania e alzate le mani li benedì. E mentre li benediceva si partì da loro ed ascese al cielo),che mostra il successivo ritorno a Gerusalemme, dopo l adorazione del signore sul Monte degli ulivi, solo il Prologo di Atti degli apostoli potrebbe diradare la nebbia sulla ascensione al cielo!
Leggiamo 1,9-11, lasciando per ora da parte la dedica a Teofilo- di cui abbiamo parlato varie volte e le ultime istruzioni ai suoi da parte di uno che parte definitivamente e raccomanda ai discepoli di non allontanarsi da Gerusalemme e di attendere l adempimento della promessa del padre, in un ricordo di Giovanni che, però, ha battezzato con acqua e della differenza battesimale nuova paolina ( Ma voi sarete fra pochi giorni, battezzati nello Spirito Santo che darà tale potenza che sarete testimoni in Gerusalemme, in tutta la Giudea , in Samaria e fino all estremità della terra,) togliendo loro la speranza di un ristabilimento del Regno di Israele non sta a voi conoscere i tempi e i momenti che il padre ha riservato in suo potere-! . detto questo, si elevò in alto, mentre essi guardavano, finché una nuvola lo tolse al loro sguardo. E stando così con gli occhi fissi al cielo, mentre lui se ne andava ecco, due uomini vestiti di bianco, si presentarono a loro dicendo: Uomini di Galilea, perché state guardando verso il cielo? quel Gesù che, partito da voi, si è elevato al cielo, verrà nello stesso modo con cui voi l avete veduto salire al cielo!.
Luca, professore, dopo cinquanta anni, afferma solo,(volendo precisare l Ascensione al cielo,- avendo memoria della nuvola mosaica la missione di Gesù, la costituzione di un ecclesia, che deve rimanere a Gerusalemme e la successiva venuta dello Spirito santo) che ci sarà il ritorno del Christos sulla terra a detta di uomini bianchi, aggeloi/nunzi della tradizione aramaico -mesopotamica -.
Marco, questo è il messaggio di Luca christianos antiocheno, in due diversi momenti, misto con notizie tratte dalla cultura aramaica, alquanto discordante, in quanto consapevole di narrare un fatto non certamente storico: in sostanza la sua ascensione risulta un modo letterario per segnare la fine della vita terrena di Gesù e l inizio della missione apostolica con l avvento dello Spirito santo. Anche tu, comunque, fai un po di confusione come i primi cristiani, che, in epoca costantiniana, con Elena, mostravano il luogo perfino dell Ascensione al Cielo e il punto preciso con le impronte dei piedi del signore, in una grotta (cfr. J. Murphy- O Connor, La terra santa, EDB 1996,pp 128-9 Moschea dell Ascensione) . Sembra che lì, sulla grotta, fu costruita una chiesa detta Imbomom / sulla vetta da Poimenia,- una ricca matrona, nel 378, -visitata due anni dopo dalla pellegrina Egeria,( che partecipò ad una cerimonia liturgica!) che aveva forma circolare, il cui centro era aperto verso l alto. Essa fu poi incendiata dai persiani e in seguito ristrutturata, Di ciò abbiamo notizie da fonti archeologiche e da Arculfo, che ne fece un disegno per i pellegrini bizantini nel 670 d.C., invitati a venerare le impronte dei piedi interamente e chiaramente impresse nella polvere. I crociati ricostruirono la chiesa che ebbe, però, pianta ottagonale ed era circondata da un monastero fortificato. L attuale moschea, costruita dal Saladino nel 1198, è ancora oggi possesso dei musulmani che hanno riutilizzato i capitelli crociati, specie i due con quadrupedi alati, con testa di uccello . Si può ancora osservare in essa, nell interno, un piccolo rettangolo che circonda l impronta del piede destro di Gesù, mentre l altro contenente l impronta del piede sinistro fu trasferita nel Medioevo nella Moschea al Aqsa cfr. J. Murphy-O Connor, La terra santa, ibidem, p.129.
Marco, essendo palese che Gesù non può essere asceso come corpo in cielo e che, invece, si allontanò in qualche modo dai suoi, come fece Apollonio di Tiana ( cfr. Apollonio di Tiana e Gesù di Nazareth) tanto da non dare la possibilità di trovarne il corpo e da non concedere certezze sulla morte, sorge il mythos sulla fine del Christos, scomparso, in quanto morto o in quanto andato a morire in altre località lontane, per alonare la sua figura, già misteriosa di Messia per la millantata resurrezione dai morti. Il mito ebbe subito fortuna ed è già attestato agli inizi del 400 d.C. dalle lettere di Paolino da Nola (Ep. 31,4): Così in tutta la superficie della basilica solo questo luogo rimane verdeggiante e la terra offre alla venerazione dei fedeli l impronta dei piedi del Signore, in modo che davvero si può dire: noi lo abbiamo adorato là dove si sono posati i suoi piedi.
Le lettere di Paolino- cfr . G. Santaniello, Paolino di Nola, lettere (2vol.) Ler, 1992-, sono connesse, Marco, con quel Teofilo di Antiochia, scrittore di Tre libri ad Autolico (ed. Paoline1965), (di cui abbiamo già parlato), che risulta uno dei precursori di quel gruppo di scrittori, compreso Ireneo, che hanno una generica impostazione realistica, per cui non solo rompono l oscurità che si stende sulla storia dei primi secoli della Chiesa cristiana, ma che, in Oriente come in Occidente, la portano in evidenza dal punto di vista letterale, lasciando, comunque, sempre confusa ogni cosa, perché dànno patina di vero al mito, avendo impostato e definito il dogma della Trias/trinità (Cfr. Ad Autolico, 1,5-7) .
Dunque, professore, Gesù umano, crocifisso, non morto, non resuscitato, non asceso al cielo, scompare (lentamente) e diventa figura evanescente, mentre giganteggia Gesù divinizzato, Verbum/logos persona della Trinità col Padre e con lo Spirito santo, unico Dio, Trino, maestro di saggezza e di vita!.
Marco, è la nostra conclusione, ma è così!
Professore, per me è così!
Il Gesù galileo, un qenita, acclamato messia, in epoca postseianea, crocifisso dai romani perché autoproclamatosi maran col favore di Artabano III- non morto fortunosamente in croce, non risorto, non asceso al cielo, vissuto poi, anonimamente, per anni, divenuto possesso dei giudeo- cristiani, ellenisti del Regno di Dio, christianoi antiocheni ed alessandrini, dopo la galuth adrianea, è propagandato come crocifisso, come morto, risorto asceso al cielo secondo la lettura allegorica filoniana e paolina, e divinizzato come seconda persona, uios/Figlio del Padre (Spirito Santo) della Trias/trinità, risultando il maestro eterno per eccellenza, l agnello divino, il salvatore dell uomo, la legge vivente per ogni fedele!
Marco! Se dici e pensi così non sei più un christianos! La tua azione, necessariamente, non è più la stessa!
I tuoi figli non sono tuoi figli!. Sono fratelli e sorelle bramosi di vita per se stessi: ti puoi ingegnare per essere come loro, ma non si deve cercare di renderli come noi!. Kahlil Gibran (1883-1931).
Noi moriamo e risuscitiamo col Christos! Cosi si salutavano i cristiani quando, condannati a morte, entravano a schiere negli anfiteatri romani nel II e III ed inizi IV secolo. Così si salutano i monaci del Monte Athos, a Pasqua, dicendosi reciprocamente Christos anesth (pronuncia anesti) Cristo è risorto e rispondendosi Alethoos, Christos anesth/ Veramente Cristo è risorto. Così, ancora oggi, i greci ortodossi ripetono durante la festività pasquale!.
E viva, dunque, la tradizione pasquale di Morte e di Resurrezione, affermatasi nel II secolo, nel corso della peste antonina? Professore, me ne può parlare diffusamente per comprendere il reale significato di un enunciato cristiano, che celebra contemporaneamente l antitesi di vivere morire naturale con l innaturale risorgere, in modo enfatico? A tanta irrazionalità ed innaturalezza porta il fenomeno della peste nel II secolo, epoca del trionfo del paradosso, della retorica e della bugia? E , dunque, retorico il messaggio cristiano stesso, che si sovrappone a quello pagano classico antonino, anch esso retorico, che, comunque, ne vede la connessa teatralità e ne falsifica i contenuti, rilevandone l inconsistenza astratta teologica dottrinale, proprio nella pienezza della peste, di fronte allo spettacolo concreto e crudo di morte reale!
Marco, sotto Marco Aurelio, Lucio Vero e Commodo, in circa 25 anni di peste antonina, morirono 20 milioni di cives e a Roma stessa ci furono giorni nell anno 167 d.C., in cui morirono 5.000 persone.!.
E una realtà tragica, apocalittica, un fenomeno luttuoso comune a tutto l impero romano, uno stato polietnico di oltre 3.500.000 km. quadrati, le cui popolazioni- gravitanti sui bacini del Mare Mediterraneo ( Mare nostrum -Ligure, Tirreno, Adriatico, Ionico, Egeo- ) sul Mar Nero, e sul Mar d Azov, sulla parte occidentale del Mar Caspio, sul Mar Rosso , oltre che sull Oceano Atlantico e sul Mare baltico e perfino sull Oceano Indiano sono decimate (ispanici, galli, britanni germanici, sarmati reti, illirici, daci, traci, greci, italici, asiatici, siriani, mesopotamici, palestinesi, arabi, egizi, cirenaici libici, berberi, afri dell Atlante ecc.).
Interi popoli sono sterminati e lasciano terreni incolti, immensi spazi vuoti, prima, lungo il Tigri e l Eufrate e poi, lungo il Danubio /Istro, e i suoi affluenti, infine, lungo le sponde del Mare settentrionale, sul confine del Reno, per cui le gentes limitrofe, barbariche, non romane, anch esse decimate, cercano ospitalità e chiedono aiuto, penetrando entro i confini, indifesi anche in Africa settentrionale succede lo stesso fenomeno!- per la scomparsa delle guarnigioni militari, e si insediano in zone romane, spopolate o scarsamente popolate, avendo perfino assistenza ed accoglienza, a parole, dai procuratori imperiali, che si dicono disposti a sistemarli, al momento opportuno, a fine epidemia, facendo contratti verbali di reciproco aiuto, tra famiglie migranti e quelle stanziali, accomunate dal pericolo mortale della peste.
Ci sono foedera non scritti, convenzioni senza comunicazioni, patti di solidarietà immediati, istintivi, in momenti di sopravvivenza straordinari, data l evenienza della morte incombente! Il voler vivere in Chistos come desiderio di morte- innesca un equivoco colossale tra christianoi filobarbarici e filoparthici, solidali col nemico ed accoglienti e la cultura romana! I Christianoi risultano per l impero romano un altro mondo, le cui affermazioni di libertà interiore e di autonomia di coscienza hanno un altro valore in nome della sovranità del Dio unico, opposto all imperatore augustus/sebastos e diventano problema politico perché sottendono un complotto contro la sicurezza dello stato di contestatori, che sembrano avere strutture rivoluzionarie, che intaccano le giunture stesse del sistema statale legislativo romano che è sostanzialmente un apparato violento militaristico distruttore di ogni altra civiltà e cultura al fine della costituzione livellatrice di una sola lex e della proclamazione di un solo dominus universale-.
Marco, considera che questo avviene quando, oltre alla peste, ci sono i barbari Quadi, Marcomanni e Iazigi, che, appestati entrano nell impero, pressati da altre tribù, legate da vincoli di sangue, decise a sconfinare coi loro parenti dediticii, già accolti, mentre a migliaia muoiono, oltre confine, convinti che la salvezza sia dentro i territori romani: I cristiani colgono questa occasione e sono vincenti nella loro decisione di accogliere e di fare il dovere di fratelli svolgendo una funzione consolatoria, facendo, comunque, opera di assistenza e di cura medica !
I cristiani illirici ripetono le azioni di altri cristiani fatte in Siria, in Mesopotamia e in Asia Minore, al ritorno dell esercito di Lucio Vero dalla spedizione vittoriosa contro i Parthi, dopo la presa di Seleucia: ora essi sul confine danubiano e renano sono pronti ad accogliere chiunque abbia bisogno della loro caritas! considera, Marco, che è di questo periodo la pseudo- lettera di Paolo ai romani, 15,7 con l invito all accoglienza reciproca/diò paralambanesthe allhlous, nella convinzione che il dio della speranza riempie di ogni gioia e pace nella fede !
Qui succede un fatto strano: i christianoi, uomini accusati di essere renitenti alla leva, immorali, che hanno un altra logica rispetto a quella pagana- incentrata sul sovrano, Augustus/sebastos- ora accolgono tra loro i barbaroi, li sfamano, li curano come fratelli, incuranti della loro stessa salute, predicando la morte e la resurrezione del Christos, loro salvatore, re di un altro regno, ultraterreno!. L opinione pubblica dei cives è sconvolta: si adora l immagine dell imperatore dio vivente, signore dell impero romano universale, sommo sacerdote, venerabile, segno stesso dell unità civile e sociale!. Nel nome del Christos, opposto all imperator/ autokrator, i cristiani affrontano il martirio, invece, andando felici incontro alla morte, fiduciosi in una resurrezione e in un premio eterno, in un paradiso celeste, preferendo la morte alla vita, decisi a non offrire pochi , salvifici, granelli di incenso alla statua imperiale, un idolo, pur consci che, così facendo, meritano la morte con supplizio!. Per i cives pagani è un absurdum ciò che accade, più della peste stessa!
Professore, i cristiani, quindi, pur tacciati di ateismo e di apostasia, di indifferenza davanti alla fides comune e di incivismo, sono per i cives esempio di virtus, nonostante la loro antiromanità?!. Per i romani essi, pur nemici, risultano cives apparentemente esemplari e per i barbari fratelli, che li aiutano a sopravvivere!.
In questa accoglienza, indecifrata, spontanea di cui non esistono atti giuridici- sembra, Marco, che lungo il confine medio danubiano si verifichi il maggior numero di contatti dei peregrini con le comunitates cristiane, ben organizzate dagli episkopoi e dioichetai, che guidando amministrativamente ville romane di grandi dimensioni, ora anche accorpate, hanno una propria autonomia, in quanto non legittimamente riconosciuti come dipendenti né dal potere centrale imperiale né periferico, ma nemmeno da quello ecclesiale cristiano, inesistente, sostanzialmente acefalo, data la diversità d indirizzo dottrinale e rituale di primi christianoi, dispersi nelle varie province orientali, rari in quelle occidentali e in Africa, gravitanti intorno ad alcune città, in cui convivono con le comunità ebraiche, da decenni ben collegate fra loro ed amministrate, anche da giudeo-cristiani. E un fenomeno spontaneo, di convivenza e di convenienza, dettato dal bisogno!
La peste, quindi, professore, unifica ed affratella i popoli di stati diversi confinanti, ostili da secoli, come parthi e romani, divisi da lingua religione e costumi e anche i barbari germanici con le comunità pagane e cristiane dell imperium, non solo delle province ma anche dei pagi e delle città, tanto che gli episkopoi con la loro amministrazione centralizzata, locale, hanno possibilità di accoglienza e fanno proselitismo, dimostrando efficienza nella cura dei malati, nella rapidità di sepolture e nell inglobamento di masse rozzamente catecumenizzate, in precise strutture residenziali, adibite a magazzini o dormitori per gli schiavi, secondo la caritas cristiana, mimetizzandoli con i propri fedeli in Christos, senza neanche rilevare il cambiamento di numero, ora variabile per le tante morti, visto che pagavano le tasse solo i cives fattori/vilici, formanti anche la gerarchia ecclesiale, seppure dipendenti per legge da padroni di classe senatoria o equestre?!
Si sa che esistono queste comunità, che accolgono e che, pur essendo corpuscoli insignificanti rispetto al numero di cives pagani filoimperiali, assolvono ad una missione di aiuto e di salvezza nei confronti di ogni altro, anche di stranieri, proprio quando si spopolano i territori dell impero romano a causa della peste e quando manca ogni intervento statale organizzativo, costruttivo, essendo venuta meno la burocrazia ministeriale periferica per la morte di diretti superiori locali di rango patrizio o equestre.
Marco, le comunitates cristiane, agricole, già si erano segnalate nel passaggio stesso dell esercito di Lucio Vero, diretto contro la Parthia, verso Seleucia e Ctesifonte, per azioni caritatevoli in Asia e in Siria, sistemando i nemici tra i loro fideles, anonimi, schiavi e liberti, liberi non censiti, sfamando i peregrini e facendoli partecipi delle loro cerimonie, dopo un periodo di rapido indottrinamento, ora, nel pieno della pandemia, il nomen christianum assume un altro valore e gli episkopoi, specie se di origine patrizia, usurpano, opportunamente, un potere, grazie alla loro attività caritatevole verso i peregrini, tipica del buon samaritano.
Il termine, collegato con csenos greco, sottende la peregrinitas che indica il soggiorno di un civis in un paese straniero rispetto all indigena,/vernaculus o domesticus, residente autoctono, il cui stato civile romano è equiparato ed assimilato a quello del barbaro che chiede asilo, entrando entro i confini di un altro territorio, ed è accolto pacificamente, essendo comune la paura della peste.
Infatti la stessa operazione, fatta dagli episkopoi mesopotamici, sembra diventare norma ad opera dei christianoi bosforitani ed asiatici prima, poi, di quelli stanziati al confine sull Istro e da quelli di tutto l Illiricum fino ad Aquileia, dove già esiste una comunitas certa apostolica, marcina, che è un faro per i cittadini di un grande territorio, compreso tra il Mar Nero e il Mare Adriatico.
Perché dice marcina?
Marco, Aquileia, capitale di Venetia ed Histria decima Regio augustea sembra che inizialmente abbia avuto come episkopos Marco, l evangelista che, poi, designa come successore Ermagora, prima di andare altrove !la sede, perciò, è ritenuta apostolica tanto da poter essere definita marcina!
Grazie, professore. Lei vorrebbe dire che la vera prima accoglienza barbarica avviene nell Illiricum, (Medio Danubio e i suoi affluenti) e in Aquileia , sede marcina?! E vuole dire pure che in Illiricum che comprende le province di Pannonia e Dalmazia che, congiunte con la Moesia, proteggono Tracia ed Acaia da infiltrazioni barbariche sull Egeo inizia il fenomeno dell accoglienza barbarica, cosa molto diversa da una penetrazione militare barbarica!. Dunque mi vuole ribadire che la dioikesis marcina accoglie stranieri, senza autorizzazione statale, nel nome di Christos, secondo direttive ecclesiali di una ecclesia madre dipendente, comunque, in qualche modo, sempre da Antiochia, sede cristiana centrale ?!.
Si verifica, Marco, forse, in questa zona danubiana centrale, e meno sul confine renano, un aumento di popolazione cristiana, notevole, a causa della paura della peste, nelle regioni dell odierna Ungheria Repubblica ceka e slovacca, Serbia e Bosnia, Croazia e Slovenia, con un avvicinamento fraterno tra i popoli per cui, deposte le armi, a carovane, con carri, i barbari trasmigrano e ad ondate, penetrano, senza ostacoli nell interno fino ad incontrare piccoli centri abitati, i cui capi decidono di accettarli, pur tenendoli a distanza, inizialmente, avendo pietà della loro condizione, aiutandoli in qualche modo, servendosi anche del loro aiuto, in caso di necessità, a seguito della scomparsa di tanti loro defunti, cooperando nel lavoro dei campi, ormai quasi abbandonati, spartendosi il ricavato in un mutuo trattato di reciproca protezione anche da altre popolazioni e perfino da razziatori della stessa tribù, rimasta oltre il confine. Questi peregrini, considerati dediticii cioè barbari che si sono arresi e dati prigionieri spontaneamente, ora decidono, nel corso del ventennio, di peste di condividere totalmente la vita quotidiana dei pochi rimasti cives romani, favoriti e condizionati dall eleos /caritas e dal sistema di vita comunitario dei cristiani, anche loro peregrini in quanto si professano seguaci di Christos, uomo dio, inviato dal Padre sulla terra, per redimerli dal peccato, dal Cielo, dove aspirano a tornare, perché loro patria, promessa come eterna ricompensa al loro sacrificio di vivere. I barbari, professore,sono accolti da domini, padroni di grandi praedia che fanno coltivare i loro terreni da affittuari non solo in Italia ma anche nelle province. Plinioil giovane in Ep III,19; V,15 ed altrove mostra la difficoltà nel trovare coloni e perfino incertezza nel riscuotere gli affitti. essendo venuta meno la manodopera servile. In tempo di peste peste la sitauzione èpeggiorta. Se è vero quanto dice Plinio il vecchio Nat. Historia,XVIII,35 latifundia perdidere Italiam , ancora di più le province specie lungo l Istro durante sono rovinate dalla struttura stessa del latifondo!
Nel clima della peste, matura, dunque, la propagazione del nomen dei cristiani che, propagandando, alcuni, la fine del mondo e il ritorno del Christos trionfante, ed altri, celebrando la morte come porta per il premio eterno paradisiaco, appaiono tutti desiderosi, comunque, di morire per congiungersi al loro Dio, salvatore, nel Regno dei Cieli, loro patria.
La morte e la resurrezione di Christos, propagandate come fatto reale, diventano un problema di stato per il senato e per la corte imperiale, per i protoi e per gli intellettuali, per i capi stessi dei vari popoli che entrano a contatto coi christianoi, confusi con gli ebrei, oltre che per le masse analfabete e semianalfabete, mal informate, mentre infuria la pandemia, dovunque, e non si contano più i morti, da seppellire o bruciare.
L opinione pubblica, da una parte, plaude all esempio, strano, di uomini che preferiscono la morte alla vita, che credono nel ritorno del loro eroe, semidio, che sperano in un premio eterno e che non sacrificano agli dei pagani e all imperatore e alla dea Roma, convinti di essere parte di un altro regno, ma, da un altra, è sbigottita di fronte alla forza teatrale del gesto dei martiri cristiani, che, impavidi e sorridenti vanno alla morte anche se gettati ad leones, negli anfiteatri, dopo esemplari condanne, quando sono scoperti e rifiutano di gettare granelli di incenso alla statua dell imperatore dio, per amore del loro Dio vivente.
Marco Aurelio e gli intellettuali vogliono dare, comunque, una risposta alla propaganda cristiana- che everte e sovverte la stessa struttura dello stato e la sacrosantità della tradizione avita pagana degli Apologisti e, specie, alla ideologia analogica della scuola alessandrina, che sostiene il pensiero cristiano, non univoco e spesso contraddittorio data la base biblica, comune con gli ebrei, oltre tutto, di logica platoneggiante e spesso legata alla diatriba cinica -capace di creare nuovi paradigmi operativi rispetto al pensiero greco latino di democrazia, di iustitia e di pax per i popoli, applicato, solo dopo la violenza della guerra distruttiva, dal diritto romano.
La teatralità del gesto di martirio cristiano più della theologia cristiana e dell analogia alessandrina risulta, nella sua anomalia, un exemplum pericoloso per lo stato, specie nel III secolo quando si moltiplicano gli esempi di morte gloriosa a seguito degli editti di Decio e Valeriano ed ancora di più durante la persecuzione di Diocleziano.
Lo spectaculum di christianoi, (che rifiutano di incensare alla statua del sovrano e che, privi del libellus-che attesta l adempimento del dovere del cittadino verso la figura sacra imperiale e verso il numen di Roma personificata- risultano atei e vanno con mogli e figli a morte), desta un moto di solidarietà e commozione, specie di fronte a comunità intere, distrutte per la loro ostinazione nel credo religioso e favorisce sotterranee adesioni tanto che Tertulliano può dire che il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani (Apologetico. 50,3). Eppure essi, anche se christianoi, tra breve, sarebbero stati destinati ad essere equiparati giuridicamente come cives dell impero romano, uniformati indiscriminatamente, a seguito dell Editto di Caracalla del 212!.
Ormai si è propagato, in ogni parte del mondo, il paradigma vincente di un altro modo di essere e di vivere sulla terra, non da romani vincitori, ma da derelitti e timidi viri, christianoi, simili ai cinici, cenciosi denigratori della superbia di classe della romanitas: sarà sempre più dominante il moto protestatario, anche se di varia rilevanza a seconda delle province, dove è maggiore o minore la fama dello spirito cristiano, specie dopo la vittoria costantiniana, quando si attua la fusione del pensiero cristiano storico con quello imperiale romano e si fondono potestas laica ed auctoritas sacerdotale, mentre viene lasciata ignorante la massa popolare e si ripristina col cristianesimo stesso l ideologia militaristica greco romano ellenistica, giustificata ora in nome di Dio Padre, protettore della Romanitas, nuovo Zeus, con la nuova Triade (Padre, Figlio e Spirito santo) Dio degli eserciti/Deus sebaoth, datore di Vittoria/nike. La radice ebraica è chiara nella triplice invocazione di sanctus/agios da parte dei serafini del Dio degli eserciti (Isaia,6,3) e del benedictus /euloghtos-baruch di Ezechiele,3,12 propria dei cherubini!.
Quindi, professore, già nel II secolo, nell lliricum, c è uno scontro culturale tra gli intellettuali neosofisti e gli apologisti e la scuola alessandrina didascalica, in lotta, oltre tutto, con lo gnosticismo, mentre equivoco ed incerto è il comportamento dei militari di Pompeiano, ora marito di Lucilla, di Ponzio Lolliano e di Dasumio Tullio, ex governatori di Pannonia e dei comandanti di origine pannonica, Quinto Sosio Prisco e Giulio Vero.
Marco, è questo, secondo me, il momento più traumatico della storia umana, occidentale, in cui, a seguito di una peste più che ventennale, emerge una forma unitaria cristiana non ancora perfezionata a causa delle contraddizioni, date le molte anime del movimento stesso di matrice ebraica, comunque, evidenziata nel periodo dell anarchia militare, postseveriana, che va del 236 al 284, in cui giuridicamente si costituisce un fronte di legittimità confessionale religiosa, maturata a seguito degli editti di Traiano, di Adriano e di Marco Aurelio, Commodo e Settimio Severo, decisi ad immettere, comunque, alla pari degli altri culti, un altro Dio nel pantheon pagano.
E. Renan ( Marc Auréle et la fin du monde antique, Paris 1882,) parlando di embriogenesi del cristianesimo sottende durante la peste antonina l avvento di un mondo nuovo che, poi, si precisa come presenza attiva e fiorente alla fine del II secolo e lascia tracce ben visibili nel III, in quanto si stabilizza l area religiosa grazie al sussidio di opere grandi e di figure notevoli di cristiani specie a Cartagine e ad Alessandria, ma anche ad Efeso, in Asia, e perfino in Gallia.
Gli scritti, a cui accenna il francese, formano un corpus christianum, costituito da libri, lettere, iscrizioni, martirologi, con testimonianze di magistrati e funzionari inquirenti, filosofi e letterati, oltre agli apologisti greci e latini e agli alessandrini Panteno, Clemente Alessandrino ed Origene, col suo discepolo Gregorio il Taumaturgo, e oltre a Melitone di Sardi, apologista antiantonino che, comunque, per primo tenta di conciliare gerarchia imperiale e quella ecclesiastica, sulla base di una lettura profetica del Vecchio e del Nuovo testamento, della storia greco-ellenistica e romana, connessa con l oikonomia tou theou, cristiana, anticipando gli intellettuali, storici dell epoca costantiniana. Sembra, davvero, che già la fede cristiana illumini il mondo pagano (cfr. II Pietro I,19- scritta probabilmente alla fine del II secolo- la lampada brilla in un luogo oscuro fino a quando sorge il sole e la stella del mattino, Il Cristo, entra nei cuori)! E una prefigurazione molto vicina alla visione profetica di Melitone Ecco chi si incarnò nel seno della Vergine, fu appeso alla croce, fu sepolto nella terra e risorgendo dai morti, salì alle altezze dei cieli. Egli è l agnello, che non apre bocca; egli è l agnello ucciso, egli è nato da Maria, agnella senza macchia. Egli fu preso dal gregge, condotto all uccisione, immolato verso sera, sepolto nella notte(?!). Sulla croce non gli fu spezzato osso e sotto terra non fu soggetto a decomposizione!. Ancora di più enigmatica è la sua formulazione in Peri tou Pasxa: o theos pephoneutai, O basileus tou Israhl anhiretai upo decsias Israhlidos/il dio è stato ucciso, il re di Israel è stato fatto fuori dalla destra israelita!.
Lei, professore, ci ha parlato spesso di Militone e del simbolismo della sua scrittura, per cui h decsia, difficile a leggere, potrebbe esprimere o la logica dell integralismo farisaico aramaico o la lettura dei sadducei, contraria e sacrilega nei confronti della tradizione ebraica dell agnello indifeso -a cui è congiunta anche l agnella Maria- di figlio con madre di Dio! la mancata conformazione alle promesse fatte al popolo, sembra segnare la fine del cleronomos ebraico, chiara con la distruzione del Tempio, punizione giusta per la colpa della morte dell agnello?!
Marco, non ti sembra di andare oltre quanto hai compreso!? io lascerei stare, ora, il problema di Melitone e la sua clef / chiave trascrizione medievale latina del testo melitoniano- cfr. J. Pierre Laurant, Simbolismo e scrittura ( Symbolisme et Ecriture le cardinal Pitra e la clef de Méliton de Sardes) trad. Rosanna Campagnari e Pier Luigi Zaccatelli, Edizione Arkeios 1999! E Militone, un simbolista cristiano di difficilissima interpretazione, in quanto dal Medioevo è venuta una lettura esoterica, a mio parere impossibile da decifrare, essendo troppo scarsa la documentazione scritta, greca, dell autore di Sardi, morto sotto Commodo, forse martire, dopo aver inviato un apologia a Marco Aurelio( o a Lucio Vero ?!) nel 167, ed essersi prodigato secondo caritas cristiana nel corso della peste, infuriata in Lidia, in Caria e in Ionia, al passaggio di ritorno di milites antiparthici, destinati a stanziarsi nei pressi di Aquileia, come supporto alle imprese militari dell imperatore, impegnato contro Quadi e Marcomanni!. Eppure Militone difende Marco Aurelio che fa bene ogni cosa, anche se ci sono stragi. Il vescovo di Sardi incolpa gli esecutori degli ordini imperiali non l imperatore: infatti, per lui, un imperatore giusto non potrebbe mai impartire un ordine ingiusto e noi sopportiamo con gioia il premio di una simile morte (Cfr. St. Eccl. di Eusebio, che mostra la differenza sostanziale tra Paolo e Militone e gli altri cristiani la cui coscienza di cristianesimo non sembra di una religione escatologica, ma di una fides umana presente, già radicata nel territorio romano tanto da contribuire al suo progresso e da autorizzare l innesto costantiniano sulla base dell unitarietà dei 4 patriarcati di Roma, Antiochia, Efeso ed Alessandria!.
Dunque, professore, nonostante i contrasti e le diatribe sull origine non divina del potere politico, ritenuto diabolico da alcuni, che, invece, considerano solo divino quello ecclesiastico, bisogna dire che uniformemente tutti sono consapevoli di aver inserito le strutture cristiane nella cultura ellenistica, coscienti di essersi conformati al sistema dell epoca.
Certo, Marco, con Aristide Marciano di Atene già si può affermare che davvero i cristiani sono i migliori cives perché essi sono pii e con la loro pietas anticipano quanto proclamato da Clemente alessandrino che afferma che sono più utili con le preghiere loro cristiani che i soldati con le loro armi!. Marco, con Melitone e gli apologisti c è fusione già del cristianesimo con Roma, mentre è definitiva la rottura col giudaismo in quanto si ritengono non i romani uccisori di Christos ma i giudei perché incirconcisi di cuore e di orecchie, in quanto ingannati da un angelo malvagio, non hanno mai compreso la volontà di Dio e la sua oikonomia: Melitone va oltre Giustino e nell ambiente antigiudaico di Sardi inizia una nuova lettura del Vecchio Testamento, chiara nell Omelia 77, dove, secondo una ideologia cristocentrica, persone e istituzioni, parole ed eventi diventano immagini del Christos venuto, vangelo stesso!
Da qui, da Alessandria e da Roma si può, allora, vedere due mondi che si oppongono, due tradizioni culturali in lotta, mentre infuria la peste che mostra la vacuità ideologica dottrinale delle teorie pagane stoico-platoniche e gnostiche rispetto alla pratica della theologia del cristianesimo che, di fronte al male di vivere, risponde trionfalmente dando esempi di gioia nella morte ed annullandone il timore stesso con la speranza ultraterrena?.
Certo! Marco. L apologia cristiana risulta vittoriosa contro la doctrina pagana e quella gnostica (cfr P. de Labriolle, La rèaction paienne, Parigi 1934) come si evince dalle Omelie clementine, uno scritto molto manipolato del II secolo che riprende avvenimenti precedenti, come i contrasti e ad Alessandria e a Roma, tra credenti in diverse fedi, tra Simon mago e i primi cristiani, evidenziando lo spirito cristiano -anche se non è sempre coerente specie nei legami coi cenacoli gnostici di Basilide, di Isidoro, di Valentino e Carpocrate confuso nella volontà comune di non avere un organizzazione gerarchica, nonostante l impegno nell esegesi ardita dei messaggi e nell estremo rigore polemico, non ben accetto ai concreti romani ed alessandrini, che dànno rilievo alla pratica di vita, in quanto tutti i predicatori di ogni genere e culto, divergono nel comportamento quotidiano.
Comunque, professore, nel conflitto generale ideologico, il cristianesimo è vittorioso contro lo gnosticismo e contro l impostazione stoico -platonica imperiale di Marco Aurelio, proprio nel corso della peste, che sancisce la legittimità sovrumana della speranza cristiana e fa esaltare il mito della resurrezione del Christos!
Marco, se la gnosis era la cristianizzazione dell ellenismo, la cui cristianizzazione risultava una pseudo-gnosis (cfr. L. Bouyer, la spiritualité du nouveau Testament et des Pères, Paris 1960 ) la lettura cristiana della vita nel venticinquennio di peste è positivamente vista e giustificata in quanto la morte e resurrezione del Christos santificano il paradigma comportamentale rispetto a quello filosofico pagano e gnostico. le cui dottrine sono svuotate di contenuto dall atto pratico!. Allora, il messaggio innovativo cristiano si propaga ed annulla il valore della speculazione dottrinale pagana, mettendo in luce il mistero di Dio ineffabile, uno e trino, celeste, opposto alla nullità della miseria umana, della gnosis ed anche di quella dell imperatore filosofo, considerato più che augustus una petulante vecchietta: la frapposizione di una massa di eoni, intermediari tra il creatore e la sua opera, pur spiegando la caduta dell uomo, non chiarisce la funzione del logos, che risulta manifestazione dell archetipo, non di una reale incarnazione per riportare l uomo allo stato originale!
Da qui, professore, la teoria dell oikonomia tou theou di Ireneo che, dalla visione pessimistica della creazione dell uomo decaduto dall età saturnia dell oro, rileva la possibilità di salvezza storica con la sicurezza di una resurrezione col Christos e del premio eterno!
All epoca, comunque, Marco, le dottrine si oppongono, le une alle altre, e il dibattito tra i pochi cristiani e i tanti pagani è duraturo grazie alla partecipazione di uomini di grande prestigio come Celso, degno di confutazione da parte di un grande come Origene, di personaggi come Luciano di Samosata, come Plutarco, come Frontone e lo stesso imperatore Marco Aurelio.
Professore, lei ci ha già parlato di Frontone e degli antonini. In un altra lezione speriamo di sentire il fronte degli intellettuali pagani e la difesa dei valori tradizionali della cultura greco-romana contro i Christianoi!.
Marco, se hai ben compreso il clima di vittoria cristiano in epoca antonina, posso chiudere qui il mio discorso sulla predicazione vittoriosa delle morte e della resurrezione del Christos!
Si.Mi sembra tutto chiaro! Dunque, professore, grazie!
Marco, al prossimo incontro, vedremo, seguendo il Discorso vero di Celso, in un dibattito culturale, come risponde la cultura pagana al cristianesimo, che ha vinto praticamente la sua battaglia nel corso della peste, con la dimostrazione pratica dell eleos fraterno, universale.
Con la misericordia celeste e con l accoglienza fraterna episcopale, Marco, il cristianesimo, di diritto, si afferma come religio tra i culti e Christos è accolto come theos/deus tra gli dei pagani tanto da essere venerato, insieme alle altre divinità, da Giulia Domna, legittima moglie di Settimio Severo! .
Professore, è credibile che una lettura letterale da parte della scuola antiochena che ci ha tramandato un Christos zoon vivente- abbia valore diverso, umano, da quello della scuola alessandrina origeniana, basata su una testimonianza divina in relazione al problema cristologico, alla Trinità e alla funzione di theotokos di Maria vergine?
Si. Marco. Può essere avvenuto, anche se l altra lettura, quella allegorica della scuola di Alessandria vince dopo la fine del tempio e dei sadducei e poi della definitiva estirpazione ebraica con la galuth adrianea e proclama crocifissione e resurrezione sulla base di Paulus civis romano di Tarso, discepolo di Gamaliel, nipote di Hillel il grande, neos/giovane efebo, censito dopo la dokimasia, ellenistico, di cultura mistico-ascetico platoneggiante, educato secondo i principi culturali enciclici, venuto a Gerusalemme alla scuola farisaica, inviato dal ricco padre!-.
Le due opposte theorie, Marco, derivano da scuole ebraiche quella di Hillel il Grande e quella di Shammai, che divergono sulla natura dell anima, immortale per il primo, e materiale e mortale per il secondo, anche se ambedue hanno un concezione basata sulla loro tradizione aramaica comune, angelologica, di origine accadica, e sull unicità di un Dio padre.
Un ulteriore divisione è nella visione realistica profetica, specie di Isaia e di Ezechiele, dei farisei, spirituali che considerano l anima immortale e quindi accettano la resurrezione per i giusti e in quella cruda dei sadducei, materialisti che negano la sopravvivenza per tutti e che leggono i testi secondo lettera, al contrario degli altri che leggono secondo simbolo-.
La scuola alessandrina allegorica, stravolgendo, in epoca antonina, i termini sulla base della predicazione della divinità del Christos /verbum-logos, Uios incarnato, seconda persona/upostasis della Trinità/Trias, tramanda, allora, la morte in croce e la resurrezione del Christos, come cardine del cristianesimo paolino, secondo il sintagma anastasis toon nekroon/un rialzarsi dai morti, a seguito di un risveglio ad opera di Dio/energesis ( Cfr. Marco 16, 9-18; e Il corpo di Antigono in www.angelofilipponi.com ), mediante un vangelo cristiano origeniano (cfr. Origene, I principi-Manlio Simonetti- Utet, 2010; e Opere di Origene Manlio Simonetti e Lorenzo Perrone , Città Nuova, 2009 ).
E, ad Alessandria, l allegoria, professore, vince sulla lettera, sotto gli ultimi antonini!?.
Si. La vittoria alessandrina cristologica ha, però, una reazione con i letteralisti, che ,con con Luciano di Antiochia, con Diodoro di Tarso (330-392) e Teodoro di Mopsuestia, in vari momenti, operano una diversa lettura biblica secondo un metodo storico-critico-letterario. Essi, pur ritenendo la Sacra scrittura libro ispirato da Dio, rilevano che è scritta, comunque, da uomini, tanto da vedere il Cantico dei cantici solo come un inno nuziale di una particolare epoca, cogliendo segni di humanitas, là dove gli altri vedono divinitas.
La reazione antiochena alla scuola alessandrina si diversifica nel tempo ed ha due momenti significativi , quello ariano e quello nestoriano, di cui abbiamo parlato (Ario ed Atanasio, Nestorio e Cirillo www.angelofilipponi.com) relativamente al concilio di Nicea e a quello di Costantinopoli e di Efeso specie in riferimento ai due antiocheni, divenuti patriarchi di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo e Nestorio, che rilevano in Christos, la figura umana, nonostante la sua funzione creatrice di ogni altro elemento, seppure distinta in due nature distinte quella umana e quella divina, e che non accettano la formulazione efesina sulla theotokos/madre di dio, pur non disdegnando quella di Christotokos.
Professore, lei mi vuole dire che, quindi, l eresia di Ario e poi quella di Nestorio derivano ambedue dalla scuola antiochena umana e letterale?
Non è proprio così. Comunque, si può dire che l arianesimo sorge in rapporto a Luciano di Antiochia (235-312), maestro autorevole di Ario, di Eusebio di Nicomedia e di Eusebio di Cesarea, sconfitti a Nicea, ma subito dopo, da Costantino stesso, il tredicesimo apostolo, secondo un altra lettura di logos, non origeniano, riabilitati, secondo una lettura letterale, legata ai testi adozionisti di Paolo di Samosata, che si oppone al pensiero origeniano, facendo un rilievo umano circa la morte e la resurrezione del Christos, in un clima ereticale, in cui predominano le correnti subordizionaliste e modaliste .
Subordizionalismo e modalismo sono teorie che, tese l una all’assoluto monoteismo del Dio biblico, monarchiano in quanto Figlio e Spirito sono forme subordinate al Padre, monarca, non persone e l altra alla trascendenza del Padre, insegnano: Padre, Figlio e Spirito santo sono solo tre modi di manifestarsi nella storia, di un unico Dio, che rimane unico nel suo inaccessibile mistero, ineffabile: viene liquidato il cristianesimo in un normale monoteismo, mentre Gesù di Nazareth è visto come personaggio storico, giustiziato dal procuratore Ponzio Pilato, sotto il regno di Tiberio.
Quindi, professore, si dice: il Christos non è logos/verbum perché creato, ed, in sostanza, viene posto il dilemma di un Gesù Cristo creato o generato?!.
Marco, puoi dire così, ma devi tenere presente che sono infinite le derivazioni pratiche circa la figura di Christos, che non muore in croce perché un Dio che non può morire, ma che muore solo l uomo, in una dimostrazione della crocifissione, come una modalità per la salvezza umana.
Le discussioni per allora sono dominate da Luciano, data la sua rilevanza in quel periodo, notevolissima,(cfr. Girolamo Gli uomini illustri, Aldo Ceresa Castaldo, EDB, 2014, vita 77) nonostante il credo alessandrino origeniano di Christos generato e non creato.
Marco, eppure, in questo clima, il concilio di Nicea sancisce la vittoria del Christos origeniano su quello ariano lucianeo: la vittoria origeniana, comunque, è nel crudo realismo delle due scuole, prima ebraiche e poi cristiane, in cui predomina quello raffinato della retorica alessandrina, che sa coniugare il verbo cinico con la franchezza e la ripetitività terminologica, con l uso dell antitesi e del chiasmo, con l espressione tipica della scuola rabbinica carne e sangue divenuta nel Medioevo carnalis e cordialis-.
Dunque, professore, il cristianesimo catholikos del Regno di Dio nasce dall opposizione tra il credo realistico letterale della comunità di Antiochia in cui è nato il vangelo di Paolo e di Luca, insieme a quello di Marco,- congiunto con quello efesino di Giovanni che, in epoca diversa, interpreta la morte e resurrezione come un fatto divino, voluto Dio ed impone il credo delle resurrezione, su una base allegorica alessandrina!
Quindi, secondo lei, realmente e concretamente, potrebbe essere accaduto che Gesù, salvatosi dal supplizio dalla croce, sepolto vivo, si svegliò, fu preso e portato in Galilea, dai seguaci semipagani, che ne avevano comprato il sooma, dai romani stessi, e là si incontrò coi suoi manifestandosi con dosate epiphaneiai suggestive- e visse per qualche mese, per poi scomparire definitivamente (per morte naturale descritta come ascensione, secondo la cultura profetica di Isaia e di Eliseo-)?. D altra parte, nel 1564, alla morte di Michelangelo, la sua salma non fu trafugata e portata a Firenze da suo nipote per non lasciarla in mano all Inquisizione, intenzionata a prendere corpo e carte dello spirituale divino artista, seguace di Reginald Pole?
Marco?! Che dici? Sai bene che non si devono fare citazioni inutili erudite e mettere insieme fatti ed episodi storicamente lontani! Non si fa storia, accostando esempi, ma lavorando ed indagando sul punto situazionale, fissato storicamente, senza fare salti temporali, senza divagare: una è la storia del corpo di Cristo nella Pasqua del 36 d.C. ed una quella della salma, di Michelangelo, morto il 18 febbraio del 1564 e poi traslata a Firenze per le solenni esequie secondo la tradizione del Vasari! Due epoche lontane ! due mondi incomunicabili!. Perciò, Marco, al di là della avventura occasionale del cadavere di Michelangelo, ritengo che il vedere vivente qualcuno, creduto morto in croce sia un fatto reale, non un miracolo, seppure evento straordinario a seguito dell apparente morte del crocifisso e di un seppellimento, provvisorio, temporaneo in cripta, da vivo, come nei romanzi ellenistici- e che sia stato letto in modo differente, nonostante i comuni termini usati (non esistendo all epoca nemmeno il termine resurrezione né in aramaico né in greco dove anabioosis vale solo rivivere e anastasis rialzarsi in relazione alla duplice lettura mishnica-aramaica sadducea da una parte e farisaica dall altra).
Marco, considera lo stesso termine epiphaneia/apparizione da epiphainoo / mostro, faccio apparire improvvisamente legato all idea di un apparenza esterna, come dimostrazione di regalità o gloria o fama, opposta ad alhtheia/verità, quindi, intesa come costruzione artificiale, volutamente evidenziata per stupire l altro, specie perché riferito a Christos /meshiah, uomo ucciso dai romani come Antigono asmoneo, anche lui un maran/basileus eletto dai parthi, un antiromano, apparentemente morto martire in difesa del territorio nazionale e della legge patria, in quanto fedele al suo unico PADRONE, Dio padre!
Inoltre, tieni presente il valore di lettera per intendere il reale significato di un messaggio, che viene inviato ad un amico, ad un conoscente o ad una comunità, come difesa del pensiero di un letterato o di un fondatore di dottrina o di uno ktistes di ecclesiai, del tipo di Epicuro che scrive ad Erodoto sulla fisica, a Pitocle sul cielo e a Meneceo, sulla felicità come Paolo che scrive ai Romani, ai Corinti per un proprio messaggio ecc..
Infine, considera logos come conferenza, che viene tenuta da un retore ad un pubblico, in sale pubbliche, affittate per dibattiti culturali in grandi città dell impero, non solo a Roma ed Alessandria, ma anche ad Efeso, Antiochia, Atene, Corinto, Cirene, Cartagine Marsiglia, Pergamo, al fine di esprimere il proprio pensiero per informare gli uditori delle novità della dottrina, anche mediante la voce di retori prezzolati per propaganda ideologica, essendo molte le diatribe, anche popolari!. Il logos, specie nel II secolo d.C., è strumento di difesa apologetica e di offesa contro avversari anche politici !
Lei mi vuole dire che Paolo usa lettera con lo stesso intento di Epicuro e di altri maestri ellenistici ,con valore polemico e apologetico, avendo da spiegare il proprio pensiero mistico-ascetico, basato sullo scandalo della croce, che risulta pietra di inciampo, essendo lui aborto!
Non è il caso che io ti spiego i termini da te ben usati ed interiorizzati -cosa già fatta e ben compresa da te! Aggiungo solo che la lettera paolina è utile come quella della scuola epicurea, stoica, neoplatonica e come quella dei cinici che, oltre tutto, fanno lezione in piazza con attacchi immediati anche al popolo, attirato bruscamente per una riflessione filosofica da barbuti maestri col bastone, variamente vestiti, tipo Giustino apologista! .
La lettera risulta strumento di divulgazione dottrinale della croce /stauros ! L apparizione viene sfruttata come elemento miracoloso cristiano e dalla scuola alessandrina e da quella antiochena a seconda dei momenti storici, specie nel corso della peste antonina e dopo, anche nella grave crisi imperiale post severiana, nel periodo compreso tra Alessandro Severo e Diocleziano, quello degli imperatori illirici. Le due scuole fanno ricorso, quindi, ad un sistema comunicativo retorico per bandire il pensiero cristiano e per volgarizzarlo con la straordinarietà della propaganda della morte e resurrezione del Christos, uomo-dio, mentre ferve il contrasto ideologico tra i dioiketai -episkopoi e l elemento oltranzista monacale comunitario!
Mi spiega ulteriormente la differenza culturale delle due dottrine patriarcali antagoniste?
Marco, premetto che l ho fatto già; comunque, aggiungo che bisogna esaminare attentamente dall angolazione dei vedenti il fatto di morte e di resurrezione che, dalla visione, fanno scaturire una verità, in relazione a quanto sanno vedere come letteralisti e o come simbolisti ed analogisti.
Per lei l apparizione stessa, dunque, è una messa in scena galilaica di un Christos, miracolosamente guarito, dopo essersi alzato dai morti e svegliato?
Si, Marco! Il fatto galilaico per alcuni è tenuto segreto e poi mostrato improvvisamente per avere un maggiore effetto; per altri, invece, è solo una manifestazione del divino, veramente accaduto, di un uomo -dio, veramente risorto, come viene descritto nell apparizione , considerata vera e reale, a Paolo- un nemico che incontra, si scontra e cade da cavallo di fronte al CHRISTOS, risorto, perseguitato, e che viene abbacinato dal sole, sulla via di Damasco-!
Poalo di Tarso ne parla lui stesso ai discepoli in Lettera I ai Corinti 15,1-9, anche se la sua parola, il suo davar, mostra un suo vedere specifico aramaico, con connessione culturale tra musar e paideia greca, risultanza di una realtà, propria di giovane tarsense, un neos farisaico, un giudeo ellenizzato e romanizzato.( Cfr. M. F. Baslez, Paolo di Tarso, Sei, Torino 1993 pp. 22-41).
Professore, ho letto questo libro su Paolo ed anche quello di Riccardo Calimani, da noi conosciuto insieme, a Venezia, ( Paolo, l ebreo che fondò il cristianesimo, Mondadori,1999 ) ed anche quello di Vittorio Messori (Dicono che è risorto, SEI, 2000) Mi sono informato e ne conosco il pensiero,- specie di Messori che risulta influenzato da E.Sanders- e ne rilevo il desiderio di mostrare la novità del suo studio storico, in cui riconosce giustamente che l ultima cosa che un ebreo si attendeva dal Messia era che dovesse patire, morire e poi risorgere ; l ultima cosa che ci si aspettava per i tempi messianici (anadiplosi!) erano una croce e un sepolcro vuoto nella storia!
Per Messori, comunque, è una novità il fatto che la testimonianza sul risorto avviene da parte di donne in una società maschilista, ed è riconosciuta unanimemente dalle fonti evangeliche, dagli Atti e da Paolo!.
Marco, non è facile avere concordia in chi narra e questo, per me, è segno di manipolazione in quanto chi vuole unanimità la costruisce!
Professore, io quando lessi il libro di Messori, rimasi sorpreso che lo scrittore si facesse tradurre da un prete, Antonio Persili il testo giovanneo dal greco, per rilevare che il lino che avvolgeva il capo era stato come inamidato nella resurrezione, tanto che l apostolo, avendo visto, credette .
Tu, Marco, ti riferisci a Giovanni 20. 6-7-8.: Theoorei ta othonia keimena/(Pietro) vede la bende per terra, kai to soudarion, o hn epi ths kephalhs autou, ou meta toon othonioon keimenon allà chooris entetuligmenon eis ena topon/ e Il fazzoletto che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo separato, in disparte; tote oun eiselthen o allos mathhths , o elthoon prootos eis mneemeion, kai eiden kai episteusen/ allora entrò l altro discepolo, quello che era giunto primo al sepolcro, e vide e credette.
Si. Mi riferisco al testo di Giovanni, ma per me, il vedere il fazzoletto posto accanto in disparte, piegato, non può determinare il credere giovanneo ed essere una novità! Mi sembra poco: Giovanni vide quel che vide cioè le bende a terra il fazzoletto ripiegato,( inamidato?! per il parroco di Tivoli, studioso di greco) forse da una donna, e il sepolcro vuoto, senza sooma, portato probabilmente da galilei non ebraici, collusi con romani ( Cornelio?). Infine, professore, l affermazione successiva non comprova la novità messoriana che cioè Giovanni a causa del vedere comprende quanto scritto nelle Scritture oti dei auton ek nekroon anasthnai/che doveva alzarsi risuscitare dai morti. Insomma per me il fatto che Giovanni non si sofferma sull argomento e che solo lui riporta un fatto tanto eccezionale, è ancora di più segno di non verità anche perché Gesù non è riconosciuto all inizio né da Maria di Magdala né dai due discepoli di Emmaus, i quali solo con lo spezzare del pane identificano il maestro -Eppure erano parenti!-..
Bravo Marco! Ricordi anche il mio lavoro su il messia mancato in www.angelofilipponi.com ?
Certo, professore. Per me l articolo fu più importante del libro di Messori perché lei marcava che la profezia messianica non era in linea con l uomo Gesù, ma col figlio di Dio Logos ! Lei ancorar di più in Oralità e scrittura dei vangeli mostra che essere fariseo, discepolo di Gamaliel, significa opporsi alla lettura letteralis carnalis, ed è riconducibile alla lettura allegorica e cordialis, in quanto tipica dei pneumatikoi, che attendono il premio eterno come ricompensa del loro ben operare, congiunto con la predicazione del Christos venuto, crocifisso e risorto !
Marco è la grande novità di un Paolo, visionario, aborto, schiavo, imitatore di Christos crocifisso e risorto, senza cui non c è cristianesimo. Lui di questo è testimone ultimo, ma sempre testimone cfr. I Corinti: 15,3-10: anzitutto vi trasmisi quanto anch io ricevetti che Cristo morì peri nostri peccati, secondo le scritture e venne sepolto e fu risvegliato il terzo giorno/oti Christos apethanen uper toon amartioon hmoon kata tas graphas, kai oti etaphh, kai oti eghgertai thi hmerai thei trithi e che fu visto da Cefa, poi dai dodici e poi fu visto da più di cinquecento fratelli in una sola volta, per la maggior parte ancora in vita, adesso, qualcuno già addormentato, quindi fu visto da Giacomo, poi da tutti gli inviati e finalmente dopo tutti, fu visto da me, come dall aborto/oosperei tooi ektroomati.
L aborto, fedele cristiano, operoso, dall incontro con Christos sulla strada per Damasco, non solo conosce la verità ma ha una nuova vista potenziata, dopo la cura di Anania! le sue affermazioni diventano carne e sangue per gli alessandrini Panteno, Clemente ed Origene e la Croce risulta emblema del cristianesimo. Dunque, in Oralità e scrittura di vangeli tu hai letto che io distinguo i due mondi, quello ebraico-aramaico, basato su una diversa concezione del vedere, puntata su un diverso sistema di staticità (i cui termini sono ‘amidah/stare saldo generico, precisato da nasav stare eretto e da yasav essere eretto che si rappresenta come sur roccia intesa come coltelli di roccia di granito e su una concezione sensibile di bene e di male (tov wa ra ) e di una, ontologica, intellegibile, di vero e falso (‘emet wa sheqer), e specie di una diversa idea di visione. Su un’ altra visione propriamente ebraica, basata su vedere ra’ah su guardare hibbit e su avere una visione hazah in modo differenziato si possono indicare vari gradi di osservazione fisica, ma anche designare una percezione intellettuale tanto da avere la forma/temunah (come vera natura di Dio- Num.12,8) in seguito ad un aprirsi degli organi, a cui è tolto il velo così da leggere, oltre la vista sensibile (paqah), in un cosciente andare verso Dio, in un approssimarsi ed avvicinarsi nuovo, rispetto a quello materiale, in un sollevamento verso l’alto/ram, in un alzarsi qimah grazie al cuore/ lev, centro sensibile affettivo infi’al- su cui poggia la spiritualità aramaica, tipica della tradizione culturale mesopotamica.
Quindi, Marco, ora puoi davvero rilevare il vedere di Giovanni, anche lui giovane all epoca, aramaico di cultura, il suo stare nel sepolcro come atti reali di contatto, diversi da quelli avvenuti poi altrove, per cui il credere in un risorto vivente è più in relazione a quanto visto dopo, circa l opera sul lago di Tiberiade che nel sepolcro.
Professore, mi sembra di aver capito qualcosa circa le questioni sottili degli orientali spirituali sulla resurrezione e ringrazio. Comunque, come mai il problema orientale sulle due diverse visioni e credi è restato limitato all Asia Minore, alla Siria e all Egitto, e zone limitrofe e solo più tardi si è propagandato in Occidente?
Ti ho spesso detto che gli orientali, specie i cappadoci, ritengono che noi latini occidentali, non avendo uno strumento linguistico adeguato, comprendiamo male i significati circa la Trinità e la divinizzazione del Christos!. Ne deriva che il problema resta sotto l impero bizantino, specie dopo la fine dell impero di Occidente, caduto in mani barbariche nel 476. Solo con la guerra gotico-bizantino (535-553) il problema della divinitas e quello della christologia riguardano anche il papato romano e le chiese occidentali. La restitutio imperii di Giustiniano (527-565) è il momento di presa di coscienza cristiana cattolica occidentale romana, quando l imperatore costringe papa Vigilio a sottoscrivere la condanna dei Tre Capitoli.
Quindi, professore, la stessa riconquista dei territori occidentali, specie di quello dell Italia, comporta una reazione unanime barbarica antibizantina, in nome di Dio e della religione, concentrata intorno al papato romano, costretto alla sottoscrizione da Giustiniano, a seguito del verdetto del Concilio di Costantinopoli del 553?.
Si. Marco. La condanna dei tre capitoli, cioè delle proposizioni di Teodoro di Mopsuestia, di Teodoreto di Cirro e di Iba di Edessa, essendo la scomunica non dei monofisiti- che hanno il favore della regina, Teodora- ma dei nestoriani, diventa la bandiera dell opposizione, anche politica in Africa, in Spagna, oltre che in Italia, dove la sola diocesi di Aquileia rimane filobizantina!.
La vittoria bizantina militare scatena una reazione religiosa con feroce avversione popolare contro l imperatore, che cuce i vari popoli e li coagula secondo vincoli nuovi, grazie alla lingua comune latina. Ne deriva che per quasi un secolo e mezzo i rapporti restano tesi tra la communitas latina e quella bizantina, mentre vi sono guerre tra ariani ed ortodossi e, spesso, tra ariani misti a catholikoi contro i bizantini!
Ed allora, professore, in questo clima antibizantino si afferma, in un momento di stasi politico-giuridico -formale, l auctoritas con potestas del papato romano, che sa manovrare le masse barbariche occidentali, nel nome di Roma, prima sede imperiale, tanto da costituirsi un proprio potere temporale su basi giuridiche inventate, basandosi sulla sua funzione pontificale, e si arroga il titolo di papa, rappresentante in terra di un Dio vivente!
Franciscus nomen omen!
Professore, lei considera papa Francesco, uomo non credibile perché francescano-gesuita?! lo ritiene prelato argentino di fede cristiana confusa, acceso di amore universale comunistico, alla ricerca della fratellanza vegetale animale ed umana, cosciente di essere una minima pars del kosmos, significativa? ! Per Lei è più un discepolo di Che Guevara che di Christos, un possibile Gorbaciov per l istituzione sovranazionale, illegittima, dello Stato Vaticano?!
Marco, lo vedo come un buon faccendiere, un impegnato dioikeeths non un uomo spirituale, dedito all ascesi, secondo lo spirito cristiano della nostra tradizione.
So che Il suo papato, controverso, è una dimostrazione concreta che il basileion politeuma/ l istituzione regale della Chiesa, durata per secoli, sta giungendo alla fine, esaurito lo spirito agostiniano con gli slanci platonico-aristotelici, concluso il connubio impossibile francescano-gesuitico, durato quasi cinque secoli!
Il papato è ora, col coronavirus, in agonia come la fides cristiana evangelica, mai insegnata col vangelo (cfr. Don Alberione www.angelofilipponi.com) al popolo, ignorante, al quale ha solo dato speranza di un altra vita con un premio eterno, in cielo!
Si discute sul munus e sul ministerium come nel 1130 tra i seguaci di Innocenzo II Papareschi e di Anacleto II Pierleoni ( cfr P. Fausto Palumbo, Lo scisma del MCXXX, Roma 1942,XX): essere servo dei servi non comporta la teoria delle due chiavi e tanto meno quella delle due spade! potrebbe sottendere il munus, inteso come mandato divino, dato da Dio stesso, (Christos, Uios/Logos) ad un suo rappresentante terreno, che ha anche il ministerium come amministrazione statale, propria di un amministratore, capo dei ministri/dioiketai!.
C era, allora, una lotta feroce tra la Chiesa gallicana giovane e quella romana vecchia, una che voleva una riforma spirituale in senso cluniacense e cistercense ed una che voleva un potere maggiore, centrale, sulla base della potestas romana (Cfr. Epistula CXLVII di Bernardo www.angelofilipponi.com ).
Professore, secondo molti, esistono anche oggi due papi uno spirituale pneumaticos, addetto allo spirito e cose divine apparentemente papa emerito, ritiratosi sua sponte ed uno naturalis, ilico-psichico, addetto al corpo e a cose umane, ai rapporti con i sovrani della terra come vicario vero di Dio, ambedue legge vivente , ambedue alter Christus, come se,però, si fossero divisi i compiti: papa Ratzinger Benedetto XVI, e papa Bergoglio Francesco ?!
Marco, a dire il vero il Christos aveva dato solo ad Jakob/ Iakobos/Giacomo, suo fratello, galilaico anche lui, la missione di continuare la lotta aramaica antiromana e non un mandato di creare una Ecclesia Universale romana con munus e ministerium ad un Cepha/ Petros, pescatore galileo ignorante, mai venuto a Roma a predicare ( cfr. Il mito di Pietro) con gli altri apostoloi, un cristianesimo stoico e neoplatonico, religione futura, che mostra qualche segno christiano in lingua greca, solo dopo la galuth/ dispersione ed eliminazione fisica del giudaismo aramaico ad opera dell imperatore Adriano (117-138 d.C.) !Mi sembra che oggi e l uno e l altro sono indecifrabili nel loro messaggio di christianos catholicos! . Forse accade quel che dice Ario in Thalia /banchetto riferendosi probabilmente ad Alessandro e ad Atanasio, papi, patriarchi di Alessandria: negano Dio, a fatti, quelli, che a parole, affermano di mostrarlo (theon omolougousin eidenai, tois de ergois arnountai)!. Senza entrare in merito a problemi così misteriosi e segreti, settari clericali, noi, da laici, rileviamo solo un vuoto del divino e dello spirituale, e ancora più , col coronavirus procediamo sbandati e disorientati, essendo venuta meno anche la scienza, stressati, nella impossibilità di comunicare, non vediamo la luce, anche se abbiamo speranza nella fratellanza e razionalità umana, oltre che nel superiore equilibrio selettivo divino della Natura!.
Professore, ma lei non ha sentito la parole di fratellanza e di misericordia di papa Francesco l 11 aprile, proprie di un ministerium di un dioicheths ellenista, che fa allegoria senza avere coscienza reale di quanto dice e, senza conoscere la situazione contestuale, fa, a parole, proclami misericordiosi?
Io sono un po sordo, ma ancora qualcosa sento! A che valgono, Marco, le sue parole ministeriali, se non sa neanche il loro reale significato perché ragiona come un theologos, che ha il munus divino (Cfr. Anania e Saffira ).
La sua lectio sulla misericordia è uno sproloquio, visto dall angolazione storica , anche se letta secondo il comunitarismo universalistico cristiano.
Il papa, impegnato razionalmente e naturalmente, dice come parola di Dio, la verità, ma confonde Il regno dei cieli col Regno di Dio, uno stato ebraico aramaico antiromano, con uno stato ecclesiale katholicos, di epoca costantiniana e teodosiana, secondo una lettura atanasiana e damasiana, celebrato da una tradizione romano-ellenistica!
Per lei, dunque, professore, sono parole quanto dice papa Bergoglio: nessuno è sbagliato, inutile, escluso;... condividere la proprietà non è comunismo, ma cristianesimo allo stato puro!
Atti degli apostoli opera forse di un Luca, che neanche sapeva quel che diceva e ricordava quel che ricordava del Regno dei cieli , dopo la distruzione del Tempio non sono parola ispirata da Dio ma frutto di una tradizione cristiana ellenistica!
Le successive parole del papa non hanno significato, ma sono solo interpretazione allegorica di una realtà comunitaria: nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune! La sottesa attuazione del Regno dei cieli aramaico è chiara se si pensa ai discepoli che entrano in contrasto al momento della vittoria sui Romani, nel periodo 32-36 d.C.: si spiegano le parole stesse del papa sorpreso al passaggio di uomini interessati poco prima alla divisione del potere, passati improvvisamente ad una condivisione della proprietà-: tanto più sorprendente se pensiamo che quegli stessi discepoli, poco prima, avevano litigato su premi ed onori e su chi fosse più grande tra di loro ed ora, condividono tutto.
La conclusione papale è perfetta, ma non reale, non cristiana: nessuno fra loro era bisognoso!
Marco, si erano costituite le haburoth, le comunità aramaiche, consociate, anticipazioni delle cooperative, che imponevano di mettere in comune i beni, amministrati da un solo responsabile, che pagava le tasse per tutti!.
Il papa, Marco, conoscendo il Regno di Dio confuso col Regno dei cieli, alla fine del IV secolo ed inizio V secolo, segue la linea interpretativa filoniana ed origeniana dei Padri della Chiesa e dice: i discepoli hanno visto l altro perché la misericordia ha trasformato la loro vita, ed hanno scoperto di avere in comune la missione, il perdono, il corpo di Cristo.
Professore, da qui deriva che il cristiano, caritatevole, non deve rimanere indifferente di fronte al bisogno dell altro, deve essere misericordioso, testimone di misericordia, essendo stato misericordiato ! Solo così la fede sarà viva. E la vita sarà unificata. Solo così annunceremo il Vangelo di Dio, che è Vangelo di misericordia!
Ma io, cristiano, mi chiedo: Chi pontifica? il Vicario di Dio, l uomo con due poteri?! Chi ha munus o chi ha ministerium?
I romani riconsegnarono nel 37a.C. il corpo /sooma del re asmoneo Antigono Mattatia, dopo la tortura e la decapitazione?
Non sembra. Inviarono, però, ad Erode messaggeri con la testa di Antigono per dare la certezza della sua morte ed avere la ricompensa in talenti e in preziosi.
Marco, Flavio Ant. giud.XIV,487-491- scrive : Erode temeva che Antigono, custodito da Antonio, per essere portato a Roma, potesse avere la possibilità di perorare davanti al senato la sua causa e dimostrare di essere legittimo discendente di re, rispetto a lui, che era comune cittadino, e che i suoi figli avrebbero regnato in virtù della loro stirpe, nonostante le offese che egli aveva arrecato ai romani.
Lo storico giudaico conclude: (Erode) diede molto denaro ad Antonio e lo convinse a liberarsi di Antigono.
Questo viene detto a termine del XIV libro di Antichità giudaiche con cui viene evidenziata la fine della dinastia asmonea, dopo 126 anni di regno, con la conclusione della guerra coi Parthi, vinta da Antonio per legatos, prima, tramite Ventidio Basso e, poi, grazie a Gaio Sosio!
Quindi, professore, Flavio archivia storicamente il regno degli asmonei con la fine della guerra parthica, conclusasi con l assedio e presa di Gerusalemme, ed inizia col XV a trattare del regno di Giulio Erode, figlio di Antipatro, capostipite della dinastia degli Antipatridi. E così ?!
Si. Nel mostrare i difficili inizi del suo regno, a causa della reazione armata degli aramaici, fedeli alla vecchia dinastia regia e alla persona di Antigono, mostra i tumulti in Gerusalemme una città da poco presa dai romani ed ancora sotto le macerie- evidenziando la necessità del nuovo re, considerato illegittimo, di far bottino, di spogliare i ricchi gerosolomitani tra cui Abba/Baba al fine di avere a disposizione molta quantità di oro e di argento.
Professore, i tumulti popolari autorizzano Erode a reprimerli con l aiuto dei romani e far giustiziare i nemici o ad esiliarli, incamerando i loro beni nel suo tesoro privato, facendo probabilmente doni anche al Tempio e ai sadducei!
Certo, Marco!
Flavio ( Ant. Giud., XV, 1-10), infatti, scrive . fece uccidere 45 partigiani di Antigono e pose guardie alle porte delle mura affinché con i morti non si potesse portare fuori nulla in quanto queste perquisivano attentamente i cadaveri e quanto trovavano d oro e di grande valore portavano al re, che.. avido padrone li saccheggiava anche perché aveva bisogno di denaro, essendo la terra in riposo, in quanto si era nel settimo anno.
Professore, lei, in molte sue opere, ha fatto vedere il continuo stato di guerra dei giudei coi romani e le stragi perpetrate dai milites e, quindi, la processione di carri, pieni di morti, portati fuori dalle mura della città e in Erode basileus il secondo libro del bios di Erode il Grande, il filelleno, opera inedita tratta della vicenda insurrezionale di Costubar e mostra il suo tradimento, avvenuto circa 12 anni prima, all epoca dell assedio di Gerusalemme e dei primi mesi del regno erodiano, dove parla specificamente dei figli di Baba/Abba!
E vero! Ne ho parlato!. Flavio, infatti, narra che nel 28 a.C. ancora esistevano dei rivoltosi favorevoli ad Antigono, e che Costubar con Lisimaco e Dositeo (Ant Giud., XV, 261-266) era tra i guardiani delle porte e che, all epoca della presa di Gerusalemme, salvò i figli di Baba/Abba, stimati ed onorati da tutto il popolo, ritenuti uomini utili, in caso di cambiamento di governo, tanto da decidere di segregarli in Idumea, regione sotto il suo diretto controllo. Quando Salome ripudia il marito e lo accusa di tradimento, viene fuori tutta la vicenda dei figli di Baba/Abba, determinando la morte di loro e di Costubar.
Bene, professore. Ora, siccome so che Flavio, dopo aver evidenziato i primi atti regi di Erode e la sua difficoltà a regnare, è costretto a mostrare dettagliatamente la morte di Antigono ad Antiochia e a citare anche Strabone, come prova di verità, le chiedo se anche l evangelista Giovanni, che narra di una vicenda di guerra, appena conclusa, quella messianica, usa la stessa tecnica informativa o si serve di qualche accorgimento per provare la morte di Gesù e poi per dimostrare la miracolosa resurrezione! Mi può mostrare i testi in modo da compararli?
Marco, io non ho difficoltà a citare Flavio Ant. Giud. XV,8-10 e neanche Giovanni 19,31-42.
Per il primo ti sintetizzo il pensiero e ti rimando alla mia traduzione del XV libro di Antichità Giudaiche: Antonio, avendo intenzione di mantenerlo vivo, per portarlo con sé a Roma per il trionfo, come emblema di nemico punito per la ribellione aramaica, filoparthica, lo tiene prigioniero a Antiochia. Erode, ora re di Giudea, fatta la strage dei fautori aramaici asmonei, coi loro beni forma un tesoro da inviare al triumviro e lo spinge, dietro compenso, ad uccidere subito il ribelle, informandolo che altrimenti egli non ha possibilità di regnare, essendo grande l amore per la vecchia dinastia tanto quanto l odio per lui, un romanizzato ed idioths/civis privato!. Detto questo, ti riporto, fedelmente, il testo italiano di Flavio: decise, allora, di tagliargli la testa: in altro modo, infatti, non si sarebbe potuto tenere tranquilli i giudei! Strabone il Cappadoce, confermando le mie parole, scrive: Antonio fece decapitare Antigono, precedentemente condotto presso di lui, ad Antiochia. Fu il primo romano a decidere di far decapitare un re: pensava, infatti, che non vi fosse altro modo che potesse cambiare il sistema dei giudei, che non potevano accettare Erode al suo posto, in quanto neanche sotto tortura essi lo avrebbero onorato ed acclamato re! Antonio pensava che così sarebbe caduta la sua memoria e fosse diminuito l odio verso Erode!.
Quindi, professore, per Flavio, che riporta anche la fonte autorevole di Strabone, la testa di Antigono, inviata ad Erode è segno per gli ebrei aramaici che la loro dinastia nazionale è finita e che ora i romani impongono come re Erode, figlio di Antipatro, come loro kurios e che sono troncati i legami coi parthi!. Ma il sooma/corpo del re asmoneo che fine fa, come anche quello di tanti altri prigionieri portati ad Antiochia da Sosio, governatore di Siria, a guerra finita?
Questa, Marco, è una storia ancora da raccontare! sappi, comunque, che i corpi/soomata dei nemici, uccisi in battaglia o crocifissi, venivano ceduti dai romani al migliore offerente, a parenti o amici o partigiani, ricchi, che, pagando, potevano fare il loro ufficio funebre. Bastava pagare! Flavio riporta molti casi di riscatto di sooma ed io ne conosco molti e li ho citati nella Biografia di Erode. (Per il fratello Fasael, prigioniero e poi ucciso, avrebbe pagato fino a 300 talenti- XIV,371-, per l altro fratello Giuseppe, ucciso da Antigono, il riscatto di 50 talenti è pagato da Ferora -XIV,430-). Anche Giovanni evangelista, senza dirlo esplicitante, si riferisce a questa pratica di riscatto, comune a parthi, ad asmonei e a romani, che applicano una norma prefettizia, pubblicana, che, comunque, è diversa in tempo di guerra, dato il gran numero di morti! Marco, ecco il testo di Giovanni: era il giorno della preparazione /paraskeuh e, dunque, i giudei richiesero hroothsan a Pilato -era infatti un giorno solenne quel sabato per non far rimanere quei corpi sulla croce / epi tou staurou ta soomata, di far spezzare loro le gambe e di portarli via. Vennero, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all altro, che era crocifisso con lui. Venuti da Gesù, vedendolo già morto tethnhkota, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli aprì il fianco con una lancia e subito ne uscì sangue con acqua. Giovanni aggiunge: e quello, che ha visto, ha reso testimonianza, e vera è la sua testimonianza, e sa che dice cose vere/ o eoorakoos memarturhken kai alethinh autou estin h marturia, kai ekeinos oiden oti alhthh legei.
Professore, non è troppo insistente per essere vero il dire i fatti ricorrendo al poliptoto alhthinh alhthh ?
Marco, l uso del poliptoto giovanneo e dell avverbio alhthoos marcino (Marco,15,39 aleethoos outos o anthroopos estin uios theou hn/ veramente quest uomo era figlio di Dio!) è davvero opportuno per una manifestazione di fede e ancora di più è dubbio tutto il testo, se rilevi che questo è detto come spiegazione di passi della Scrittura: non gli sarà spezzato alcun osso!; guarderanno a colui che hanno trafitto!
Professore, lei vuole dire che sotto c è lettura allegorica di quanto avviene e che si scrive in tempi lontani dai fatti?
Certo Marco! i fatti sono letti, dopo decenni, in modo da essere significativi per i credenti in Christos, secondo una visione sapienziale e simbolica!. Infatti il sangue (col pane) è segno dell eucarestia mentre l acqua esprime il battesimo con sottensione dello Spirito Santo secondo una lettura tipica del IV-V secolo d.C. che considera la Chiesa come nata dal costato di Cristo, colpito da Longino, al pari di Eva nata da quello di Adamo (cfr. Agostino e Giovanni Crisostomo ). Giovanni seguita il racconto: Giuseppe di Arimatea quel discepolo -senza patronimico, indicato col solo nome di città, inesistente all epoca, non identificabile, ignoto che, di nascosto, era andato da Gesù, per timore dei giudei, chiese a Pilato di potersi prendere il corpo di Gesù/to sooma tu Ihsou e Pilato lo concesse (epetrepsen). Venne anche anche Nicodemo, che la prima volta era andato da lui, di notte, e portò una mistura di mirra e di aloè di cento libbre/pheroon migma amurnhs kai alòhs oos litras ekaton.
Quindi, si può dire, professore, che due del consiglio dei settanta, due sinedriali vanno da Pilato, in via ufficiale, a chiedere il sooma di Gesù e lo ottengono, non come discepoli ma come notabili consiglieri, protoi, per conto della comunità gerosolomitana!
Certo, Marco! La precisazione di Giovanni fa escludere, data la vigliaccheria dei due, che essi, da privati, si espongano, dopo la morte di Gesù! Essi rappresentano quel Sinedrio nuovo, filoromano subentrato a quello vecchio filoparthico e messianico che si è lamentato della scritta in triplice lingua sulla croce circa la regalità del Crocifisso e che era stato zittito dallo stizzito Pilato, che aveva risposto o gegrapha, gegrapha! Professore, io penso, come lei, che i due discepoli, segreti, non certamente dopo la morte del Messia possono aver il coraggio di fare un richiesta privata e familiare compromettente!
Tu ritieni , dunque, con me, che tutto il testo di Giovanni, scritto dopo molti decenni dai fatti, è equivoco nel processo davanti ad Anna e kaifas e in quello davanti a Pilato, perché non mostra il clima di guerra e parla di un uomo che si è fatto Dio inconcepibile all epoca !- perciò, degno di crocifissione secondo la legge ebraica (cfr. Giovanni 19,7 anche se accenna al lhisths Barabba cfr ibidem 18,40 e cfr. Marco 15,7, che parla di un desmios un prigioniero, o legomenos Barabbas, il detto Barabba/figlio di Abba, che con altri rivoltosi stasiastai aveva commesso nella rivolta/stasis un delitto-!).
Certo, professore, sono d accordo anche io perché Pilato insiste sul regno/basileia di Gesù, pur salutato per scherno -diciamo noi!- re dei giudei dai soldati, anche se stranamente non trova colpe in uno che è detto re (maran?!) dei giudei o si è autoproclamato sovrano di un territorio romano seppure a parole viene fatto risultare dopo molti anni da uno scrittore efesino, un re di un regno non di questo mondo/h basileia h emh ouk estin ek tou kosmou toutou, i cui ministri/ uphretai avrebbero combattuto hgonizoonto, per non darlo in mano ai giudei!
Inoltre, Pilato, professore, fa appendere una tabella con iscrizione col titolo regale di Gesù sulla croce che già di per se stesso risulta un crimen di lesa maestà nei confronti di Tiberio, che non ha autorizzato la sua exousia/il potere, dato, invece, dal nemico partho Artabano III, secondo la sua ricostruzione storica! Comunque, lasciando da parte i Vangeli, Flavio nella sua opera, parla, altrove, di soomata?
Flavio ne parla in altre parti della sua opera e, in specifico, in due punti, uno di Guerra Giudaica ed uno di Bios-. Esaminiamo Guer. Giud. V, 13, 7 (367.69), in cui il sacerdote ebraico, ora al servizio di Tito, come interprete, mostra gli orrori della guerra in corso: in quei giorni si rifugiò Manneo, figlio di Lazzaro, il quale riferì che, attraverso una sola porta, affidata alla sua sorveglianza nel periodo tra il 14 del mese di Xantico, quando i romani si erano accampati presso la città e il primo del mese di Panteno, erano stati trasportati fuori 115.880 cadaveri. Tutti questi appartenevano ai ceti popolari più bassi ed egli, pur non essendo preposto a questo ufficio, li aveva dovuto contare perché aveva l incarico di pagare col denaro pubblico le spese del trasporto, mentre gli altri erano sepolti a cura dei parenti che facevano la sepoltura, tirandoli fuori e buttandoli via dalla città/tous de loipous oi proshkontes ethapton, taphh d hn to prokomisantas ek tou asteos ripsai.
La mia traduzione, Marco, diverge da quella di Giovanni Vitucci di norma perfetta, che in Guerra giudaica, II, Fondazione Lorenzo Valla Arnoldo Mondadori editore1974, non è chiara e risulta quasi contraddittoria, in quanto, da una parte, mostra il pietoso ufficio di seppellire thaptein, fatto dai proshkontes/ congiunti che hanno da compiere il dovere funebre e, da un altra, sembra che i cadaveri siano estratti dal mucchio e buttati via dalla città.
Noi, invece, pensiamo che la sepoltura a cura dei pii parenti consisteva nel precipitarsi a levare/ riptein dal mucchio i corpi dei propri cari morti che, una volta tratti fuori, vengono portati, processionalmente, al luogo stabilito nei limiti della contingenza della situazione bellica. Si è in guerra! e sembra che i morti, contati con quelli delle altre porte, siano 600.000, a detta di altri custodi, rifugiati, in seguito, presso i romani!
Marco, per capire quanto scrive Flavio devi sapere che esiste un magistrato responsabile, sorvegliante di ogni porta, incaricato da un phrourarchos/ capo della guarnigione, a far svolgere un servizio ad uomini, pagati a spese pubbliche, in relazione al numero dei morti accertati, e a verificare i cadaveri e a commissionare, dopo l uscita dalla città, il trasporto su carri dei corpi a schiavi o liberti , che, con asini e vecchi cavalli, guidano le carovane mortuarie in zone designate per la sepoltura plebea. E sotteso che il costo della sepoltura popolare a spese pubbliche è modico, e in relazione al percorso da fare fuori città e al numero dei carri impegnati al bisogno, mentre il riconoscimento dei cadaveri dei protoi e il loro trasporto è un rito privato con un corteo di familiari, che portano profumi per la dovuta imbalsamazione!.
Ora, professore, capisco il motivo per cui lei, sempre rispettoso della traduzione altrui, perfino di quella di Luigi Moraldi- da lei ritenuto un traduttore di traduttori, frettoloso, rispetto ad altri già da tempo impegnati nella stessa traduzione di Flavio (Antichità giudaiche, I,II, UTET, 2000), in questo caso, ha voluto fare un proprio intervento sul testo, riportato dal Vitucci!.
Marco, grazie per la tua amichevole approvazione! Sappi, comunque, che Flavio narra di un altro episodio, bellico, quello accaduto a Tecoa, descritto in Bios (Cfr. Giuseppe Flavio, Autobiografia, Introduzione Traduzione e note di Elvira Migliario, Testo greco a fronte, BUR,1994).
Giuseppe, all epoca, anche se prigioniero, segue Tito che, nel 69 d.C., riprende l assedio di Gerusalemme, ancora nel quadro di guerra civile, tra Vespasiano e Vitellio (cfr. Vespasiano e Il regno e Apollonio di Tiana e Gesù di Nazareth) e svolge la funzione di interprete, invidiata- anche se spesso è accusato di tradimento dai suoi contribuli-! In seguito, quando scrive Guerra giudaica mostra il suo amore per la patria, per Gerusalemme, per il Tempio distrutto, per i confratelli ed evidenzia la sua emozione caritativa di fronte alla tragedia dei suoi amici e parenti e ricorda atti di generosità personale verso i suoi compatrioti, seppure rabbiosi nei suoi confronti ed invidiosi. Lui, ora, vive a Roma nella stessa casa dove viveva Vespasiano da privato con Cenide, ha onori ufficiali, ha in dono ville e terreni in Italia e in Giudea ed ha la cittadinanza romana e fa parte della familia flavia tanto da parlare alla pari col suo basileus Giulio Erode Agrippa II e con Berenice, allora destinata a divenire moglie di Tito, che convalidano ed approvano la sua opera storica!.
Quindi, il racconto del suo amore per il suo popolo vinto e per la Iudaea capta è da vedere da questa nuova angolazione di civis romano e di rispettato liberto imperiale!.
Certo, Marco! Comunque, così scrive, dopo aver mostrato di aver liberato, grazie alla protezione di Tito, 195 amici e parenti, raccontando l incontro con molti prigionieri crocifissi, tra cui tre amici (Bios, 420-21): inviato da Tito con Cereale e 1000 cavalieri / chiliois ippeusin ad un villaggio, chiamato Tecoa, per verificare se il villaggio era adatto ad accogliere un campo trincerato/ charaka, nel ripartire, vidi molti prigionieri crocifissi e ne riconobbi tre, che erano stati miei amici, e ne ebbi il cuore straziato ed andai subito da Tito a dirlo. Egli ordinò che immediatamente fossero tirati giù e che ricevessero le cure più attente e due di loro morirono, ma il terzo sopravvisse.
Professore, al di là di questi fatti, viene fuori che, in tempi di guerra, prevale la disumanità, normale per i romani, un popolo in continuo stato di guerra, che dalla vittoria ha una grandissima ricchezza, che, a fiumi, arriva da tanti popoli soggetti, alla Capitale. Flavio è da vedere certamente come un filoromano, costretto dalle vicende alla guerra nel periodo galilaico, e, dopo Iotapata, divenuto schiavo, risulta un traditore, eukairos/ opportunista, un collaboratore dei romani che se ne servono come interprete ed intermediario fidato coi Giudei specie gerosolomitani, presso i quali vive forse ancora il padre sacerdote della prima delle 24 classi sacerdotali, un notabile gerosolomitano, coetaneo del nostro Gesù- ed anche la madre discendente asmonea, che, in un occasione, piange il figlio, perfino, come morto cfr. Giusto di Tiberiade -. E chiaro che in tale stato come scrittore, cerca di alonarsi, vestendosi da filantropo e benefattore per amici e parenti: questo capitò dopo il 70 d.C., ma la stessa cosa potrebbe essere stata fatta dagli evangelisti che narrano molto dopo l impresa fallita messianica del 32-36 d.C., che, comunque, aveva lasciato tracce di un pur breve periodo di Malkuth, glorioso, e specie Giovanni potrebbe aver stravolto i fatti, grosso modo narrati da Marco e Matteo, e già mitizzati da Luca, vivendo in tempi apocalittici ed escatologici: Giovanni /lo pseudo Giovanni, più degli altri, visionario, dà una sua visione falsata del Christos, della sua morte e della sua resurrezione, dei miracoli galilaici come testimonianza della presenza del Messia, ancora vivente, cantato dalla toledoth. Siccome gli sfugge la realtà cruda della guerra, ricrea figure, non storiche, di Gesù e di Pilato e degli altri protagonisti della vicenda!.
Professore, operando in questo modo, lei mi permette di pormi domande circa il corpo di Antigono, ma anche circa il sooma di Gesù e il sepolcro vuoto, in quanto la situazione autorizza un esame da un altra angolazione.
Marco, cosa vuoi dire realmente ?
Vorrei sapere da lei, che ha operato e sulla vicenda reale del Christos e sul muthos galilaico della tradizione:
1. se i romani vendettero il corpo di Antigono, maran giudaico di Gerusalemme, dopo una guerra vinta contro i parthi, perché non avrebbero potuto fare la stessa operazione col corpo di un altro maran, dopo oltre un settantennio, a seguito della vittoria sui Parthi di Lucio Vitellio, del trattato di Zeugma e la successiva morte di Tiberio, con la proclamazione nella città Santa dell avvento al trono del neos sebastos Gaio Germanico Caligola?;
2. se la prima entrata, solenne, a Gerusalemme di Lucio Vitellio, avvenuta nella Pasqua del 36 d.C., determina la crocifissione di Gesù e la seconda, ancora più solenne, sempre nel periodo pasquale, del 37 d.C. risulta proclamazione di Caligola giovane augusto, sovrano dell ecumene, simbolo di una nuova età dell oro per l Oriente e l Occidente, espressione di una pacificazione tra tutti i popoli e specie tra ebrei e romani, ora affratellati di fronte all evento dell avvento di un divino puer, che autorizza le più rosee speranze per l universo, come si legge in Filone, prefazione a Legatio ad Gaium ( cfr. A.Filipponi, Legatio ad Gaium, e.book Narcissus 2011), non si può pensare che in tale clima di euforia e di gioia universale cessino le ricerche del corpo di Gesù, trafugato dai romani nel corso del riposo del Sabato , estese, poi, anche in Galilea da Pilato -subito esautorato dal legatus imperiale, trionfatore su Artabano III per ordine di quel Marcello, suo provvisorio sostituto, destinato a cedere il mandato prefettizio ad Erode Agrippa favorito di Gaio Caligola, che lo fa tetrarca prima dell Ex tetrarchia di Filippo e poi di quella di Galilea e Perea, tenuta da Erode Antipa, ed infine, divenuto re, ad opera di Claudio, dell intera Iudaea, riunificata?- cfr. Giudaismo romano II E book Narcissus 2012 -.
Marco, alla prima domanda rispondo che è possibile che i romani abbiano effettivamente sottratto il corpo di Cristo e lo abbiano venduto come fecero con quello di Antigono decenni prima, ritrovato in un Ossario nel 1971 da archeologi ebraici in una nicchia segreta di una delle due camere costituenti la Grotta detta di Abba; per la seconda ti aggiungo che si vive in un momento magico per l impero romano che festeggia per sette mesi il nuovo giovane re del Mondo, che, comunque, passa improvvisamente da una continua festa ad uno stato di disperazione e di trepidante attesa, alla notizia di una malattia mortale che ha colpito il divino puer e, quindi, rimane per un periodo di circa tre mesi in affanno, in cui si prega, si sacrifica, si fanno voti augurali di ogni genere per la guarigione del giovane amatissimo/ peroptatissimus figlio di Germanico, ristabilitosi negli ultimi giorni di gennaio del 38 d.C.: Filone parla di un giubilo indescrivibile popolare, incontenibile, in ogni parte dell oikoumenh e greca e barbarica: Marco, in quel tempo, Caligola, erede di Tiberio, è segno di una pacificazione generale straordinaria nell impero romano, a seguito della vittoria su Artabano III: si teme solo l invidia degli dei/phtonos toon theoon, vista la irraggiungibile grandezza e potenza di Roma, governata da un solo Signore, di stirpe divina! Che valore poteva avere, in un tale clima di rinnovata certezza di pace, grazie all erede divino della divina famiglia giulio-claudia, la ricerca di un sooma di un povero galileo, di un ribelle maran vinto e crocifisso, venduto dai soldati a partigiani, desiderosi di seppellirlo degnamente in Galilea?. Specie quando a capo delle due tetrarchie erodiane è signore Giulio Erode Agrippa, un principe gerosolomitano amico e maestro di Caligola, che ha nel suo nome stesso una storia di romanizzato ma ha nel sangue i geni congiunti della stirpe asmonea in quanto discendente dalla nonna Mariamne, figlia di Alessandra di Hyrcano, e quelli della stirpe erodia in quando figlio di Aristobulo suo secondogenito e di Erode il grande, destinato a riunire tutto il regno dei propri avi, grazie al debito di riconoscenza dell imperatore Claudio, fratello di latte!
Dunque, professore, secondo lei, i soldati romani possono aver venduto il corpo di Gesù e rimanere anche impuniti date le circostanze favorevoli, epocali, per circa una ventina di mesi, essendo cessate le indagini sul sooma di Gesù e sulla sua presunta vita di risorto in Galilea, sui miracoli della pesca sulla sua ascesa al cielo e sull invio degli apostoli a predicare il khrugma evangelico, a seguito della calata dello Spirito Santo!
Allora, professore, in una tale situazione è probabile la nascita della leggenda di Gesù che, non essendo morto era stato curato e salvato da amici che avevano acquistato il sooma!-. Secondo la medicina attuale Gesù, come crocifisso poteva morire per asfissia perché piegato in avanti, e rimanendo in tale posizione si sarebbe potuto soffocare, ma ricevuto il colpo di lancia, emise sangue con acqua e poté avere una certa respirazione proprio quando era svenuto ed appariva morto, per poi cadere in uno stato di deliquio comatoso, profondo, tale da non accorgersi neppure di essere sepolto da mani pietose! Rinvenuto nello tomba, si era risvegliato e i romani, venuti per vendere il corpo lo trovarono svegliato dal torpore del coma e, pur sbigottiti, lo consegnarono ai compatrioti galilaici, seguaci, che lo trasportarono in Galilea e lo fecero curare da medici!
Marco, sei molto fantasioso! Hai letto Caritone di Afrodisia, (Il romanzo di Calliroe, a cura di Renata Roncali, testo greco a fronte, Bur 2012)? Vi si legge che Calliroe. sepolta perché creduta morta dopo un calcio all altezza del diaframma che bloccò il respiro (IV,12) dato dal suo fidanzato Cherea, geloso, si sveglia, quando alcuni predoni, marinai, sono intenti alla violazione/Tumbooruchia e al saccheggio della tomba/ierosulia : ta de peri Kallirohn allhn elàmbane paliggenesian kis tinos apheseoos eggenomenhs, mogis kai kat oligon anepneusen/ quanto a Calliroe, otteneva la sua rinascita una seconda volta e come avvenne l emissione di fiato, che era venuto meno per via del digiuno, a fatica, a poco a poco, riprese a respirare, poi ricominciò a muovere il corpo nelle sue parti ed, aperti gli occhi, ebbe la sensazione di essersi svegliata da un sonno /aistheesin elambanen egeiromènhs ecs upnou VIII,1 -!
La tua ricostruzione, Marco, non ha alcuna base storica se non la frase di Bios di Flavio che uno dei tre crocifissi di Tekoa si salvò e una bella favola milesia, raccontata da Eumolpo uno dei protagonisti di Satyricon di Petronio, la Matrona di Efeso cfr. 111-112 ( Satyricon a cura di Vincenzo Ciaffi.UTET 1967). Non te la ricordi? L ho narrata molte volte per mostrare la levitas/leggerezza delle donne, anche le più pudiche, facili ad innamorarsi e a dimenticare, perfino, i figli, pur di aver una esperienza fuori casa /peregrina libidine!- Ibidem,111- Te la sintetizzo. Si tratta di una donna che trascorreva in pianto il tempo e viveva nel sepolcro stesso, nella cripta, dove era la salma del marito, secondo l uso greco, vegliandolo e compiangendolo decisa a morire di fame, avendo accanto una ancella. Tutti, senza distinzione di classe riconoscevano che mai si era visto nella realtà una prova così lampante di amore di pudicizia! -ibidem-. Accadde che il governatore della provincia/imperator provinciae fece crocifiggere dei ladroni secundum illam casulam in quan recens cadaver matrona deflebat/ vicino all edicola in cui la matrona compiangeva il suo uomo. Un soldato incaricato di sorvegliare le tre croci affinché i corpi non fossero asportati, di notte sentì piangere e si avvicinò al sepolcro e vide la bella donna con la serva, che aveva un lume. Stupito per la divina bellezza della matrona, resosi conto della situazione, portò la sua cena alla servetta che, mangiatane un po , convinse la padrona ad assaggiare e a bere qualcosa, dopo cinque giorni di digiuno. Il soldato, convinta la donna a mangiare ed a bere, le portava ogni giorno, appena poteva, la sua cena! La matrona cominciò a mangiare e poi ad accettare anche la corte del giovane e belloccio soldato, sollecitata anche dalla serva, tanto che alla fine il miles, entrato nel sepolcro, si accoppiò con lei. Avvenne, però, che le assenze del soldato furono notate dai parenti dei crocifissi che rubarono un corpo. Il soldato, appena si accorse di ciò, temendo la punizione del governatore, sguainò la spada per uccidersi, ma fu frenato dalla donna che non meno pietosa che pudica / non minus misericors quam pudica ebbe a dire: Dio non voglia che dei due uomini più cari, che ho avuto, io assista ad un tempo a due funerali! preferisco appendere un morto che uccidere un vivo! malo mortuum impendere quam vivum occidere.
Petronio fa chiudere il racconto ad Eumolpo così: il giorno dopo, il popolo era lì a chiedersi, stupito, come il morto fosse salito in croce/posteroque die populus miratus est qua ratione mortuus isset in crucem! -ibidem 112,8-.
Professore, ora mi ricordo! Comunque vorrei conoscere i particolari del ritrovamento dell Ossario della grotta di Abba, certamente più interessante della fabula milesia, dato il valore di un ritrovamento archeologico.
Non è cosi?!
Come no!. Non si tratta, mica, di una fabula , raccontata in un romanzo antico, ma di un fatto vero.
Bene. Professore, io ascolto.
Marco, io so che al Museo nazionale di Gerusalemme c è esposto un reperto del 1968, un chiodo ficcato su un piede di un crocifisso del I secolo d.C. di un tale Yohanan ben Hagdol, trovato non lontano dalla Grotta di Abba, nello stesso quartiere di Givat Hamivtar, che ha un iscrizione aramaica del primo secolo a.C. ll ritrovamento della grotta è del 1971 nel corso di scavi per le fondazioni di una casa civile , ed essa, oltre ad un Ossario molto ben decorato, ha una iscrizione in lingua aramaica, in cui si legge : Sono figlio del sacerdote Eleazar, Abba, l oppresso, nato a Gerusalemme ed esiliato a Babilonia, quello che ha riportato Mattatiah, figlio di Giuda e che lo ha sepolto, nella grotta che ho acquistato.
Professore, si parla di Antigono Mattatiah figlio di Aristobulo II?
E probabile, ma non è certo. Comunque, l Ossario, in calcare, era sotterrato, nascosto in una nicchia, sotto terra, e potrebbe essere di un personaggio di grande rilievo. Le ossa, inoltre, sono compatibili con l epoca della morte di Antigono, la cui identificazione resta enigmatica, nonostante l iscrizione. Infine l attribuzione ad Abba/Baba è tutta da studiare e ,allo stato attuale, non si hanno reali indicazioni circa l assimilazione.
Professore, dopo il ritrovamento, ci saranno stati studiosi che hanno cercato di risolvere l enigma?
Certo. Marco!
Nel 2013, Yoel Elitzur, storico della Hebrew University considera Abba un sostenitore degli asmonei, esiliato da Erode, che, al ritorno dall esilio, essendo di passaggio ad Antiochia, forse richiamato in patria insieme ad Hyrcano, (cfr. Erode Basileus), ebbe la possibilità di riportare a Gerusalemme i resti del re asmoneo, in forma non pubblica, ma segreta e nasconderli sotto il pavimento di una delle due camere della Grotta, da lui acquistata, lasciata in eredità ai suoi figli, come un bene da conservare lontano dagli sguardi altrui!. Anche Israel Hershkovitz, antropologo dell Università di Tel Aviv, rileva che nell Ossario di Antigono c è un chiodo in una mano che fa pensare ad una tortura e ad una crocifissione, prima della decapitazione.
Professore, quindi gli ebrei si sono impegnati a comprendere la figura di Abba e a ricercare il sooma di Antigono!
Marco, ti aggiungo che anche l archeologo James Tabor si dice che sia interessato alla Grotta di Antigono, ma, finora, non ha pubblicato niente in merito.
Professore, gli ebrei dovrebbero essere interessati più dei cristiani all enigma della morte di Antigono e alla scomparsa del corpo anche per le molte somiglianze con la passione e morte del Christos! Essi potrebbero, dati i mezzi a disposizione, arrivare a scoprire qualcosa circa il sepolcro vuoto del Messia, circa il sooma di un uomo, non certamente risuscitato e tanto meno salito al cielo, alla destra di Dio Padre!
Marco, non mi sembri più Marco! Col venire dietro di me, col seguire la ricerca di un laico, stai guardando il cristianesimo da un altra angolazione e stai perdendo la fede!
Ho già detto che il Vangelo di Marco è un accozzaglia di dati interpolati, in cui la prima parte, fino a 9, compreso, è tipicamente ellenistica (della Scuola di Alessandria ) e la seconda parte è sotto l influenza dei logia originali di Matthaios aramaico, fino alla sepoltura di Gesù.Il 16, compreso 1-8, (ll ritrovamento del sepolcro vuoto) è spurio .
Professore, per lei le tre donne, secondo Marco (Maria di Magdala, Maria di Giacomo e Salome) definite solo di nome, identificabili comunque come la donna di Gesù, la zia- moglie di Cleofa e la madre di Giacomo maggiore e di Giovanni, che vanno ad imbalsamare il cadavere del defunto, al levare del sole, portando il necessario per il rito, incerte sul come aprire il sepolto, data la grandezza del masso, ruotante, posto all imboccatura e sul probabile non accesso a causa del decreto prefettizio circa la custodia del cadavere, operano di testa loro, all insaputa degli uomini?!.
Marco, non si può dire, ma, sembra un iniziativa tutta femminile, presa all alba, del giorno del Signore (per noi, Domenica) per loro, invece, il giorno dopo il sabato, appena si è liberi dai vincoli prescrittivi di legge: lo stato d animo delle donne di una donna per Giovanni, La Maddalena-, diverso da quello degli uomini, storditi dalla mazzata della morte del Christos/Messia, è quello irrazionalistico di terminare il loro ufficio pietoso, senza considerare i sigilli del governatore e la presenza dei milites -cfr Giovanni 17.28-42-.
Lo pseudo Marco sorprende col problema delle donne di aprire il sepolcro: gli uomini conoscono dal Venerdì che il sepolcro mnhmeion di Gesù è sorvegliato, avendone parlato per tutto il sabato nel Cenacolo, consapevoli dell avvicendarsi dei soldati alla tomba di Giuseppe di Arimatea, secondo quanto ordinato da Pilato e sanno bene dell impossibilità di completare l imbalsamazione.
Marco, per spiegarti, ti dico che essendo giorno di preparazione epei paraskeuh hn Giovanni 19.31 l imbalsamazione giudaica diversa da quella egizia , non fu ultimata, anche se il corpo fu profumato, alla meglio, con balsami.
Allora è vero il dato di Nicodemo che porta una mistura di aloe e di mirra di circa cento libbre -ibidem 39- ? ed anche quello di una sepoltura provvisoria con bende al corpo del crocifisso deposto e messo frettolosamente nella tomba di Giuseppe di Arimatea , nel khpos/giardino ? L azione è fatta sotto lo sguardo del corpo di guardia dei soldati di Pilato, dunque!.
Certo, Marco, non c è il tempo di fare ulteriori azioni di purificazione: le regole del sabato impongono il riposo, dal tramonto del sole del venerdì pomeriggio!
Noi così vediamo la sepoltura di Gesù, a seguito della sua morte in croce e alla deposizione del corpo, sua fasciatura e profumatura, dopo il permesso accordato ai discepoli dal governatore Pilato che ha fatto l accertamento di morte con la lancia!.Noi per il Bios di Gesù e il suo Malkuth ha shemayim abbiamo letto a lungo e in varie fasi della nostra vita, la parte del Vangelo 15 di Marco, primo vescovo di Alessandria secondo Eusebio, che lo ritiene falsamente fondatore dei Terapeuti, attestati nella città dal 180 circa a.C.. fino all epoca di Sinesio, fino cioè al 415 d.C.in epoca teodosiana Sui problemi della prima parte e del 15 abbiamo fatto molti interventi tecnici al fini di ritrovare non solo la funzione didascalica del didaskaleion alessandrino, ma anche il modo di procedere di Clemente nel Pedagogos, grazie al lavoro fatto su Stromateis e sul commento del I libro .
Quindi, professore, Marco (16,1-8) che parla di tre donne che, di buon mattino, vanno al sepolcro è scrittore non di prima mano dei fatti, ma uomo di epoca, successiva di molto, in quanto sembra non conoscere che la tomba sigillata sia sotto la custodia dei milites per ordine del governatore: l autore marca solo la preoccupazione delle donne di spostare il masso rotondo, che chiude il sepolcro.
L evangelista sa che per le donne è un viaggio inutile se non trovano chi fa rotolare apokulisei il masso dall ingresso del sopolcro! eppure le donne per lo pseudo Marco vanno, perché sanno già che il sepolcro è aperto. La Maddalena, che per Giovanni è già andata e non ha detto niente a nessuno per lo sbigottimento, ora torna con le altre al sepolcro- che invece pensano a come togliere il masso-.
Quindi, all epoca. già ci sono due versioni dei fatti: una della sola Maddalena che ha fatto la scoperta, l altra delle tre donne che fanno la scoperta del sepolcro violato!
Comunque, secondo l evangelista le donne sono andate al sepolcro e anablhpsai theorousin/ guardano e constatano che la pietra è rotolata via e ne rilevano la eccessiva grandezza/hn gar megas sphodra era infatti molto grande.
Quindi per lei si tratta di una violazione del sepolcro, non di resurrezione/anastasis toon nekroon( o egersis), per come oggi lo intendiamo noi ? Un uomo che, accertato come morto, si alza dal sepolcro e vive di nuovo, avendo spirito vitale, riprende a vivere con ritmi normali ed appare vivo ad altri!
L evangelista Marco dice quel che dice e scrive quel che scrive secondo la tradizione evangelica cristiana del Regno di Dio: le donne, non essendoci nessuno ostacolo, entrano nel sepolcro/ eiselthusai eis mnhmeion e vedono /eidon un giovinetto neaniskon un ragazzo non ancora adolescente meirakion (in Giovanni,20.12 sono due aggelous), che siede a destra, vestito di veste bianca ed hanno timore e sono stupite.
Amico mio, io sono sorpreso dalla varietà dell uso dei termini che indicano l atto reale di vedere (anablepoo/ sollevo gli occhi e guardo fisso; theooreoo/ scorgo e contemplo; oraoo/ miro ) e dal loro attonito stupore con timore espresso da ekethambeetheesan.
Ancora di più sono sorpreso dalle parole del giovane: mh ekthambeiste/non state stupite ed impaurite: voi cercate Gesù il Nazzareno il crocifisso!.
I due enunciati semplici, coordinati, mandano due messaggi che mostrano il risveglio di uno e la sua non presenza nel luogo mediante una prima enunciazione affermativa con hgerthe -da egeiroo/ sveglio desto aoristo passivo che vale fu risvegliato, da sempre tradotto è risorto, che sottende il fatto della non presenza subito poi marcata ; e una seconda, negativa, con cui si nega che sia lì /ouk estin oode, il corpo che lì era stato deposto, indicato ad una persona, ide o topos opou ethhkan auton / vedi il luogo dove era stato posto!.
Segue un enunciato iussivo per altre donne: upagate eipate oti mathetais autou kai toi Petroioi, che introduce una proposizione dichiarativa oti proagei umas eis thn Galilaian/ che (lui, quello che si è svegliato e non è lì) vi precede in Galilea!. Professore il testo marcino sottende, dunque, che la persona non presente più nel sepolcro, come corpo, è altrove, in Galilea a distanza di oltre 100 chilometri?! una cosa che succede varie volte nella vita di Apollonio di Tiana secondo Filostrato, come lei ha molte volte mostrato scompare a Roma e riappare a Pozzuoli dopo giorni o si eclissa da una parte per ricomparire in altre zone e alla fine della vita scompare e neanche si ritrova più il suo corpo! -cfr. Apollonio di Tiana e Gesù di Nazareth
Il riferimento ai discepoli e a Pietro, loro capo, col pronome personale voi, in poliptoto umas e umin, da parte del neaniskos- divenuto nella tradizione cristiana, aggelos- sottende già una gerarchia accettata quando all epoca si sa del primato di Giacomo/ Jakobos, fratello del Signore/kurios, e dei successori gerosolomitani fino alla galuth adrianea ! Perciò, amico mio, comprendi che nel testo marcino in esame si tratta di un convegno, già prestabilito prima della morte, per cui il neaniskos testimonia il ricordo, infatti afferma che Gesù il risorto/risvegliato- colui, che si è alzato dai morti attende in Galilea, là lo vedrete, come vi ha detto.
L uso del futuro per la visione e dell aoristo per il ricordo fissato esprime il fatto reale dell accadimento dell incontro presenziale in Galilea, inizio e fine del movimento messianico, luogo, però, di diffusione del Keerugma evangelico della morte e resurrezione del Maestro, uomo dio, figlio di Dio!
La conclusione dello pseudo Marco alle donne impaurite e sbigottite, evidenzia la volontà di andare via (ecselthein) e di fuggire (phugein )e di non dire niente a nessuno (oudeni ouden eipein). L evangelista mostra lo spavento delle donne con ephobounto gar( infatti esse erano spaventate).
Professore, lei ha parlato spesso della conclusione di Marco con gar e non è qui il caso di ripetere !.Comunque, ho compreso che le donne, dopo la fuga, restano chiuse nel silenzio, essendo piene di tromos kai ekstasis/timore e spavento.
Marco, sono contento che sono riuscito a spiegare l inizio del 16, il cui epilogo è sicuramente di altra età! Infatti il Vangelo marcino si chiude con gar : non esiste né nel codice Vaticanus né in quello Sinaiticus l epilogo grande ( e nemmeno quello piccolo): non può essere un caso che ambedue li omettano
Questa aggiunta /parathhkh deve essere probabilmente del periodo di Basilide ed è di fonte alessandrina perché fu immesso come parte finale del Vangelo (codici copti, greci, etiopici ed armeni) anche perché la testimonianza su Gesù (Flavio, Ant. Giud. XVIII,64) è dello stesso linguaggio, diversissimo da quello precedente.In risposta a Basilide probabilmente il presbitero Aristione aggiunse la conclusione di Marco, già conosciuta da Giustino, da Taziano e da Ireneo, un altra versione della sepoltura e della resurrezione!.Tutti questi ormai la consideravano come parte integrante del vangelo di Marco, compreso 16, 1-8 Sembra che tutto il 16 sia di questa epoca e non solo quella parte del Keerugma (come anche l incipit evangelico senza figlio di Dio) Infatti Flavio dice: ephanh gar autois trithn ekhoon hmeran palin Zoon, toon theioon prophhtoon tauta te kai muria thaumasia peri autou eirhkotoon /dicono infatti che a loro apparve di nuovo vivente, avendo i profeti di Dio preannunciato queste ed altre innumerevoli cose divine, meravigliose, su di lui.Lo pseudo Marco scrive -16,14- : usteron anakeimenois autois tois endeka ephanhroothh /Poi apparve agli undici, mentre stavano a cena.Non inganni il diverso verbo in quanto il significato è eguale: aoristo passivo di phainoo con l aggiunta di palin zoon corrisponde a phaneroo appaio (quindi apparve) che all aoristo passivo debole vale si mostrò (si fece noto; si fece vedere vivo, si manifestò) Solo la chiesa cattolica considera questa porzione sacra e ispirata dallo Spirito Santo ma le altre chiese, specie i protestanti sono dell avviso di ometterla .La seconda parte quella del malkuth ha shemaim , cioé della parte che si riferisce all azione del Mashiah è da vedere come uno sviluppo del Matthaios aramaico: non per nulla solo in Marco si trovano 2 volte rabbi (10,51; 14,45) ed una sola volta anche se viene, varie volte, usato al nominativo, O didascalos, oppure il vocativo didaskale (10.17,35, 12.13,19; 13,1), oppure en thi didachhi (8.11,18.9) e molte volte il verbo didaskoo.In effetti, però, neanche qui è realmente presente il termine rabbi/ rabbouni ma si rileva che il suo uso deriva non tanto dalla funzione di Gesù quanto dal suo potere nell esorcismo e nel fare miracoli/ paradocsa: l exousia gli deriva dalle opere non dalle parole: Lui non è un rabbi ma un facitore di opere paradossali .(cfr. 11,27 e ss.)!Tutta questa parte deve essere datata con una certa sicurezza dopo il trionfo di Tito e di Vespasiano; tutto il capitolo 13, se letto attentamente indica che l autore conosce i fatti.
La predizione non rimarrà pietra su pietra, si leverà nazione contro nazione, regno contro regno, l abominio della desolazione/ to bdelugma ths erhmooseoos, e specie gregoreite!- verbo del vigilare nelle forme di blepein vedere e agrupnein essere desto sono tipici della Apocalisse, come il vegliate ( 13.33-37), comune a Matteo (24.42, 25.13-15) e a Luca (19,12).
Professore, dunque, il testo marcino greco (14 e 15 ) narrante l arresto, i due processi, la passione, la morte e sepoltura non è spurio, ma pars di un testo aramaico conservante la storia di un martire nazionale, che, però, professa il suo credo in koiné il suo credo-12,29 Akoue Israel,kurios o theos hemoon kurios eis estin/ascolta, Israel, il signore nostro è l unico signore!
Marco, per noi questo significa che dopo la repressione adrianea, in Alessandria, si crea il mito di Gesù cristiano sulla base del pensiero già esistente di Filone e di Paolo di Tarso oggetto di studio nei didaskaleia alessandrini in contrasto forse con la cultura neoplatonica di Ammonio Sacca e degli gnostici (cfr. Chritospooiia e theopooiia) .
La fabbrica di Christos e di Theos potrebbe iniziare con l evangelizzazione secondo Marco che mostra la venuta del Figlio dell uomo e la similitudine del fico connessa con Matteo (24.29-36 )e con Luca (21.25-33), da lei espressa in altra sede?
Marco, altrove ho parlato del sepolcro vuoto trovato dalla Maddalena, da cui Gesù aveva cacciato sette demoni (Marco,16,9 )-a cui appare la prima volta e poi agli altri a cui indica la Galilea come ultimo punto di incontro, là dove il risorto prima di ascendere al cielo e di sedersi alla destra di Dio padre, dà agli apostoli la missione del Keerugma.
Lo pseudo Marco chiude, infatti, una prima volta ( 16, 9-20) con una chiusura piuttosto lunga il suo vangelo, indicando, oltre al rimprovero del maestro per l incredulità e durezza di cuore dei discepoli, i segni della necessità del loro andare come inviati nel mondo a tutte le creature, a propagandare di averlo visto vivo e risuscitato in quanto datore in futuro di salvezza/sooteria secondo già una collaudata e schematizzata precettistica!-: chi crederà e sarà battezzato sarà salvo /pisteusas kai batptisteis , soothhsetai, ma chi non crederà sarà condannato /o de apisthsas katakrithhseta ! Professore quali sono i segni?
Per lo pseudo Marco i seemeia per i credenti sono quelli noti paolini: nel mio nome cacceranno i demoni, parleranno nuove lingue, prenderanno i serpenti, e se berranno qualcosa di mortifero non recherà loro alcun danno, imporranno le mani ai malati guariranno/ en tooi onomati mou daimonia ekbalousin, glossais laleesousin kainais, opheis arousin, kan thanasimon ti pioosin ou mh autous blapshi, epi arroostous kheiras epithhsousin kai kaloos eksousin.
Professore, è una precettistica tipica del II secolo come quella di oikodomhsoo/ fonderò ed è, ora, comune all ecclesia di Efeso e di Alessandria!
Marco, questo è il racconto epilogo del testo marcino lungo, che chiude con gli apostoli che partono e predicano dappertutto, mentre il Signore opera con loro confermando la parola coi prodigi di accompagnamento/tou logou bebaiountos dia toon epakolouthountoon shmaioon!
Qual è l epilogo breve?
E un testo di quattro righe più amhn. Esso sottende che le donne -ma potrebbero essere anche indefiniti altri! annunciarono in modo abbreviato tutte le cose riferite a Pietro e a quelli intorno a lui al fine di riconoscere col primato petrino romano l apostolicità delle altre sedi -. cfr. II mito di Pietro
Marco, suntomoos rimanda al compendio e quindi fa pensare ad epitomatori greci del II secolo che scrivono per uso didascalico ed anche ad Eutropio scrittore latino del IV secolo autore di un Breviarium sotto l imperatore Valente, e può sottendere l idea di una chiesa romana, all epoca ancora sotto Antiochia, sede primaria con quella di Alessandria, mentre sta sorgendo quella di Costantinopoli, in relazione all invito diretto da parte di Gesù stesso a predicare da oriente fino ad occidente to ieron kai aphtharton keerugma ths aiooniou sooterias/il santo ed incorruttibile annuncio della salvezza eterna.
Professore, lei in altri tempi, marcando l annuncio santo ed incorruttibile della salvezza eterna ha operato alla definizione della parola finale aramaica di amhn. Vuole aggiungere qualcosa?
Marco, Serve a qualcosa? Serve a qualcuno? In Italia? Non serve, amico mio! Nessuno legge, tutti parlano anche gli scienziati! I virologi fanno impazzire il povero Mario Draghi, ben intenzionato a razionalizzare, mediante la digitalizzazione il sistema e a creare nuove strutture per svecchiare l apparato burocratico, civile, amministrativo e giudiziario italiano, a cambiare il metodo stesso politico servendosi di franchezza comunicativa ! Cosa posso fare io, povero vecchietto! Posso solo consigliare la lettura di La lunga lunghissima storia di amen!.
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Di un ordine femminile soppresso nel 1572
Il presente articolo è un vecchio lavoro di traduzione, fatto dopo una ricerca di archivio.
Lo propongo così come l ho tradotto negli anni settanta!
Ho ricopiato quanto ho trovato in un quaderno scritto, a matita, e dopo molte incertezze, lo pubblico perché lo considero, comunque, non degno del mio impegno storico attuale e nemmeno del mio consueto stile: non vorrei apparire simile ad uno scrittore del II cinquecento ancor incerto tra delectare e docere, del subito dopo l evento controriformistico, nel clima di guerra cristiano-musulmano!.
Ho lasciato alcune frasi, forti, anche pornografiche, allora usuali che mi sembravano inizialmente troppo piccanti, inutili ai fini della vicenda, ma poi sono state considerate necessarie per evidenziare la corruzione del clero perfino in epoca tridentina e per denunciare un fatto, condannato, all epoca, dal Pontefice stesso, che sopprime l Ordine di clausura nell ascolano.
Ecco la traduzione
Nell anno del Signore, MDLXXII (1572), in una località imprecisata- testo abraso del Piceno ( Ripatransone?) fu soppresso un ordine di monache di clausura, per ordine del papa Pio V.
Questo è l incipit di un relazione scritta da un prelato per la curia papale come atto di accusa in cui si rivela quanto accaduto e sono precisati i luoghi e i nomina dei protagonisti.
Era accaduto che un sacerdote di Offida, avendo preso tra le vedove una suora, incinta di 8 mesi, l avesse fatto partorire, grazie al suo personale impegno, e l aveva sistemata nella canonica, provvisoriamente, dopo la Nascita di un bel bambino.
Il relatore, dopo indagine, riporta i fatti, indulgendo ad una descrizione minuziosa di come si verificano, facendo partecipare anche chi deve giudicare!,
Infatti scrive: Il sacerdote venne a sapere che il bimbo era frutto di un rapporto della suora, tale Domenica Pupilli di Grottazzolina e del suo Confessore, un trentenne frate francescano, tale Padre Gesualdo Guglielmi.
Questi, dopo la morte del precedente padre confessore, era diventato l amante della madre badessa, di nome ignota, che era già stata la donna del vecchio precedente confessore, che viveva nel paese, in cui era il monastero.
Padre Gesualdo era uomo, scuro di carnagione, un mulatto, aitante e piacente, che, scaltramente cercava di entrare nelle grazie della madre badessa, anch essa donna bella, trentanovenne, incapace di controllare la propria sessualità, dopo la tresca col defunto frate.
Aveva, perciò, dopo qualche mese, confessato al nuovo confessore la sua relazione con una consorella, giovanissima, e chiedeva l assoluzione per il suo rapporto omosessuale.
La relazione è in più punti abrasa , ma invia un preciso messaggio: Il confessore gliela negava recisamente, dicendo che lui, da uomo, non capiva nemmeno quello, di cui la donna parlava, e che aveva bisogno di prove concrete per poter dare la giusta penitenza.
Passarono giorni prima di convenire per un incontro nella cameretta della Madre badessa, in cui si tenevano i convegni tra le due suore, che si univano in amplessi omosessuali, proibiti.
Il frate ebbe la possibilità di stare in una camera accanto. semiaperta, e di vedere le effusioni amorose delle due suore che, nude, si mostravano frenetiche nella ricerca del piacere: pur sapendo di essere spiate, sembravano ancora di più eccitate, come per provocare un maschio!.
Padre Gesualdo osservò tutto e, nonostante l eccitazione provata, si contenne, richiuse lentamente la porta ed uscì, mentre le due ancora erano impegnate nella loro focosa relazione amorosa.
Ci sono parti abrase ma il senso è chiaro:
La confessione del peccato ora ebbe l assoluzione con penitenza e con le dovute preghiere di rito: il frate disse che lui personalmente diventava strumento punitivo di Dio, che voleva la purificazione dei corpi, con dolore!.
Perciò lui, sebbene indegno, doveva punire la lussuria prima della badessa poi della consorella, facendo un operazione dolorosa, mediante la penetrazione del suo membro, posto in podice /nell ano delle due penitenti, che così scontavano la pena di peccare contro natura.
Padre Gesualdo mostrò loro la necessità di tornare ad essere le spose illibate, le agapete di Cristo!
Ordinò loro, nel frattempo, di portare un cilicio adatto, che lui stesso dispose sui loro due corpi, nudi, dopo averli toccati minuziosamente in ogni parte, anche in quelle intime.
Fu un operazione lunga, separata: prima la giovane, che ebbe anche una minuziosa esplorazione vaginale, seguita da un cunnilungus che fece quasi svenire la virgo/vergine per il piacere; poi, la badessa, spogliata con le proprie mani, accarezzata perfino sui corti capelli, fatta piegare inizialmente, in modo che la donna mettesse le mani aperte tra le sue gambe, all indietro, per poi lentamente rialzarla e tirarla verso di sé, così da comprimere i seni turgidi contro il proprio petto maschile, in un abbraccio vigoroso.
La terza cartella molto corrotta, comunque, porta scritto :
Il frate, qualche giorno dopo, a notte fonda, entrava nella camera dove erano le due donne, nude e pronte, col culo all insù.
Nel massimo silenzio Padre Gesualdo fece la doppia operazione penetrativa, essendo l una accanto all altra, mettendo in un tempo di attesa l una, mentre faceva godere l altra, dosando le proprie forze, frenando il suo istinto, consapevole di essere uno strumento della collera di Dio.
Mentre l una godeva, l altra pregava dicendo Ave Maria e Kyrie eleison, e il frate chiudeva con Amen, Gloria in excelsis Deo.
Il frate si accorse che la madre badessa nella tensione afferrava le sue mani e se le metteva sul davanti, sul clitoride, in modo da avere anche lei una continua eiaculazione, tanto da torcersi per il piacere, favorendo la penetrazione, essendo già abituata a quel tipo di perforazione; la giovane sorella, invece, provava dolore e stava rattrappita, muta, e neanche osava emettere un lamento per la paura e subiva la pena, pregando Dio, dicendo anche Pater noster, sperando che l uomo si soddisfacesse il più presto possibile.
La madre badessa in confessione confidò al frate che la penitenza di padre Romualdo, il vecchio confessore, era diversa: consisteva in fellatio, punitiva, contraria alla pratica del sesso innaturale, che era, comunque, cosa gradita a lei e all uomo, anziano, che astutamente così si preparava ad avere turgido e duro il cannoncino per la penetrazione.
Il Frate, allora, fece allestire una stanza per la penitenza in un angolo del convento, lontano dai possibili sguardi di estranei dove la madre badessa poteva punire le suore per i peccati secondo le esigenze e le modalità precedenti, adottate saggiamente dal vecchio confessore.
Padre Gesualdo volle mettere, perciò, alla prova quanto diceva la madre badessa e si presentò una sera, verso la prima hora della seconda vigilia nella sua stanza, non in quella delle penitenze.
La donna era già nuda ed aveva preparato una sedia episcopale, alta su cui fece sedere il frate, che, già eccitato, mostrava il suo pene dritto, grosso.
Lei si inginocchio ai suoi piedi e con le mani agitò un po e scapocchiò l uccello, e lo baciava sul glande e sulla corona, proprio là sotto, dove c è l innesto con l asta del pene, che subito diventò rossa e si dilatò ancora di più.
Con abilità la donna schioccava la lingua, facendola girare intorno al membro maschile e poi, con la mano s infilava quanto più poteva tutto l organo maschile dentro la bocca, dando gioia immensa al frate, che chiudeva gli occhi e sembrava muggire.
La monaca, allora, capita la situazione, di scatto si tirava indietro, con la bocca, e saltava con un balzo sopra le gambe dell uomo e si ficcava dentro la sua vulva, aperta, il pene, agitandosi, e muovendosi, comprimendo il petto, baciando freneticamente, in faccia, l uomo, che ora le si avvinghiava.
Il frate non ebbe neanche il tempo di controllarsi e frenare quella furia di donna e si sentì esplodere per il piacere e, con forza, alzò la badessa avvinghiata, si separò dall amplesso e la spostò al suo fianco, mentre due schizzi di sperma colpirono la parete del muro di fronte.
Basta disse il Frate e si ricompose, timoroso che qualche goccia dello sperma fosse rimasto dentro la vulva della donna, avendo visto gocciolante il suo membro.
Il relatore ora aggiunge notizia circa l identità del frate: Chi era padre Gesualdo?
Il frate era nato da un relazione tra una certa Porzia ed Alessandro il Moro, duca di Firenze, figlio naturale, a sua volta, di Papa Clemente VII, morto nel 1534, dopo undici anni di pontificato, frutto di un rapporto tra il cardinale Medici e una mulatta amerindia.
Padre Gesualdo, il cui nome era Giulio, adottato da una famiglia picena, aveva fatto rapida carriera tra i francescani.
Da piccolo aveva saputo il 6 gennaio 1537 della morte di suo padre Alessandro, in un postribolo, ed aveva conosciuto perfino l uccisore Lorenzino dei Medici e lo stesso Cosimo I dei Medici, successore del padre nel ducato fiorentino che lo tennero in convento, anche se sapevano che lui era l erede del ramo principale legittimo mediceo, imparentato con l imperatore Carlo V, pagando somme di denaro all abate.
Seguono i timori della coppia, ben descritti dal relatore
Il frate temeva, perciò, che la sua passionalità potesse rovinare la sua carriera ecclesiastica ora che vigevano i canoni di Papa Paolo IV che, a Trento, aveva fatto giurare la nuova fides catholika, nel 1563.
Il frate sapeva che le regole della controriforma erano rigide, specie in materia morale, sessuale, e che già erano applicate in ogni convento, dove erano escluse le donne!
C erano in convento solo le icone della Madonna con bambino!
Padre Gesualdo, anche se pregava la madre di Dio, comunque, ora era divenuto un oggetto nelle mani della badessa, che sapeva come punire non solo le sue suore, ma anche il confessore, ormai dominato dalla lussuria della donna, che, nella stanza della penitenza, aveva allestito una camera di supplizio, con vari tipi di cilicio e di cazzi di legno di varie dimensioni, per le suore che non obbedivano.
Il frate, comunque, divenne, col consenso della badessa, lo stallone di 15 cavalle, consorelle, il montone di tutto il gregge del signore.
Qualche mese dopo, però, ci fu l incidente di sorella Domenica la sedicenne rimasta incinta: decisero insieme, lui e la badessa dopo lunghe discussioni, tra abbracci ed accuse reciproche, di cacciarla dal convento, come difesa del buon nome delle religiose ag(ostiniane?)
Prima della decisione sofferta, la madre badessa e il padre confessore furono presi dal panico: si vedevano additati al pubblico disprezzo, disonorati; vedevano la loro carriera finita e sentivano l anathema episcopale con la condanna ad essere murati vivi, separatamente!.
Piangevano da soli ed insieme: neanche si guardavano.
In tale stato di animo, esagitato, i due, dopo infiniti incontri segreti, senza sesso, decisero, prima, di segregare la consorella, poi di rinviare a casa la giovane ed infine di uccidere il figlio, alla nascita, dando denaro alla donna perché non dicesse mai l infamante verità.
Il relatore nella quarta carthula descrive la fortuna di essere quaresimalista e dice:
per fortuna, il frate confessore era stato chiamato ad Offida, un paese poco lontano, come quaresimalista, da un sacerdote secolare, riformato.
Le prediche (erano) molto seguite dai populares offidani, condizionati dalle scene infernali, evocate dalle orribili visioni apocalittiche del frate: la sua retorica era altissima e il tono di voce, roboante, chiudeva il discorso ora pacatamente come lo sciabordare dell onda marina sulla spiaggia, ora, invece, come un fiume in piena, attirando l uditorio, che stava a bocca aperta ad ascoltare il francescano nella chiesa di S Maria!.
ll prete e il frate divennero amici, facendo cena insieme e bevendo vino: si raccontavano la loro vita e il loro essere sacerdoti e cominciarono a confidarsi.
Il frate in confessione disse il suo peccato e il prete inorridì inizialmente, ma ancora di più fu sorpreso, quando sentì che si voleva compiere un infanticidio.
Perciò, assennatamente, prima di licenziarlo e pagarlo per la belle prediche sulla Quaresima, il prete fece la sua proposta di ridurre allo stato secolare la suora e di affidare a lui il bambino appena nato da allattare dalla stessa madre, nella sua casa parrocchiale.
Il frate abbracciò il prete per la soluzione del suo problema, lo ringraziò, diede denaro per far crescere il figlio (Domenico), con la promessa di mandare madre e bambino presso di lui prima possibile.
L ultima pagina tratta dell inimicizia sorta tra i due ministri di Dio.
Qualche anno dopo il frate e il prete, non più amici a causa di un litigio per un terreno, regalato da un nobile benefattore alle monache, anche se era stato promesso al sacerdote, divenuto parroco di una pievania vicina, si erano scontrati in un pubblico giudizio.
Il prete, avido, decise di vendicarsi e di denunciare il fatto della nascita del piccolo mulatto al Vescovo e di portare come prova la giovane ex suora vivente ora nella parrocchia con Domenico ed altri suoi figli, nati da rapporti con altri uomini.
Seguì un sommario processo canonico e alla fine ci fu la soppressione delle suore di clausura, poco dopo la battaglia di Lepanto il 1 ottobre del 1571.
Il vescovo della diocesi aveva informato del fatto il cardinale Felice Peretti da Montalto ( futuro Sisto V) e questi, uomo ligio al dovere controriformistico, fece regolare denuncia.
La relazione si chiude con la condanna di papa Pio V e la successiva punizione del frate.
Esaminate le carte e fatto il processo, canonico, Pio V, decisa la chiusura dell ordine, si occupò del trasferimento del frate in altra sede, in una diocesi romana: fece tutto con diplomazia, non potendo correre il rischio di contrasti col duca di Firenze e col re di Spagna!
Non si poteva pubblicare tutta la storia della nascita illegittima di Alessandro il Moro, della sua vita di libertino gaudente, delle sue numerose amanti, e neanche della sua morte: si decise il silendi strategema; tacendo, il silenzio, col tempo, copre ogni cosa!
La vicenda del confessore, dato il suo nome e considerata la sua abilità retorica, doveva essere oscurata, nascosta: il suo nome rimase anonimo!
La chiesa non avrebbe avuto macchie! Il buon nome del clero doveva essere salvaguardato!
Il frate, comunque, venne tenuto recluso e, per un periodo, breve, di penitenza e di astinenza, fece esercizi gesuitici!
Finita la reclusione, il frate, con un anima rinnovata, con lo spirito da neofita, tornò tra i confratelli e poco dopo ebbe la nomina a Nunzio Vicario nelle Americhe, dove morì agli inizi del 1600, a Lima.
In fondo, in scrittura minuta, c era un lungo Post scriptum, di altra mano, da me tradotto sulla buona condotta del frate in America: c era scritto che Padre Gesualdo in America diventò un integerrimo esecutore di ogni regola controriformistica, pur rimanendo sempre vicino alle popolazioni mulatte, in considerazione della sua stessa pelle scura.
Era stato un perfetto esecutore delle theorie di José de Acosta, suo venerato superiore diretto.
Questi, poco prima, aveva formulato una teoria di classificazione di tutti i popoli, compresi gli Incas e gli Aztechi, che venivano suddivisi secondo le caratteristiche tipiche, in modo da orientarli, a seconda della razionalità e funzionalità personale, esaminate nella storia della stirpe e di quella individuale, a seguito delle loro azioni.
Un vero gesuita era José de Acosta!
Da tale discriminazione, rilevabile non solo nella forma istituzionale, preesistente l arrivo degli Spagnoli, ma anche nei comportamenti individuali, De Acosta derivava una tripartizione, a suo dire, oggettiva, scientifica.
Al primo posto c erano gli Europei, di razza bianca, da Dio stesso creati come principi sulla terra di ogni creatura, perché senzienti, razionali e capaci di costruire sistemi articolati e forme di stato di vario genere.
In tale gruppo di dominatori includeva anche i cinesi e gli orientali, considerati popoli di civiltà superiore, noti grazie alle relazioni di padre gesuiti come Matteo Ricci e Francesco Saverio e altri missionari.
Al secondo posto poneva i Messicani che avevano costituito un sistema articolato imperiale come quello azteco, annientato da Hernan Cortés e i Peruviani che avevano creato il regno Inca, distrutto da Francisco Pizarro.
Infine erano posti tutti gli altri amerindi, nativi, come selvaggi incapaci di essere ordinati secondo sistema, viventi come bestie, anche se senzienti e sentimentali, uomini da educare civilmente e moralmente, progressivamente, secondo graduali processi di ispanizzazione, in conformità alla cultura e religione cattolica tridentina.
Non c era scritto altro nella postilla!
Personalmente mi sono sempre chiesto come poté vivere, a Lima, Gesualdo, il quaresimalista, il confessore, il nipote di un papa?
Probabilmente la sua vita di Alto prelato sudamericano fu come quella di prima: visse circondato da donne (monache e non) in America latina, cercando di apparire un buon ministro di Dio!
Ho voluto, Marco, raggruppare gli scritti circa gli evangelisti, i loro vangeli e quello di Giacomo e Paolo estranei alla tradizione evangelica cristiana- al fine di un tuo disegno di un libro sul Regno dei Cieli e sul Regno di Dio, distinti storicamente, in relazione ai diversi momenti di scrittura, connessi con gli episodi reali di accadimento dei fatti, avvenuti nel periodo 32-36 d.C. , ma trascritti in epoca flavio antonina, dopo una lunga fase di Oralità e di Scrittura, aramaica e greca, infine, revisionata in Ambiente Alessandrino, sotto Antonino il Pio e Marco Aurelio.
Ho scelto per orientarti nella lettura evangelica secondo la mia personale angolazione storica, da cui, comunque, sei libero di fare ulteriori selezioni, ed anche divergere con qualche tuo eventuale scritto, a seconda del tuoi propri indirizzi, avendo già tu una tua reale formazione vetero-neotestamentaria.
Mi piacerebbe che tu, sulla base di questi scritti, facessi non più un intervista, non più come discepolo, ma, come maestro capace di orientare gli altri nella ricerca, cominciassi ad indicare un possibile iter ai tuoi compagni ed anche a me che seguo il tuo lavoro: la tua visione, ora, potrebbe dare risultanze nuove per un altra lettura, che ha qualche punto fisso di partenza, comune, fondamentale per ulteriori indagini.
Ecco i titoli degli articoli selezionati, oltre ai tre iniziali (Nonno, raccontami!, Io sono qui, di nuovo in ascolto, Nonno seguita, io seguo!) :
Giacomo e Paolo;
Il messia mancato;
Oralità e scrittura dei Vangeli;
Gesù, Meshiah aramaico, methorios o politikos;
Gesù Christos;
Betsaida e Cafarnao;
Il quadrante della vedova;
Un altra lettura dei dieci lebbrosi;
Parabola del Fariseo e del Pubblicano;
Denuncia e consegna di Gesù;
Anania e Saffira;
Una matassa aggrovigliatissima;
Luca e il vissuto reale di Gesù;
Crucis ofla/pendaglio da forca;
Qual è il sondergut di Luca e quale quello di Matteo?;
La lunga lunghissima storia storia di Amhn;
Marco 16, 9-20;
Il vangelo di Luca e gli amministratori;
L arresto di Gesù;
I Vangeli e loro datazione;
Ossequio formale/upourgia e Vangelo di Marco ;
Christopoiia e Theopoiia;
Gesù e la samaritana al pozzo;
Il corpo di Antigono.
La predicazione di morte e resurrezione del Christos ;
E credibile una lettura letterale di Gesù vivente? ;
L Ascensione al cielo del Christos ;
Marco, Buon Lavoro!
Dopo ottanta anni, non solo un anno, ma anche un giorno è un dono prezioso, una grande fortuna, anche se ogni ora è bella e buona per morire!
Vi auguro di essere eretici di aver il coraggio di essere eretici di esaminare l eresia dei fatti prima delle parole e di ricordare, che è eretico chi ha il coraggio di avere più coraggio, uno che ama la ricerca della verità, più della verità!
Don Luigi Ciotti
Che gioia! Di nuovo, mi dici: Seguita! nonno. Io ti seguo! Sono contento Mattia, perché so che sai cosa vuol dire seguire, ora, mettere cioè i tuoi piedi sulle orme, calcate, di tuo nonno, che guida, fino a quando tu non sai andare da solo, essendo orientato in relazione alla tua personale formazione, cosciente, acquisita, secondo una tua propria direzione fra le infinite, che ti si pongono davanti. Tu, oggi, fai la scelta di essere eretico, cioè essere uno che prende la decisione, facendo la scelta (da aireoo/ scelgo in quanto prendo atto di preferire una linea nuova direttiva entrando in una setta, in opposizione all universale consenso di quanti professano, senza sapere quel che dicono, come automi impauriti e condizionati, specie in casi naturali eccezionali, catastrofici, sfruttati dal clero!) in altra direzione.
Dunque, mi segui, davvero, Mattia,?. Ti sei separato dagli altri. Hai deciso di separarti!
Allora, non ti dispiace se chiedo: Mattia, riassumi e riepiloga, ripeti i concetti basilari! Io, ora devo ascoltare mio nipote, che dice e quel che dice! io ora sono studente, lui è maestro!
Nonno, ora conosco la guerra giudaico-romana e le sue tre fasi Asmonea, Erodia ed Antonina. Ho chiaro quanto sangue si sia versato nel 135 d.C.! Ho compreso che la galuth/ dispersione è un fatto di espulsione dall impero romano di aramaici, compresi i naziroi giacomiti, con coinvolgimento di alcuni gruppi di giudei ellenisti, cretesi cirenaici, mentre i christianoi non sono toccati dalla sanguinosa repressione adrianea e, quindi, possono anche aumentare di numero e in zone periferiche dell Asia centrale, caucasiche, e anche in Asia Minore e in Egitto, oltre che in Occidente, essendo liberi di esprimersi, entro i confini dell impero romano, rispetto ai giudei ellenisti, controllati nelle loro azioni e nel loro sistema di vita, non conforme, ancora, a quello romano-ellenistico!
Mattia, ti aggiungo che i christianoi possono costituire anche a Roma in seno alla comunità stessa giudaica, anche se ancora sospetta, un ecclesia/una chiesa, una comunità romana, dipendente, però, da Antiochia, governata da prelati siriaci.
I christianoi approfittano della peste antonina (Cfr. Marco Aurelio e la sua famiglia) che spopola intere regioni dell impero, proclamando il Regno di Dio, l avvento del Signore, con cui è prossima la ricongiunzione in Cielo, propagandando la speranza della felicità del Paradiso, di una vita eterna come premio della pazienza e sopportazione del male quotidiano terreno, effimero, non duraturo. Mattia, i cristiani, che vedono morire per la peste migliaia di cittadini al giorno a Roma e nell impero, contrastano la politica militaristica antonina, in nome di Dio, come uomini appartenenti ad un altro regno! Essi diventano un cancro per gli antonini, i quali sanno che la nuova fede ha il consenso delle popolazioni, specie pannoniche stremate, affamate, decimate, invase dai barbari, anche loro, domati dalla peste e chiedenti asilo e possibilità di vita, specie lungo l Istro /Danubio, là dove i territori sono vuoti, indifesi. Lucio Vero e Marco Aurelio, neanche si accorgono della gravità della crisi economica, che si va abbattendo nell impero e del progressivo depauperamento demografico, chiaro poi con Commodo e con Settimio Severo, quando già è attecchito il pensiero cristiano, misto ad una caritas filantropica e a spes paradisiaca, divenuto fides nuova in un Dio Padre, secondo l ottica stoico-platonica, poi formulata teoricamente nelle Enneadi di Plotino ( cfr. V. Cilento, Enneadi, Laterza Bari 1947; G. Faggin, Enneadi, testo greco a fronte, Bompiani, 2000), influenzato da Ammonio Sacca, Panteno, Origene, in contrasto con lo Gnosticismo.
Nonno, la storia cristiana, comunque, non è più quella ebraica, nonostante la coscienza di esserne una radice, pur col vincolo biblico, essendo comune e sacro il libro della Bibbia ?
Certo, Mattia!. Essi mantengono la Bibbia dei Settanta, dando rilievo ai libri sapienziali e ai profeti ed hanno ormai forme proprie di sepoltura, il rito nuovo dell Eucarestia, le feste diversificate delle Neomenie/ inizio anno o mese e della Domenica e della Pasqua e propri hgemones /capi spirituali amministratori dioichetai abili nell esercizio bancario, preposti al culto, con funzioni di episkopoi, di archontes religiosi nominati in relazione ad una millantata apostolicità della sede, anche se talora rimasti isolati a causa della peste e delle difficoltà oggettive di viaggio (specie in epoca antonina e severiana, essendo la rete viaria interna, quasi interrotta, specie nelle zone illirico- danubiane, con poco e limitato traffico, al contrario di quella portuale, preferita, normalmente praticata e nel Mediterraneo nel mar Nero e Caspio oltre che nel mar Rosso ed Oceano Indiano. Non è esclusa neanche la rotta della costa oceanica atlantica afro- iberico- gallico-germanico- britannica! cfr. I due canoni; una matassa aggrovigliatisima). Comunque, il fenomeno cristiano prospera, nella Ionia, in Bitinia, in Cappadocia ed anche in Siria, oltre che in Acaia e nella provincia cretese-cirenaica e in Egitto, avendo due capitali con patriarca, Antiochia ed Alessandria, divisi nella lettura biblica,- nonostante gli scarsi contatti e rapporti, a causa della lontananza delle sedi- , mentre sono zone, dominate di pagani, ora Efeso col grande tempio dell Artemision, nonostante la radice paolina e giovannea, grazie a Lucio Vero al matrimonio con Lucilla, la figlia di Marco Aurelio e al domicilio della stessa famiglia imperiale, pur breve (cfr. Marco Aurelio e la famiglia; Frontone egli antonini) e Gerusalemme, bisognosa di una difficile ricostruzione della base ebraica sacerdotale christiana, dopo l imposizione del culto della Triade Capitolina, con relativo sacerdozio romano, sopraggiunto, con proprie funzioni celebrative, collegato con le pratiche pitagoriche e neoplatoniche, teurgiche.
Dunque, Roma, da una parte, ed Efeso e Gerusalemme, da un altra, sono sedi cristiane secondarie, soffocate dal culto pagano mentre le altre comunità hanno un maggiore respiro e propria autonomia organizzativa, a seconda della posizione geografica, specie se lontane dalle vie romane di transito.
Mattia, questo isolamento determina nel corso di un paio di generazioni una diversità di credi differenziati, grazie alla continuità di comune culto, circa la venuta e la funzione del Christos, con eresie, anche in relazione ai diversi fondatori/ ecisti delle colonie cristiane.
La situazione diventa palese a seguito del censimento di tutti i cives nel 212 d.C. con Caracalla (cfr. Constitutio antoniniana ), ora contati rimasti sconosciuti perché noti come fideles solo nei registri privati delle singole comunitates di appartenenza, quasi che i componenti fossero apolidi, in quanto fino ad allora clientes, nullatenenti, di un patronus, dominus, episkopos, unico dioicheths, registrato come pagante, dichiarante sostanze e proprietà, salariati e schiavi, oltre i profitti di un sistema bancario e commerciale comunitario ed assistenziale, caritativo!
Nonno, sto vedendo un altra organizzazione cristiana molto diversa da come mi è stato detto dai sacerdoti e dalla storia: a Roma neanche c è il papa che guida i cristiani ! Per te non esiste una guida romana nel II e III secolo, se non quella imperiale-così mi sembra di aver capito in Il Mito di Pietro-! il sacerdozio cristiano è in periferia ed ha valore locale con autonomia in Provincia! non c è neanche un comune credo cristiano! Nonno, per te non esiste esattamente un credo christiano, ancora, dopo la galuh aramaica, ma solo dopo qualche decennio, nel corso della peste !
Mattia, non capisco se fai affermazioni o domande: non penso che tu sappia di una figura certa, costituita, di un Iesous Cristos Kurios ellenistico maestro didaskalos, taumaturgo, di un uomo-dio, figlio di Dio, logos, upostasis/ seconda persona di una Trias (Pater Uios pneuma), inviato dal padre dal cielo in terra per redimere l uomo dal peccato originale, morto con sofferenze sulla croce, sotto Ponzio Pilato, in epoca Tiberiana e risorto-, la cui parola/ evangelion è diffusa dai discepoli grazie all intervento dello Pneuma -!
Penso, inoltre, che non sai che dal 165 una terribile peste, durata oltre un ventennio, miete vittime, dovunque -anche a Roma- tanto da ridurre la popolazione di un terzo e da far prendere in considerazione, a causa del bisogno di manodopera e dell arruolamento, l idea di un nuovo tipo di accoglienza barbarica, al senato e all imperatore, ad opera di dioichetai romani, tra i dediticii le popolazioni vinte, arrese, chiedenti di essere accolti e sistemati in territori romani, rimasti senza abitanti, divenuti proprietà di pochi latifondisti-! Non penso che tu sappia della convinzione politica di Marco Aurelio, intestardito nella volontà di costituire, in un quadro di guerra e di pandemia, di sfacelo economico, le due province di Quadia e Sarcomannia!. Io ancora non ho fatto con te storia cristiana, quella del Regno di Dio, essendomi fermato alla fine della Gerusalemme aramaica, pur avendo accennato ad una tradizione efesina giovannea, parallela a quella dei due patriarcati , quello antiocheno, biblico letterale ed alessandrino biblico allegorico,
Nonno, ho letto qualcosa in qualche articolo tuo, precedente ( il pater di Luca e Una matassa aggrovigliatisima ) ed ho rilevato come fatto reale la presenza di comunità che credono veramente nella resurrezione del Christos, e ne attendono il ritorno, nel seno della sua famiglia, ricostruita ad Efeso intorno a Maria e Giovanni evangelista, fiduciose nella pur diversa lettura dei patriarchi di Antiochia e di Alessandria, coscienti di essere nuovo Israele, i nuovi eletti destinati al Paradiso, se obbedienti ai capi, se dediti alla preghiera e alla caritas nel clima di amore per il prossimo, se penitenti e pazienti nell accettazione del male di vivere.
Mattia, tu vai oltre quanto ti sto dicendo e già arrivi al musterion di una fede circolante nel Mediterraneo e negli altri mari, lungo le rotte marinaresche, basato su simboli del pesce/ichthus, anagramma di I(esous) Ch(ristos) Th(eou) U(ios) S(oothr) e sulla concezione agricola del Buon Pastore ( cfr. Erma, il pastore, Pia Società Figlie di S. Paolo, Roma 1946), un insieme dottrinale che si espande seppure confusamente in modo diversificato in luoghi più disparati nel periodo severiano e post severiano della decadenza militare illirica (236-284).
Nonno, dunque, per spiegarmi il regno di Dio cristiano, ho letto la prefazione a Ma, Gesù chi veramente sei stato ? e book Narcissus 2012 e condivido anche io quanto dici, anche se non capisco molte formulazioni
Fare luce su Jesous Christos Kurios per me è stato l’assillo della vita, da quando bambino recitavo le preghiere e non capivo ciò che dicevo in latino, da quando mi dissero che Dio si riposò il settimo giorno ed avevo la domenica come giorno festivo e non il sabato, come era scritto nella Bibbia, da quando mi parlarono di un Gesù falegname che, però, era rabbì, e predicavano un Dio Veterotestamentario creatore crudele e selettivo e un Dio Neotestamentario Padre buono e misericordioso, da quando cantavo Deus Sebaoth/ dio degli eserciti, poi cambiato in Dio dell’universo!. Capire un Dio come quello del Vecchio Testamento, spietato, il dio di Abramo di Isacco e di Giacobbe e poi di Mosè, della Legge, di David e dei suoi discendenti, divenuto poi Dio sacerdotale, proprio del prescrittivismo di Nehemia e di Esdra e infine un Dio nazionalistico, costitutore di un messianismo escatologico, sviluppatosi in senso contraddittorio (asmoneo, romano-erodiano, antiromano e filopartho, templare fino al 70 d.C. ed antiantonino) contrapposto quasi a quello Neotestamentario, è stato difficile!.Mattia, hai fatto una ricerca eretica buona/chresth ed hai trovato un articolo da riconnettere con quanto ti sto dicendo, anche se lì mostro il piano di di Dio padre sull uomo secondo la theoria di Agostino di Tagaste (354-430 d.C.) Infatti, mostrando i miei personali tentativi, dico: Capire il piano salvifico (oikonomia della salvezza) di un Dio che inviò il figlio unigenito sulla Terra a farsi uccidere dai romani, nemici del suo popolo, prediletto, per riscattare col suo sangue il genere umano dal peccato, grazie alla sua resurrezione, per me è stato sempre un assurdo, non un mysterion (come quello, Trinitario, e come quello di una vergine – madre) specie dopo che ho appreso qualche lingua antica e ne ho fatto forse un buon uso. Un assurdo! un qualcosa che è non conforme a ragione e a logica! Ho rinunciato a capire il fatto religioso in sé e non ho voluto pensare neppure ad idee sottese alla fede e nemmeno ai temi generali sull’uomo e sulla natura: ho voluto ricostruire un uomo nuovo sul piano concreto e realistico ed ho voluto vivere secondo natura e ragione, in modo classico, secondo il lavoro, mettendo insieme la realtà quotidiana prima del pensiero, prima dell’ideazione.
Mattia, inoltre, aggiungo:
Mi sono tassativamente precluso, inizialmente, ogni argomento e di Filosofia e di Teologia, desiderando fare un percorso terra terra, prima di razionalizzare, senza essere filosofo o teologo, temendo ambedue le posizioni, come sovrastrutture di pensiero: per me chi pensa non ha fede, chi ha fede non pensa e chi non pensa e non ha fede lavora e costruisce realmente, mettendo un mattone dopo l’altro (mi si perdoni la metafora della costruzione) ordinatamente con continuità, con tenacia e secondo precise regole professionali e lascia un segno del suo passaggio (non importa quanto grande e quanto piccolo o se insignificante). Ho voluto, così vivendo, storicizzare effettivamente (historein) e comprendere il sistema di vita greco, quello romano, quello romano- ellenistico e con esso la politica, il diritto, il commercio, la societas, il mondo maschile e quello femminile e la funzione della religio classica. Ho voluto capire la tipicità del popolo giudaico e la sua peculiarità religiosa e quindi studiare la classe elitaria sacerdotale e il sistema biblico, seguito nel corso dei secoli fino all’epoca romana e le necessarie e opportunistiche forme di adattamento, a seconda delle dominazioni, in un tentativo di conservare la legge patria e il suo monoteismo. Da qui la necessità di rilevare le differenze e le diversità del sistema razionale e naturale, rispetto a quello giudaico palestinese ed aramaico, esclusivamente religioso, per penetrare nella cultura ellenistica del periodo del primo cristianesimo, dell’epoca giulio-claudia. Così facendo, ho operato solo storicamente ed ho lavorato impegnandomi a tradurre autori classici, di norma citati dai compilatori di storia, ma effettivamente poco conosciuti come testo, dopo aver fatto critica testuale, avendo acquisito buone abilità di lettura, non solo dei codici, ma anche dei messaggi: è stato questo un lungo esercizio, che ha autorizzato una nuova comunicazione e un nuovo rapporto con l’altro (dopo educazione e formazione paritaria). Ed allora ho dovuto molto soffrire perché solo se rimanevo sul piano informativo avevo, pur con qualche equivoco di trasmissione, un regolare rapporto sulla base di una normalità di lessico e di una convenzionalità linguistica, al di là della personale cultura. Non era possibile una reale comunicazione come trasmissione di pensiero e di idee in quanto l’altro capiva solo quello che voleva capire e non era in grado di leggere, dopo l’ascolto, correttamente l’enunciato altrui perché non educato sul piano lessicale morfosintattico e semantico, anche se scolarizzato e perfino laureato e perché cadeva in equivoco, dopo pochi termini, fraintendendo subito, anche perché impegnato già nella risposta, ed essendo incapace di una decodificazione e di una precisa denotazione, tutto preso emotivamente nel suo personale pensiero. Ne derivava che non c’era un reale rapporto, cioè un scambio reciproco di munera doni (cum e munus questa è l’etimo di comunicazione) tra due elementi paritari (emittente e destinatario) che vogliono dirsi qualcosa di nuovo in una situazione determinata, in un preciso contesto, utilizzando la lingua ufficiale, senza disturbi palesi nel canale, volendo ambedue la soluzione di un problema comune.
Mattia, con tristezza si può dire generalizzando, a seguito di studi tecnico-linguistici e di verifiche nella zona picena, che in Italia il 71 % dei cittadini non sa leggere correttamente un articolo, un giornale e tanto meno un libro, e che non è possibile quindi comunicare qualcosa di nuovo sul piano storico ed è, direi, impossibile fare un punto situazionale, in senso religioso o toccare un argomento religioso, in modo critico: tutto è fede, tutto è un credo intoccabile! per i cristiani, poi, anche se non praticanti, non bisogna parlare male dei santi e tanto meno toccare la figura di Cristo. I cristiani sono come Pietro l‘Aretino (secondo l’epitafio di Paolo Giovio): di tutti disse male fuorché di Cristo, scusandosi col dire: \"non lo conosco”. Il cristiano cattolico non legge la Bibbia né i vangeli, ma li sente settimanalmente in Chiesa, se ci va, e crede ripetendo quanto ha appreso prima e dopo l’infanzia, senza razionalizzare. Per lui pensare è credere, praticare la filosofia è una via per la Teologia, sottoporre la ragione al mysterion. Neanche si pone il problema che essere filosofi esclude essere teologi.
Mattia, davvero, per anni, mi sono tenuto lontano e dai cristiani e dai filosofi e dai teologi: conscio di avere un lessico diverso e un’altra lingua, pur parlando la comune lingua nazionale, ho preferito, data la non conformità dei contenuti e dei referenti, non parlare affatto.E se parlo, ho colloquiato, rimanendo sul piano informativo anche con i componenti, pur laureati e professionisti, della mia famiglia e con i miei amici e paesani.
Nonno , ora io seguo proprio perché sono vicino a te, che stai per finire ottanta due anni, e al tuo pensiero, e, leggendo, cerco di entrare sempre di più in merito alla tua theoria, meglio alla tua pratica, secondo coerenza!
Mattia, stai diventando un discepolo, comunque, frettoloso che anticipa i tempi: bisogna che tu sia cauto e non impulsivo e che proceda lentamente (cfr. festina lente / speude bradeoos): devi ancora seguire a lungo le orme dei miei passi e camminare, seguendole, pur conscio di aver capito qualcosa! Si procede autonomamente, all inizio, con cautela, poi, speditamente, ed, infine, liberamente quando sai dove si deve esattamente andare nella coscienza di dover seguitare il viaggio, arricchito, comunque, dall esperienza precedente, mai convinto della propria maturità!.
Nonno, penso che tu, in questo cammino faticoso ed incerto, abbia molto sofferto, pur conseguendo qualcosa di positivo!.
Mattia, senza sapere cosa sia la verità, ho cercato umilmente, in relazione ai miei mezzi, di fare la ricerca della verità, non la verità! Lavorando, ho avuto barlumi di luce, desideroso solo di non mentire !
Mattia, ora è tempo che operiamo su Logos /parola, su vangelo, su morale, su giustizia e pace, se vogliamo fare storia cristiana: dobbiamo capire Scrittura ed oralità dei Vangeli nelle fasi erodia ed antonina!
Nonno, io sono qui, vicino a te, pazzo vecchietto, aramaico, greco-latino!
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